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E D
= 1
P -
0 k g
dove: D (= D (1+g)) è il dividendo atteso nel prossimo periodo,
⋅
o 1 0
g è il tasso di crescita costante dei dividendi,
o k deve essere maggiore di g per garantire che il denominatore sia positivo e
o che il valore intrinseco sia finito, affinchè i prezzi non siano negativi.
Per stimare g, il tasso di crescita dei dividendi, si assume che il pay-out ratio (rapporto tra
dividendi e utili) sia costante e che il tasso di crescita degli utili sia pari a quello dei
dividendi. Con queste ipotesi, si può calcolare g come:
=⋅
dove: b (= 1 – payout ratio) è la frazione di utili reinvestiti,
o R è il rendimento del capitale reinvestito.
o
Se aumenta g, ciò può derivare da un miglioramento della redditività o da un incremento
del reinvestimento degli utili. Non sempre all’aumento di R corrisponde un aumento di g;
succede solo se la redditività dell’utile reinvestito R è maggiore o uguale a K (rendimento
minimo richiesto dagli azionisti). Se è minore, l’investitore ha un rischio più alto quindi una
richiesta di rendimento superiore e una riduzione del prezzo (valore intrinseco).
Il limite del modello di Gordon sta nel fatto che il tasso di crescita è unico per tutte le
variabili, ma anche per l’intera vita dell’impresa; ciò è molto difficile accada.
3. MODELLO A DUE STADI DI ATTUALIZZAZIONE DEI DIVIDENDI: Questo
modello prevede due diversi tassi di crescita:
Un tasso di crescita elevato g nella fase iniziale di sviluppo,
o 1
Un tasso di crescita stabile g nella fase successiva di maturità.
o 2
La formula generale di questo modello è:
( )
+ t D
n D 1 g P
å = +
= + n 1
P
0 1 n
P ( ) ( ) -
n
+ +
0 t n k g
1 k 1 k dove
=
t 1 2
dove: D sono i dividendi attesi nei primi t anni, scontati con g ,
o 0 1
D è il dividendo atteso dopo l’anno n, scontato con g ,
o n+1 2
Il termine finale si basa sul modello di Gordon applicato alla fase stabile.
o
Limiti principali:
La definizione del periodo n, poiché è difficile stimare con precisione la durata
o della fase di sviluppo,
Il passaggio brusco da un tasso di crescita elevato a uno basso. Questo viene
o risolto con il Modello H.
4. MODELLO H DI ATTUALIZZAZIONE DEI DIVIDENDI: Il Modello H introduce
una transizione più graduale tra tasso elevato e tasso stabile. Assumendo un tasso di
crescita iniziale g elevato, il modello prevede che esso decresca linearmente in un
1
tempo doppio rispetto al momento di inizio della riduzione (da qui 2H). H è un certo
periodo di tempo.
La formula del Modello H è:
dove: H rappresenta la durata del periodo di transizione,
o La crescita decresce linearmente fino a raggiungere il tasso stabile g.
o
Se g < g allora lo sconto è applicato sul valore intrinseco del titolo; se è UGUALE si torna
1 n
al modello di Gordon.
5. MODELLO A TRE STADI DI ATTUALIZZAZIONE DEI DIVIDENDI: Questo
modello si compone di tre fasi:
Crescita stabile iniziale, con alti utili per azione e basso pay-out ratio,
o Crescita decrescente nella fase intermedia, con un progressivo aumento del pay-
o out ratio,
Stabilizzazione finale, in cui il tasso di crescita e il pay-out ratio si stabilizzano.
o
La complessità della formula include calcoli per ogni fase, con adattamenti del tasso di
sconto per riflettere il cambio nei flussi di cassa attesi. L’andamento del tasso di
distribuzione degli utili è opposto. La variabilità del tasso di distribuzione dei dividendi
(coerente con lo sviluppo aziendale) è un vantaggio del modello.
IL PRICE-EARNINGS (P/E)
Il PRICE EARNINGS è uno degli indicatori più comuni per valutare se un titolo azionario è
sottovalutato o sopravvalutato. Si calcola come il rapporto tra il prezzo corrente del titolo
P e l'utile per azione atteso (EPS - Earnings Per Share). La formula è:
0
0
=
1
dove: P rappresenta il prezzo del titolo al tempo attuale.
• 0
EPS è l'utile per azione atteso per il periodo futuro.
• 1
Questo indicatore mostra quanti euro si è disposti a pagare per ogni euro di utile generato
dall’azienda. Più alto è il valore di P/E, maggiore è il prezzo pagato per unità di utile, il che
può indicare aspettative di crescita elevate o un titolo sopravvalutato. Al contrario, un
valore di P/E basso può suggerire un titolo sottovalutato, ma anche un rischio maggiore.
Per determinare P bisogna operare rettifiche se sono presenti operazioni di stacco o
0
assegnazione di diritti d’opzione e calcolare una media degli ultimi prezzi dell’azione.
Per calcolare EPS , si utilizza l'ultimo utile di bilancio, che va diviso per il numero totale di
1
azioni. Si consiglia una “normalizzazione” dell’utile, eliminando eventuali componenti
straordinarie per rendere il valore rappresentativo della redditività costante dell’impresa.
Inoltre, è importante garantire l’omogeneità temporale degli utili considerati, analizzando
la dinamica evolutiva degli ultimi anni per cogliere eventuali tendenze.
Il rapporto P/E può essere interpretato anche come il reciproco del tasso di rendimento
offerto dal titolo azionario. Per esempio, se un titolo ha un P/E pari a 20, significa che gli
investitori sono disposti a pagare 20 unità di prezzo per ogni unità di utile. Il reciproco di
1
20, ossia =0.05 o 5%, rappresenta quindi il rendimento implicito che ci si aspetta
20
investendo in quel titolo. Questo indica il rendimento che il mercato richiede, date le
aspettative di rischio e di crescita future per l’azienda.
Slide 152: Regole Decisionali su P/E
Le regole decisionali riguardo al P/E si basano sul confronto tra il valore del multiplo e le
aspettative di mercato:
Titoli con P/E basso: Sono considerati sottovalutati e rappresentano un’opportunità
• di acquisto. Ciò accade poiché un P/E basso indica che gli investitori stanno pagando
poco per unità di utile, probabilmente per via di aspettative di crescita basse o per il
rischio percepito.
Titoli con P/E alto: Vengono considerati sopravvalutati, quindi indicano
• un’opportunità di vendita. In questo caso, gli investitori stanno pagando un premio
più elevato per ciascun euro di utile, segno di aspettative di crescita alta o di
valutazioni ottimistiche.
Per comprendere il legame tra P/E e fondamentali, si utilizza il MODELLO DI GORDON,
noto anche come Dividend Discount Model (DDM), che stabilisce il valore del titolo in
funzione dei dividendi futuri attesi e del tasso di crescita degli stessi. La relazione del
modello di Gordon è espressa dalla formula:
1
=
0 −
dove: D è il dividendo atteso per l’anno successivo.
• 1
k è il tasso di rendimento richiesto dagli investitori.
• g è il tasso di crescita dei dividendi.
•
Secondo il modello di Gordon, se un titolo è in grado di generare una crescita dei dividendi
superiore al tasso richiesto k, il valore del titolo aumenta. Di conseguenza, il P/E riflette
anche le aspettative di crescita dei dividendi: un P/E elevato può significare che il mercato
si aspetta una crescita dei dividendi significativa, mentre un P/E basso può indicare basse
aspettative di crescita. (1 + )
1 0
= =
0 − −
Sappiamo che d è il tasso di distribuzione degli utili e si calcola: , quindi D = EPS*d;
0
= 0
0
∗(1+)
quindi: 0
=
0 −
(1 + ) (1 + ) (1 + )
0 0
≈ = = =
− − ∗ − (1 − )
0 0
Se sale d, allora salirà anche k, cioè il rendimento richiesto dagli azionisti
↑ (1 + )
0 0
↑ ≈ =
−
0 0
Se la distribuzione degli utili, anche il Price Earning. Allo stesso tempo, se salgono i
↑ ↑
dividendi, allora g, che troviamo al denominatore
↓
Il P/E varia significativamente in funzione del ciclo di vita dell’azienda. Ad esempio:
Fase di AVVIO: il P/E tende ad essere basso perché l'azienda è percepita come
• rischiosa, con alti tassi di sconto.
Fase di SVILUPPO: il P/E aumenta man mano che la crescita diventa più prevedibile
• e il rischio percepito si riduce.
Fase di MATURITÀ: il P/E si stabilizza.
• Fase di DECLINO: il P/E scende per via delle prospettive di crescita limitate.
•
Questa relazione implica che il P/E non è solo una misura statica, ma riflette le aspettative
di mercato riguardo al futuro dell'azienda.
L’assunto secondo cui un P/E basso comporti un rendimento elevato trova giustificazione
solo in specifici contesti. In mercati inefficienti, il prezzo di un titolo può adeguarsi
lentamente al suo valore effettivo, generando opportunità di rendimento elevato per gli
investitori che identificano correttamente titoli sottovalutati. Tuttavia, questa relazione può
essere spiegata da diverse teorie:
1. Moderna teoria del portafoglio e CAPM (Capital Asset Pricing Model): Secondo il
CAPM, un titolo con un P/E basso è spesso associato a un rischio più elevato,
rappresentato da β. Un β elevato implica che il titolo è più sensibile ai movimenti di
mercato, aumentando la volatilità e quindi il rischio percepito. I rendimenti più alti
per titoli con basso P/E possono dunque essere giustificati come compensazione per
il rischio maggiore.
2. Orizzonte temporale limitato al breve termine: In un'ottica di breve termine, il
mercato può non riflettere ancora pienamente il valore fondamentale di un titolo. In
questo caso, gli investitori possono sfruttare il tempo necessario per il riallineamento
dei prezzi ai valori fondamentali per ottenere rendimenti superiori. Questo approccio
è particolarmente valido in mercati meno efficienti.
Una strategia comune è combinare il rapporto P/E con una stima dell’utile per azione (EPS)
su un orizzonte temporale di 12 mesi. L’obiettivo è migliorare la capacità del P/E di
rappresentare il valore futuro del titolo. La formula per il prezzo del titolo è:
1
= ∗ 12
0 −
In questo c