b) CAUTIONES O STIPULATIONES PRETORIE
Era una stipulatio imposta con decreto dal magistrato e con essa una
persona prometteva di dare una determinata somma o di tenere un
determinato comportamento. Gli edili curuli, che avevano competenza sui
mercati, potevano imporre al venditore di prestare una stipulatio habere
licere, con cui questi si obbligava a risarcire il compratore qualora il
pacifico godimento della cosa venisse turbato; funzione analoga aveva la
stipulatio duplae, con cui il venditore, in caso di evizione, si obbligava
a versare al compratore il doppio del prezzo da questi pagato. Se erano
garantite da terzi sponsores, le stipulazioni pretorie erano chiamate
satisdationes, se non erano garantite erano dette repromissiones;
cautiones invece quando venivano documentate.
b) Le missiones in possessionem
La missio in possessionem era un decretum con cui il magistrato
autorizzava chi ne aveva fatto richiesta a prendere possesso di beni
altrui; se riguardava l’intero patrimonio si parlava di missio in bona, di
singoli beni invece missio in rem; questi provvedimenti potevano avere
funzione cautelare ovvero coercitiva.
16. LA COGNITIO EXTRA ORDINEM
Il processo formulare fu sostituito dal quello definito cognitio extra
ordinem.
a) Le cognitiones provinciali
La procedura formulare non veniva applicata in tutte le province e anche
là dove veniva applicata subiva profonde trasformazioni; prima che questo
accadesse a Roma e in Italia, nelle province entrò in uso un tipo di
processo che si svolgeva interamente dinanzi al magistrato o al
funzionario imperiale cui la questione veniva sottoposta. Questo processo
consisteva in una cognizione (cognitio) della causa da parte del
magistrato o funzionario, che al termine di questa cognitio poteva
emettere personalmente la sentenza. Nel processo per cognitiones le parti
non si accordavano sui termini della lite e non partecipavano in alcun
modo alla scelta del giudice e alla definizione dei suoi compiti.
b) Le cognitiones extra ordinem a Roma
Già all’inizio del principato, per tutelare gli istituti introdotti dal
principe o dal Senato si faceva ricorso alle cognitiones anche a Roma.
L’origine di questo processo a Roma, viene fatto risalire ad Augusto che
aveva iniziato ad attribuirsi nel 30 a.C. il potere, tramite una legge,
che lo autorizzava a giudicare su richiesta di una parte e questi poteri
si estero dal 23 a.C. in forza della tribunicia potestas e dell’imperium
proconsolare maius et infinitum, esercitandoli personalmente o delegandoli
al pretore o ai consoli. Alla fine del secolo I d.C. entrò in uso tra i
giudici la prassi di chiedere al principe un parere, che veniva dato con
un rescriptum che in quella specifica causa era vincolante.
C.Dall’anarchia militare alla morte di Giustiniano
1. La fine del processo formulare
Nonostante il progressivo affermarsi delle cognitiones, la procedura
formulare continuò ad essere applicata fino a verso la metà del secolo III
d.C.; essa aveva tuttavia perduto molti dei suoi caratteri. L’abolizione
di questa procedura avvenne nel 342, quando una costituzione di
Costantino, Costanzo e Costante vietò il ricorso alle formule, definite
mezzi insidiosi, che potevano indurre le parti in errore.
2. Generalizzazione delle cognitiones, i caratteri della
cognitio postclassica
Agli inizi del secolo IV, tutti i processi privati sia in provincia si a
Roma venivano celebrati nella forma della cognitio, che ormai si svolgeva
secondo un modello sostanzialmente uniforme; i principali aspetti
innovativi di questa cognitio erano la citazione in giudizio, processo
contumaciale, potere discrezionale del giudice, condanna in forma
specifica, appello.
a) La procedura
Il processo veniva promosso da chi, affermando di esserne il titolare,
chiedeva l’accertamento e la tutela di un diritto soggettivo.
b) La citazione in giudizio
A partire dalla fine del secolo III, l’atto introduttivo del processo,
ossia la litis denuntiatio, consisteva in un atto scritto detto libellus
notificato dall’attore al convenuto e contenente l’invito a comparire
dinanzi al funzionario o al giudice da questi delegato. Una volta
notificato il libellus, il convenuto poteva inviare un libello di replica
(contradictionis) e le parti dovevano comparire dinanzi al giudice entro
il termine di quattro mesi. Il dibattimento che seguiva, nel corso del
quale aveva luogo l’assunzione delle prove, conduceva alla pronunzia di
una sentenza che poteva essere anche contumaciale. La litis denuntiatio
cadde in disuso, sostituita da un libelllus conventionis, che veniva
inviato non dall’attore, ma dal funzionario, tramite un executor, al
convenuto. Il termine per la presentazioni delle parti venne ridotto a 10
giorni, elevati a 20 da Giustiniano, entro i quali il convenuto poteva
presentare il libellus contradictionis; al convenuto fu fatto obbligo di
prestare una cautio iudicio sisti, garantita da un fideiussor ed in caso
di rifiuto, l’executor poteva arrestarlo e trattenerlo a disposizione del
giudice fino a che il processo non era giunto a termine.
c) La nascita del processo contumaciale
Il magistrato invitata il convenuto a presentarsi, tramite l’evocatio o
denutiatio ex auctoritate; se questi non si presentava, il magistrato
emanava tre edicta successivi, cui faceva seguito, se necessario, un
quarto editto detto edictum perentorium, con cui rendeva noto al convenuto
che avrebbe emesso la sentenza in sua assenza. Il convenuto che non si
presentava nonostante questi editti veniva detto contumax; in questo
processo, la cognitio si svolgeva anche in contumacia, e il giudice era
tenuto a valutare pure gli eventuali elementi in favore del contumace.
d) Il dibattimento
Se compariva in giudizio, il convenuto poteva ammettere le ragioni
dell’attore ovvero contestarle, ma mentre nei processi antecedenti, una
confessio poneva fine al processo, nella cognitio era prova, in forza
della quale il giudice condannava il convenuto. Se invece il convenuto
intendeva contestare la pretesa dell’attore, dopo aver presentato il
libellus contradictionis, si impegnava nella fase del processo denominata
initium; in questa fase il convenuto poteva opporre le sue exceptiones, in
quest’epoca dette praescriptiones (exceptio era l’affermazione da parte
del convenuto di fatti o atti che potevano sostenere le sue ragioni).
e) La litis contestatio
Si riteneva in quest’epoca che la litis contestatio fosse avvenuto quando
l’attore aveva fatto la sua narratio e il convenuto la sua contradictio,
fissando i termini della lite.
f) I poteri discrezionali del giudice e le nuove regole sul valore
degli atti processuali
L’introduzione di nuove regole, limitarono fortemente i poteri
discrezionali del giudice, soprattutto in materia di assunzione e
valutazione delle prove; in età postclassica il regime delle prove
attrasse i giuristi, che sottoposero l’argomento a una regolamentazione
volta innanzitutto a stabilire all’interno di esse una precisa gerarchia
di valori; la prova documentale venne considerata superiore a quella
testimoniale, invertendo così una tendenza che sino a quel momento aveva
dato la prevalenza alla prova testimoniale; rimase in vigore l’onore della
prova a carico di chi aveva interesse a dimostrarne l’esistenza.
g) La sentenza. La nascita della esecuzione in ipsam rem
Il giudice, emanando la sentenza al termine della cognitio, poteva
liberamente stabilire l’ammontare della condanna, e a partire dal secolo
III poteva pronunziare anche condanne non pecuniarie, cioè, oltre che a un
dare, poteva condannare a un facere; le fonti cominciarono a parlare di
un’esecuzione in ipsam rem.
h) La nascita del secondo grado di giudizio (appello)
Il moltiplicarsi delle cognitiones da parte di giudici diversi dal
principe portò alla nascita di un istituto importantissimo, sino a quel
momento sconosciuto al diritto romano, ove tutti i processi si erano
sempre svolti in un unico grado di giudizio; questo istituto fu l’appello
al principe, cui spettava il secondo grado di giudizio; successivamente
questo appello fu delegato dall’imperatore al praefectus urbi, a quello
praetorio o ad altri funzionari.
9. I rapporti giuridici e le
obbligazioni
Origini delle obbligazioni
Le obbligazioni venivano da atto lecito o illecito; vi è un vincolo
materiale da atto illecito (è il soggetto che compie un atto illecito) e
la soluzione era la vendetta, l’applicazione della c.d. Legge del
Taglione, che non poteva non passare attraverso il momento della presa di
possesso della persona responsabile, però il creditore poteva accettare
una compensazione pecuniaria, cioè il pagamento di una sanzione
pecuniaria. Successivamente l’ordinamento intervenne affermando che era
possibile solo la sanzione pecuniaria , in questa fase l’obbligazione
viene intesa come vincolo potenziale.
A. CONSIDERAZIONI STORICHE
1. Prima del vincolo giuridico: il VINCOLO MATERIALE
Alle origini la pena è ero uno strumento che serviva per evitare il
riscatto personale. Il vincolo materiale può derivare da atto illecito o
da atto lecito. I vincoli materiali da atto lecito potevano derivare da
accordi spontaneamente conclusi per regolare interessi privati (es. il
paterfamilias si faceva prestare una derrata prodotto della terra di
largo consumo, come cereali da un altro paterfamilias); a chi aveva
interesse che l’impegno preso venisse rispettato si attribuì un potere
materiale su colui che lo aveva assunto e questi si trovò ad essere
assoggettato a un vincolo materiale, questo vincolo in alcuni casi era
attuale, in altri era eventuale. Originariamente non nasceva un vincolo
giuridico, ma un vincolo materiale, in forza del quale, colui al quale
altri si aspettavano un determinato risultato veniva fisicamente
assoggettato al potere di altra persona. Si cominciò a formare una sorta
di catalogo di comportamenti delittuosi, il cui vincolo materiale nasceva
da un comportamento illecito. Si riconobbe alla vittima un potere su chi
aveva tenuto il comportamento delittuoso, autorizzandola a infliggere
all’offensore il male che la civitas riteneva che costui avesse meritato e
la vittima non agiva più come privato vendicatore ma come un “agente
socialmente autorizzato”; i poteri erano, infliggere all’offensore un male
proporzionato al delitto commesso, tenerlo presso di sé, in condizione di
fatto di schiavitù e ucciderlo. Le XII Tavole prevedevano che venisse
messo a morte:
ladro che agiva di notte;
ladro che agiva di giorno se faceva uso di armi;
ladro sorpreso in flagrante quando era uno schiavo;
colui che di notte aveva tagliato l’altrui raccolto;
chi si era im
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