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STUDI CULTURALI SULLA DISABILITÀ
Gli studi critici sulla disabilità appaiono strettamente legati all'approccio dominante in Nord America per la ricerca e la teorizzazione della disabilità che spesso ha adottato l'etichetta di "studiculturali sulla disabilità". Questo approccio fa parte della famiglia degli studi sociali: questi adottano una versione del modello sociale, ma si differenziano dall'approccio materialista britannico in quanto sono più interessati all'indagine sulla cultura e sull'identità che alle questioni economiche. Danno infatti enfasi al discorso sulla corporeità, alla consapevolezza dell'immaginario culturale, alla decostruzione del pensiero binario a favore della fluidità tra le varie categorie, all'importanza dell'emozione e dell'affetto. Gli studi culturali non esplorano solo le relazioni sociali materiali ma anche l'immaginario sociale. Si vuole dimostrare
che la disabilità non vuol dire solo soffrire di una condizione medica, ma caricarla di significato, simbolismo e connotazioni diverse. In questo senso la disabilità è qualcosa che riguarda il discorso, non l'anormalità. Un altro aspetto importante per questi studi è esplorare gli atteggiamenti dei non disabili e la nozione di corpo abile, capendo perché avviene l'esclusione dei disabili. In una società che obbliga ad avere un corpo abile, i disabili, non soltanto come disabili, sono un capro espiatorio per disconoscere gli aspetti della corporeità che mettono a disagio i non disabili. Nasce la nozione di abilismo: una rete di credenze che proiettano un tipo di corpo come perfetto ed essenziale. A causa dell'inaffidabilità dei corpi umani, è difficile sostenere una nozione di corpo abile, di qui la necessità psicologica della discriminazione dei disabili per scaricare le frustrazioni di un corpo fallibile.è il problema di questi studi > più che delle condizioni materiali e reali della vita di queste persone, questi studi analizzano le rappresentazioni che se ne fanno quando però il problema per le persone disabili non è solo l'immagine negativa della disabilità quanto le opportunità limitate dformare relazioni, lo scarso accesso all'educazione sessuale, l'inefficacia sanitaria in alcuni casi ecc.
L'assenza di ricerca empirica si spiega in parte con il fatto che questi studiosi non sono quasi mai scienziati ma quasi sempre umanisti quindi fanno affermazioni sul funzionamento della società ma non sono in grado di testare empiricamente le loro teorie. In conclusione le espressioni di parità di riconoscimento non sono seguite da una parità di trattamento.
L'APPROCCIO DEL REALISMO CRITICO ALLA DISABILITA'
Dai capitoli iniziali si capisce che invece di distinguere tra modello medico e modello sociale
è più produttivo distinguere tra spiegazioni riduzioniste e multifattoriali, e si preferiscono le seconde. Le prospettive esistenti hanno sia svantaggi che vantaggi: la sociologia medica offre prove empiriche per esplorare come l'impatto della malattia o della menomazione influisce sul senso di sé della persona e sui suoi rapporti con gli altri, ma lascia indietro l'aspetto sociale (economico e politico); gli studi materialisti d'altro canto evidenziano come le barriere sociali siano disabilitanti per le persone con menomazioni ma non danno una lettura della menomazione stessa né come esperienza personale né come spiegazione causale per lo svantaggio; gli studi culturali attirano l'attenzione sulla variabilità storica e culturale dei modi di classificare e descrivere la menomazione e cercano di capire a livello psicologico perchè questa rappresenti un problema per le persone disabili, ma quest'approccio è pocoutile dal punto di vista pratico. Vediamo quindi un altro approccio che potrebbe conciliare diversi fattori offrendo una base per una politica progressista. L'autore trova che la prospettiva realista critica sia il modo migliore per comprendere il mondo sociale perché sa tenere conto della sua complessità. Realismo critico significa accettazione di una realtà esterna: si occupa dell'esistenza indipendente di corpi che a volte fanno male nonostante ciò che possiamo pensarne noi. Si distingue quindi fra ontologia (come stanno le cose) ed epistemologia (ciò che ne pensiamo noi): la menomazione è sempre esistita ed ha un'esistenza indipendente, al di là di come la rappresentiamo. Inoltre questo modello propone un'interazione tra cultura, economia e biologia senza che nessuna predomini escludendo le altre. Infatti si comprende come la disabilità sia interazione di fattori biologici, culturali, psicologici e socio-politici.Una prospettiva olistica sostiene che la disabilità derivi sia dal corpo che dalla società. Vi è quindi un rapporto tra fattori individuali e contestuali: i primi riguardano la natura dell'amenomazione e l'atteggiamento dell'individuo nell'ottica che un approccio più positivo possa migliorare la vita tanto quanto le cure mediche; i secondi invece riguardano gli atteggiamenti degli altri, l'ambiente, i problemi culturali, sociali ed economici.
Per quanto riguarda la natura dell'amenomazione va anche riconosciuta una multidimensionalità, cioè una varietà delle esperienze dei disabili che si manifesta nelle diverse esigenze, nei diversi svantaggi sociali e nei diversi modi in cui è poi possibile migliorare la situazione.
Bisognerebbe infine modificare la percezione che abbiamo della disabilità in una prospettiva più inclusiva e universale: ognuno ha limiti e una società in cui si dia per scontato che le
disabilità sono vulnerabilità, dunque qualcosa che tutti sperimentiamo nel corso della vita e un conseguente impegno perché le esigenze dei disabili siano accolte è nell’interesse di tutta la società in quanto bene comune. Se i disabili hanno lo stesso valore morale dei non disabili, le disposizioni sociali devono compensare le menomazioni. Non solo pari opportunità, ma ridistribuzione delle risorse. Questa è la posizione appoggiata da Shakespeare.
POLITICA E IDENTITÀ DELLA DISABILITÀ
Il movimento per i diritti dei disabili mette in risalto il lavoro sulla disabilità come ricerca di un'identità politica: il movimento britannico, con il discorso sulle barriere sociali, cerca di racchiudere una concezione della disabilità come minoranza. Vediamo di smontare un preconcetto che spesso si da per scontato riguardo i vantaggi di un'identità della disabilità: bisogna abbattere la come
membrodistinzione paradossale tra distintivo ed etichetta > per un disabile identificarsidella comunità dei disabili è considerato positivo, mentre una diagnosi èconsiderata negativa in quanto prende la forma di un'etichetta e la paura è quella che generialtre associazioni negative e sia poi motivo di discriminazione oppure che eclissi l'identitàdell'individuo e influenzi le sue relazioni sociali. In realtà secondo S. la stigmatizzazione puòavvenire anche senza etichette e viceversa. Inoltre la diagnosi è un processo importante checonferisce credibilità e il diritto a cure e sussidi.
Chiediamoci ora fino a che punto i disabili si considerano parte di una minoranza, seppur grande.Molte persone con menomazioni non desiderano identificarsi né comemenomate (etichetta), né come disabili (distintivo) > si considerano normali erifiutano di definirsi attraverso le loro condizioni di salute.
la politica identitaria della disabilità ha avuto un impatto significativo, ma ha anche suscitato critiche da parte di Shakespeare. Queste critiche si basano sulla contraddittorietà e incoerenza della politica identitaria, che potrebbero essere attribuite all'eterogeneità delle esperienze dei disabili.La politica identitaria è votata al fallimento perché in fin dei conti ognuno ha un'identità. Un problema grande è il fatto che questa politica poggia su un'accettazione piuttosto istintiva della distinzione tra disabile e non disabile in quanto, in ultima analisi, i disabili sono coloro che si identificano come tali. Se la base di un'identità politica non può trovarsi nella menomazione, in quanto irrilevante, va trovata nella resistenza comune all'oppressione e infatti appunto fanno parte della categoria tutte e sole quelle persone che si identificano come vittime di un'oppressione. Così facendo si potrebbero includere persone non oggettivamente oppresse, o oppresse per differenze fisiche che non sono menomazioni, o si potrebbero escludere persone oggettivamente oppresse che si rifiutano di identificarsi così. Insomma il raggruppamento artificiale risulta insoddisfacente: le identità socialmente costruite.
soluzione alternativa, chiamata "modello della diversità", che cerca di superare le limitazioni dei modelli precedenti. Questo modello si concentra sull'idea che la disabilità non sia una caratteristica intrinseca della persona, ma piuttosto una costruzione sociale che deriva dall'interazione tra la persona e l'ambiente circostante. Secondo il modello della diversità, la società dovrebbe essere inclusiva e garantire l'accessibilità a tutti, indipendentemente dalle loro capacità fisiche o cognitive. Questo implica la rimozione di barriere architettoniche, l'adattamento degli ambienti di lavoro e l'eliminazione di pregiudizi e discriminazioni. Inoltre, il modello della diversità sottolinea l'importanza di considerare le diverse abilità e competenze delle persone disabili, anziché concentrarsi solo sulle loro limitazioni. Questo approccio promuove l'autonomia e l'empowerment delle persone disabili, riconoscendo il loro ruolo attivo nella società. In conclusione, mentre i modelli medico e sociale hanno contribuito a cambiare la percezione della disabilità, il modello della diversità offre una prospettiva più inclusiva e centrata sulla persona. Questo modello invita a superare le barriere e a valorizzare le abilità di ogni individuo, promuovendo una società più equa e accessibile per tutti.nuova concezione di disabilità che chiamano modello dell'affermazione e che consiste in un'enfasi sui vantaggi politici dell'identificarsi con una collettività.