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NARRAZIONE DEL 'LIMITE' NELLA PANDEMIA DICOVID 19
Parte dalla narrazione del tema del limite, qualcosa che caratterizza la condizione umana. Collegandosi al vulnus uno di questi temi è l'infodemia.
Infodemia: infoà informazioni demiaà pandemia, le informazioni riguardanti la pandemia.
La pandemia ha portato alla luce questo vulnus, infodemia, siamo immersi da tante informazioni che nessuno di noi è in grado di gestire, il nostro cervello riesce solo a recepire un tot di input in un arco temporale.
Le informazioni non le percepiamo come un computer ma come un essere umano, dandoli forma e interpretandole, comunicando delle emozioni. C'è stato questo taglio che da una parte ha visto la conoscenza scientifica e dall'altra delle rappresentazioni mediatiche di questi dati che a tratti avevano poco a che fare con la conoscenza scientifica.
Il mondo dell'informazione è un mondo che non si ferma, vedere cosa è
reale e cosa no. Deriva un nostro disorientamento nella realtà, ma far passare alcune cose conoscenze scientifiche ciò che magari non c'è nulla di scientifico. Questo tema dell'infodemia ha investito anche il tema del limite, parlando spesso di fragilità in termini non completi per cui l'autrice avverte il bisogno di andare a riflettere sul tema della fragilità e del limite in modo più adeguato o in modo antropologicamente più completo. Occorre rivisitare il tema della fragilità in termini non fare ma in termini il più possibili reali. Riprende il concetto di limite, dal latino limes, che significa confine; quindi, di per sé stiamo descrivendo qualcosa di molto sano e fisiologico perché il limite di confine ci descrive cosa possiamo o non possiamo fare. La presenza del limite è condizione di sanità mentale, è necessario mettere dei confini anche per la nostra identità. Bisognaaccettare il limite come un fattore costruttivo e non distruttivo, se non si fa si è una persona frustrata e confusa con un'identità poco sviluppata. L'ideale di umanità senza limiti da dove salta fuori? L'essere umano desidera la felicità quindi l'essere umano effettivamente desidera andare oltre il limite perché esso può essere un ostacolo. La storia dell'occidente è sempre stata caratterizzata da questa possibilità/impossibilità di andare oltre al limite, dall'altra è pur vero che certi limiti vogliamo evitare. Questa ricerca la possiamo perseguire però in modo negativo. Questo ha caratterizzato tutta la storia dell'Occidente con la caduta di Diometrio di sfidare gli dei, perde questa sfida e si concretizza nella storia umana non il fronte dei limiti invalicabili e cercare dei limiti che non fanno parte della natura. (Transumanesimo: andare oltre il limite supremo, la)morte)àes.conservazione del corpo
Tutte queste attività descrivono come si potrebbe andare oltre il limite, di fatto va a distruggere l’idea stessa di uomo e di vita perché cerca di procurarsi la felicità attraverso strumenti che non gliela possono dare.
Gli esseri umani dipendono da qualcosa e la condizione umana è caratterizzata dalla fragilità (relativo a sé) e vulnerabilità (relazione preliminare).
L’autrice del saggio dice che non dobbiamo essere schiacciati dallimite, il nostro comportamento non può essere determinato dal distacco, il limite va letto come condizione umana, non può essere accettato in modo deterministico e passivo ma va vissuto, il mio desiderio vive attraverso i limiti.
Il nostro giudizio deve prendere le mosse dal riconoscimento del bene che siamo per noi stessi, il limite condizione per la quale realizzo che il bene che sono.
TAIVE NARRAZIONE
PROGETTAZIONE ESISTENZIALE 19/04/2023
IL TEMPO DEL DOLORE?
(Roberto Diodato) Parte con questa provocazione del filosofo Hun "il dolore è undono" ma non qualcosa di buono ma usato per fini costruttivi e non distruttivi. Però Diodato non è d'accordo perché dice che nella nostra cultura è avvenuta una trasformazione profonda dell'immagine dell'essere umano, siamo la prima generazione che vive così tanto del consumo, cioè siamo diventati una specie nuova: l'uomo consumatore e le macchine del sentire che oggi costruiscono i nostri desideri non permettono uno spazio riflessivo. Il nostro livello di usa e getta è esponenziale, tutto questo meccanismo gioca attorno al perno del desiderio perché l'essere umano è in moto grazie al desiderio. Tutto il successo del consumismo fa leva sulla natura desiderante dell'essere umano, perché lui non può fare a meno di desiderare e la natura di questo desiderio che non può placarsi in
virtù di quello di un bene infinito, il desiderio ha inizio da una percezione fisica o materiale ma non si accontenta di questo.
Il consumismo di fatto elimina questa dimensione e dice bene. E vero che tu hai una sete infinita?
Questa sete infinita può essere colmata attraverso una somma infinita di chiamiamoli così oggetti materiali—> il cosiddetto shopping (to shop vuol dire qualcosa descritto bene da una pubblicità, tutto ciò che tu sogni e non pensavi che esistesse).
Questa sollecitazione è così massacrante che non abbiamo tempo di arrivare alla radice dell’oggetto non facciamo in tempo a chiederci che cosa veramente desideriamo, perché tanto abbiamo davanti una quantità infinita di oggetti o di opzioni che ci rendono molto difficile e rendono molto difficoltoso questo processo di chiamiamolo così, di autovalutazione del desiderio.
La pandemia ci ha posto questo vulnus e come se ha attivato unorgani
Percettivo che era smarrito e questo dono è smarritoperché:
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Il dolore apre un'altra visibilità. Esso è un organo percettivo che abbiamo smarrito.
Siamo riusciti ad uscire da questo carrello gabbia e a stupirci di cose semplici che abbiamo sempre dato per scontato, ci siamo accorti di più della natura che avevamo bisogno. Durante la pandemia si è molto diffuso il digitale, ma Diodato dice che bisogna avere una consapevolezza critica.
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L'ordine digitale è anestetico. Abolisce determinate forme temporali e percettive.
Processi di anestetizzazione che coinvolgono le dimensioni trascendentali dello spazio e del tempo, cioè le dimensioni estetiche della nostra esperienza. Il digitale altera fortemente la dimensione estetica della nostra esperienza, ci permette di accedere a tante esperienze estetiche che però non si traducono mai in esperienze reali. Le operazioni artistiche hanno sempre avuto la capacità.
diattivare la nostra aisthesis, le nostre capacità estetiche: l'immaginazione, il sentimento, la creatività e di essere antidoto all'omologazione e alla standardizzazione dei comportamenti e dei gusti. Oggi l'arte viene costretta con tutte le forze nel corsetto del ‘mi piace’. La digitalizzazione dell'arte ha creato la riduzione del bello al corsetto del mi piace.
3. il senso del tragico: Senso contemporaneo del tragico: nessuna razionalizzazione della sofferenza inutile ed innocente è pensabile e proponibile eticamente. Il tragico è la negazione della bellezza, il tragico è qualcosa di veramente brutto che esteticamente non possiamo accomodare in un discorso razionale. Il tragico resiste come sfida del pensiero.
Visione del video true dectective Che cosa ci dice questo dialogo? Da una parte Martin, quello che insomma è anche il credente della coppia di detective. Dopo tutto quello che ha visto dice a me sembra che
Ci sia oscurità. Lascia trapelare quello che pensa e che magari aveva nascosto sotto una serie di convinzioni che ha usato come punti d'appoggio per non soccombere. L'altro, invece, l'uomo totalmente privo di orientamenti etici e quant'altro. E quello che nella sceneggiatura vuole comunicare allo spettatore. Chi vede queste immagini vuole comunicare quella che lui crede essere la verità, cioè proprio quello che ha lasciato che il dolore entrasse nelle sue ossa e non l'ha spinto fuori. Come dire sì, sì, ok, ma poi vedrai che andrà tutto bene. Quello che ha lasciato entrare il dolore nelle sue ossa è quello che proprio attraversando il dolore dice "<<Una volta dominava l'oscurità, ora la luce sta vincendo>>". Questo ha un significato fortemente metaforico, imitazione di un quadro che si intitola resurrezione, è come dire che la luce la vedi non perché
neghi il dolore ma perché lo attraversi.à4.
In tempi di pandemia, il dolore degli altri scompare ancor più in lontananza. Vicinanza=infezione. Nella pandemia il dolore accade come ferita che mette in crisi la dimensione relazionale: la vulnerabilità attualizza quella fragilità che ci caratterizza. Han ha torto nel sostenere che il dolore è un dono (il dono è la nostra umanità): esso è tale solo investendosi primariamente dello sguardo di colui che soffre, è piuttosto un dono ciò che noi siamo, è un dono la nostra costitutiva fragilità. Solo quando la fragilità viene messa in comunione, si apre uno spazio comune. Come lavorare all'aperto immersi in un ambiente naturale possa attivare una conoscenza percettiva, ci fa fare un'esperienza conoscitiva molto più ampia di una didattica frontale piuttosto che un momento di dialogo che vede coinvolta una sfera riflessiva.
razionale e non sensibile due saggi questo di Diodato e di Elisabetta Colombetti, outdoor education e contaminazioni
CONTAMINAZIONI. DALLA DISTOPIA ALL'EUTOPIA DELLE RELAZIONI (Elisabetta Colombetti)
Contaminazione: stesa radice di contagio cum-tagio, ovvero toccare assieme poi ha avuto una modificazione questo concetto, ha avuto una valenza negativa ovvero la trasmissione di virus. Questo toccare assieme vedetre relazioni: linguaggio, la relazione e spazio e tempo.
- Contaminazione del linguaggio: taminare indica un pericolo. Per avere una contaminazione del linguaggio si ha avuto un oscillazione semantica tra quarantena, ovvero 40 giorni di isolamento, da noi vuol dire essere isolato un tempo variabile dettato da un tampone d'entrata e d'uscita. Dettato da un fattore medico, ovvero essere positivi al virus, (accezione temporale-ambito medico) e lockdown (dimensione spaziale-ambito bellico). La quarantena è stata