Anteprima
Vedrai una selezione di 6 pagine su 24
Riassunto esame Fondamenti del diritto, Prof. Biavaschi Paola, libro consigliato Come uccidere il padre, Eva Cantarella Pag. 1 Riassunto esame Fondamenti del diritto, Prof. Biavaschi Paola, libro consigliato Come uccidere il padre, Eva Cantarella Pag. 2
Anteprima di 6 pagg. su 24.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Fondamenti del diritto, Prof. Biavaschi Paola, libro consigliato Come uccidere il padre, Eva Cantarella Pag. 6
Anteprima di 6 pagg. su 24.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Fondamenti del diritto, Prof. Biavaschi Paola, libro consigliato Come uccidere il padre, Eva Cantarella Pag. 11
Anteprima di 6 pagg. su 24.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Fondamenti del diritto, Prof. Biavaschi Paola, libro consigliato Come uccidere il padre, Eva Cantarella Pag. 16
Anteprima di 6 pagg. su 24.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Fondamenti del diritto, Prof. Biavaschi Paola, libro consigliato Come uccidere il padre, Eva Cantarella Pag. 21
1 su 24
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

La crisi del padre padrone

La famiglia patriarcale subì, nel tempo, successivi mutamenti, che in età tardo-imperiale vennero tradotti in una serie di provvedimenti legislativi volti a mitigare i poteri paterni. Questo processo era però già iniziato alcuni secoli prima ed era stato determinato da diversi fattori.

L'influsso cristiano

Nei primi due secoli dell'era cristiana, l'etica dei romani era cambiata in seguito alla progressiva cristianizzazione della società, che aveva addolcito il rigore dei rapporti tra il paterfamilias e i suoi sottoposti, dando nuovo spazio al rispetto della personalità e della dignità degli individui, ma questo processo fu tutt'altro che indolore.

Lo Stato romano, tradizionalmente tollerante verso i nuovi culti, è disposto ad ammettere senza difficoltà gli stranieri, nei confronti del cristianesimo assunse sin dall'inizio un atteggiamento diverso, pieno di...

diffidenza e disospetto. L'organizzazione della Chiesa dava vita a una comunità separata dentro la comunità imperiale. I cristiani affermavano che la loro era l'unica vera religione e rifiutavano i culti delle altre (→ in particolare, di compiere sacrifici dinanzi all'immagine dell'imperatore). Inoltre, vivendo in comunità isolate e chiuse, erano malvisti dalla voce popolare, che attribuiva loro tutti i possibili vizi. Gli imperatori, di conseguenza, in occasione di malcontenti e ribellioni avevano buon gioco nell'additare i cristiani all'opinione pubblica come i colpevoli, e questi accettavano di assumere questo ruolo, lo stesso che Cristo aveva assunto spontaneamente. Per questo, essi accettavano di morire tra atroci tormenti, come testimoni della loro fede (→ martiri – martyres – significava "testimoni"). Il cristianesimo, insomma, predicava e diffondeva valori profondamente diversi da quelli della

cultura pagana: l'idea che tutti gli uomini fossero uguali poteva essere addirittura rivoluzionaria, e in un certo senso lo fu. Infatti, anche se i cristiani non ritenevano, per questo, di dover lottare per ottenere una maggior giustizia sociale, la diffusione della nuova religione migliorò le condizioni di vita dei poveri e degli schiavi, poiché chi era cristiano doveva aiutare il prossimo. Pur senza mettere in discussione l'ordine sociale esistente, il cristianesimo determinò una rivoluzione nei rapporti interpersonali, ivi compresi i rapporti familiari.

Metamorfosi interne dell'etica pagana

Accanto all'influsso della nuova religione giocò un ruolo non meno determinato un altro fattore. Nella società romana, all'incirca tra l'età di Cicerone e quella degli Antonini, si era verificata una metamorfosi della mentalità, dei costumi e dei valori interni al mondo pagano. Nei primi due secoli dell'Impero gli

appartenenti alla classe dirigente romana divennero funzionari del principe ela loro vita cambiò. Sino a quel momento, essi avevano dedicato il loto tempo all’ozio (otium), coltivando spiritoe corpo.

Come funzionari del principe, invece, per mantenere la loro posizione erano costretti a impegnarsi in diverseattività: la parola negozio, che indicava l’attività, viene appunto da nec-otium (“non-ozio”). Essi dovevanolavorare, incontrare altri funzionari, partecipare a lunghe riunioni, ma tutto questo voleva dire, per loro, sottoporsia una vita fisicamente e psichicamente faticosa. Per adattarsi a questa nuova vita, legata alle mutate condizionipolitiche, dovettero modificare i rapporti con il prossimo.

Per secoli il prestigio della classe dirigente era dipeso dalla capacità dei diversi capifamiglia di affermare ilproprio potere sugli altri. Quando, a partire dall’età augustea, essi si trovarono a trattare ogni giorno con

personedi grado pari se non superiore al loro, furono costretti ad acquistare e coltivare virtù del tutto nuove, come l’autocontrollo e la moderazione. Tra questi settori, quello sessuale era inevitabilmente destinato a influire anche sui rapporti familiari.

Tra il I e il II secolo d.C. il sesso era visto come un serio pericolo per la salute; i medici venivano interpellati da pazienti che accusavano sintomi preoccupanti: affaticamento continuo, stato generale di disagio, imprecisato malessere, spossatezza invincibile.

Le cause erano legate al cambiamento dello stile di vita dovuto al nuovo corso politico. La vita del funzionario del principe era faticosa e stressante. Abituato da sempre a vivere all’aperto e a dedicare gran parte del tempo all’attività fisica, il nobile romano ora doveva passare da una riunione all’altra, incontrare altri funzionari, discutere con loro e trascorrere ore in posti chiusi. La necessità di confrontarsi continuamente con

Dei concorrenti provava il suo sistema nervoso, lo sottoponeva a tensioni alle quali non era né abituato né preparato.

La precettistica medica e l'etica stoica. I medici tentavano di risolvere il problema consigliando di controllare gli eccessi sessuali, quali che essi fossero.

Secondo la precettistica medica, infatti, ogni emissione di seme era dannosa; così, ad esempio scrive Sorano e Rufo di Efeso, Oribasio e Galeno erano della stessa opinione: il controllo del desiderio era la nuova regola sanitaria.

L'aspirazione alla continenza era quindi già presente nella società pagana e al suo interno era tutt'altro che una cosa nuova: infatti, l'ascetismo era da tempo una delle componenti della cultura e della morale pagana. L'idea che l'uomo dovesse combattere il desiderio e vincere le tentazioni per liberare l'anima dalla tirannia della carne era già presente nel pensiero orfico e in quello dei pitagorici, nella

filosofia di Platone. Per ragioni diverse, al desiderio sessuale guardavano con prudenza anche: Gli epicurei → la loro prospettiva era la conquista della felicità terrena, ma anche in quest'ottica il sesso andava controllato; Gli stoici → la loro posizione si riduceva sostanzialmente a un'accettazione solo strumentale del sesso: posto che la riproduzione non riguardava solo il corpo ma anche l'anima, il matrimonio era consentito. Quello che, però, distingueva l'uomo dagli animali era pure sempre la capacità di controllare le pulsioni con la ragione. Musonio Rufo pertanto, nel I secolo, insegnava che il sesso era riprovevole anche nel matrimonio, se non era finalizzato alla riproduzione. Seneca padre, anch'egli stoico, diceva che un uomo saggio deve amare la moglie con giudizio, non con passione. La contrapposizione tra corpo e spirito, insomma, fu un'idea che aveva attraversato la cultura pagana ed era stata una delle.

Componenti che avevano accompagnato la sua storia. A Roma, nei primi due secoli dopo Cristo, si era diffusa del tutto autonomamente dalla predicazione cristiana. Questo è il quadro della situazione, che aiuta a capire la crisi del padre padrone: l'uomo romano si trovava costretto a cambiare vita e mentalità. L'aristocrazia della quale aveva fatto parte si era trasformata da un'aristocrazia concorrenziale in una di servizio. Il capofamiglia romano si trovava a essere un suddito del principe, come tutti soggetto a un potere che mortificava la sua tradizionale autorità, che aveva subito un duro colpo; inoltre, anche l'ottica nella quale valutava il suo potere di paterfamilias aveva cominciato a cambiare:

  • Alla moglie stava iniziando a guardare come a una compagna di vita;
  • Agli schiavi come a esseri cui rivolgersi con maggiore umanità;
  • Ai figli adulti come a persone delle quali doveva rispettare la personalità, i desideri e

L'autonomia.

Conseguenze legislative

Nel IV secolo d.C., dunque, nacque la nuova concezione dei rapporti familiari che, quando i nuovi princìpi sierano ormai ampiamente diffusi, fu tradotta in regole giuridiche.

Gli imperatori, fossero pagani o cristiani, stabilirono nuovi limiti all’esercizio dei poteri paterni, ma non senzadifficoltà e non senza attenzione e cautele (→ ad esempio, la prudenza con la quale cercarono di limitare ildiritto di vita e di morte).

Ancora nel II secolo d.C. non esisteva alcuna censura sociale nei confronti dei padri che esercitavano questodiritto: a dimostrarlo sta una decisone giudiziaria dell’imperatore Adriano, documentata in un passo di Marciano,conservato nel Digesto di Giustiniano.

Il caso sottoposto a giudizio imperiale vede una famiglia mista, in cui solitamente i figli nati dall’unione dellacoppia divorziata restavano nella casa paterna, dove spesso convivevano con una matrigna coetanea o anchepiù giovane.

Il caso riporta che un padre sia stato deportato in un'isola perché aveva ucciso il figlio, il quale aveva una relazione illecita con la matrigna, attraverso una modalità che somiglia a quella di un proprietario che uccide un ladro. Se egli avesse ucciso il figlio seguendo le regole, ovvero accusandolo al cospetto del consiglio domestico, "non sarebbe stato accusato di mancanza di pietas paterna". Non solo non sarebbe stato punito, ma non sarebbe stato neppure socialmente biasimato. L'azione mitigatrice imperiale, insomma, si scontrò con non poche difficoltà: nel 323 d.C., Costantino ritenne opportuno affermare che il diritto di vita e di morte sui filiusfamilias continuava ad esistere: decretò che la necispotestas era consentita. Solo nel 395 d.C. Valentiniano e Valente stabilirono che al padre spettasse semplicemente un potere correzionale e che, qualora le infrazioni dei figli fossero di tale gravità da richiedere.l’irrogazione di vere e proprie pene, queste venissero irrogate dallo Stato. Per trovare una dichiarazione ufficiale che il diritto di vita e di morte non esisteva più si dovrà aspettare una Costituzione contenuta nel Codice giustinianeo. Questo non significa che il processo di mitigazione dei poteri paterni non sia stato proseguito con una serie di provvedimenti: tra gli altri, quelli che cercarono di limitare la pratica dell’”esposizione” dei neonati, stabilendo che colui che avesse esposto un figlio avrebbe perduto definitivamente la patria potestas su di lui. Questo cambiamento non solo non mutò la natura e la struttura della famiglia patriarcale, ma non riuscì a eliminare i problemi tra i capifamiglia e i loro discendenti. 6. DALLA PARTE DEI PADRI Abitualmente, nel cercare di individuare i caratteri dei rapporti tra generazioni si parte dall’analisi della dipendenza dei figli dai padri. Man mano che l’indagine proseguiva, sifaceva sentire sempre più forte la sensazione che il discorso avrebbe dovuto tener maggiormente conto di un altro punto di vista. A farne avvertire sempre di più la forza era quella prospettata da Paul Veyne, parlando del
Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
24 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher micolprencipe di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi dell' Insubria o del prof Biavaschi Paola.