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VIRTÙ e apprendimento della virtù
VIRTÙ diventa raggiungibile da molti“infatti è compiendo le azioni proprie delle transazioni che si hanno con le altre persone,che alcuni di noi diventano giusti e altri ingiusti” l’apprendimento avviene tramite interazionesociale e condivisione delle conoscenze e dei valori morali che il soggetto assimila
CAPITOLO 2.2 - La definizione della virtù secondo Platone
Platone attua una distinzione di metodo da Platone che è orientato ad una definizione della virtù in quanto la conoscenza comprende la virtù stessa e afferma che il suo campo di indagine è pratico e riguarda le azioni. La pratica educativa avviene mediante i contrari (GLI ESTREMI). “La virtù morale riguarda i piaceri e i dolori” Aristotele argomenta l’importanza di stimoli positivi e negativi per educare il bambino alla virtù, presenta 4 argomenti in favore: 1. piacere e dolore influenzano le azioni e ad ogni azione conseguono reazioni passionali (piacere e dolore), per tale ragione
Le passioni fungono da strumenti educativi. La tendenza al piacere è innata, per tale motivo la ragione fatica ad opporvisi, decadendo nel vizio. Il processo educativo deve essere finalizzato al riconoscimento e la distinzione dei piaceri che sono da perseguire da quelli che non lo sono.
Piacere e dolore sono il metro usato per giudicare moralmente le azioni. Necessità di plasmare la necessità verso il piacere e il dolore in vista dell'educazione, per indurre a comportamenti virtuosi. Fin da piccoli è necessario ricevere relativamente al piacere e al dolore. Chi si astiene dai piaceri e gode di quest'astinenza è temperante e chi non gode è intemperante. Il riferimento al piacere non è estrinseco. Piacere e dolore appartengono alla medesima dimensione originaria che accomuna tutti i viventi. La direzione verso il piacere e verso il dolore è innata. Occorre imparare a provare piacere per le cose per cui bisogna provarlo. La virtù morale riguarda i piaceri e i dolori.
Per questo bisogna essere abituati fin da piccoli. È per l'intervento dall'esterno, dall'educazione che insegna a godere e ammaricarci per le cose per cui dobbiamo provare piacere e dolore. Non abbiamo già scritto in noi i comportamenti adeguati.
CAPITOLO 2.3
Le azioni virtuose non sempre coincidono con la virtù. Il capitolo si apre con la risposta alla contestazione di tipo sofista secondo cui chi impara non sa ancora eppure agisce, ossia chi non possiede la virtù è in grado di compiere azioni virtuose. Aristotele afferma che il prodotto di un'azione virtuosa è tale in sé ma non implica necessariamente che chi la compia possegga la virtù. "Le azioni virtuose non sono compiute giustamente, quando hanno una certa qualità, ma lo sono se in colui che agisce lo fa trovandosi in certe condizioni" affinché si possa attribuire una qualità morale ad un'azione sono necessarie le seguenti:
condizioni:
- Agire consapevolmente.
- Compiere la scelta dell'atto virtuoso.
- L'atto virtuoso deve essere stato compiuto per sé stesso.
- L'azione virtuosa deve avere una disposizione salda e essere immutabile.
Le azioni sono virtuose non perché hanno in sé la virtù, ma quando ci sarà consapevolezza, scelta e quando l'azione è espressione di un dato costante. Il sapere non conta molto, si tratta di un sapere teorico. La razionalità morale è figlia dell'abitudine e educazione. Non si aggiunge compiendo azioni virtuose, ma nasce grazie all'educazione ad azioni virtuose.
CAPITOLO 2.4
le qualità della virtù
La virtù etica è una qualità della parte appetitiva dell'anima che è costituita da:
- Passioni: reazione dell'anima ad una percezione esterna a cui fa seguito piacere e dolore.
- Capacità: essere in grado di provare passioni.
- Stati abituali: disposizione o
atteggiamento con cui ci poniamo nella gestione delle passioni (es. temperanza) poi passa ad indagare per eliminazione in quali di questi generi rientri la virtù concludendo che essa consista infine nella disposizione, ossia uno stato abituale che produce scelte e che è oggetto di giudizio morale. "le virtù e vizi non sono delle capacità, né delle passioni: le capacità le abbiamo per natura ma non diventiamo buoni o cattivi per natura [...] rimane solo che le virtù siano stati abituali" teoria delle virtù = principi generali acquisizioni stabili" fasi del ragionamento: 1) la virtù non può essere una passione perché esse sono impulsive e involontarie, e per tale ragione non possono essere oggetto del giudizio morale che invece riguarda la virtù (quindi sulla capacità individuale di fronteggiare una passione) inoltre le passioni sono delle forze motrici mentre le virtù sono delle
disposizioni d'animo
la virtù non può essere ridotta alla capacità affettiva perché essendo comune a tutti gli uomini non potrebbe fungere da metro di giudizio. inoltre le capacità sono innate mentre la virtù si acquisisce con l'esperienza
CAPITOLO 2.5-6
l'essenza della virtù: la regola del giusto mezzo
- L'intermedio delle cose è ciò che dista in modo uguale da ciascuno degli estremi ed è lo stesso per tutti.
- L'intermedio relativo a noi è ciò che non eccede né fa difetto e non è né uno solo né uguale per tutti.
Sia l'eccesso che il difetto distruggono il bene, mentre la medieta lo salva. La virtù morale riguarda le passioni e le azioni ed è in queste che si danno eccesso, difetto e giusto mezzo.
La virtù, quindi, è una certa medieta, dato che è ciò che tende al giusto mezzo. Per questi motivi l'eccesso e il difetto sono propri del vizio, la medieta è
propria della virtù. La definizione medietà non è mediocrità ma il culmine fra gli estremi, la qualità. Gli estremi opposti sono ciò che è più evidente per noi rispetto all'uguale, cioè il giusto mezzo. Esso è determinato per opposizione agli estremi e a partire da essi. La differenza fra il giusto mezzo e gli estremi è qualitativa oltre che quantitativa. La virtù è determinata razionalmente, in quanto il criterio della medietà lo ricaviamo dalla ragione, determinazione di ciò che non sia né in eccesso né in difetto. Considerata particolarmente (ossia dal punto di vista di una sua qualità individuale), la virtù è anche un estremo, ossia il bene e l'eccellenza, ma considerata interamente, quindi nella sua essenza, la virtù è medietà. Mentre nelle passioni così come nelle azioni ingiuste non vi è medietà, in quanto
sua somiglianza con il giusto mezzo è minima. Aristotele sostiene che la virtù si trova nel mezzo tra due estremi opposti, e che questi estremi sono più diversi tra loro che dal giusto mezzo. Ad esempio, il coraggio si trova tra la codardia e la temerarietà.medietà talvolta si oppone più al difetto che all'eccesso. "Infatti uno degli estremi è più sbagliato e l'altro lo è meno" questo avviene per due cause: a) che riguarda la cosa stessa che ha una qualche somiglianza più con il giusto mezzo con l'altro estremo che invece è più simile al vizio b) che riguarda le predisposizioni connaturate in noi, la nostra natura come misura delle cose (es. essendo in noi più forte la propensione al piacere che al dolore istituiamo una maggiore contrarietà fra temperanza e l'autocontrollo che al dolore) Il giusto mezzo inoltre non è un punto ma un segmento: una piccola deviazione dal giusto mezzo non ci fa rientrare nei casi di biasimo. LIBRO III CAPITOLO 3.1-2-3 Lo statuto di volontarietà delle azioni La virtù è una scelta: affinché sia possibile attribuire un giudizio morale di virtù a un soggetto bisogna cheL'azione abbia il carattere della volontarietà, e che quindi sia il frutto di una scelta consapevole. Le azioni si distinguono in due categorie sulla base delle circostanze e del principio movente:
- Volontarie
- Con deliberazione: il principio dell'azione interno all'agente che implica la scelta secondo ragione
- Senza deliberazione: azione causata da condizionamenti e pregiudizi
- Involontarie
- Per costrizione: azione forzata in cui il principio è esterno all'agente e a cui provoca dolore e pentimento
- Per ignoranza: azione che può essere involontaria in caso di pentimento e dolore e non-volontaria in caso di indifferenza e scaturisce il biasimo altrui (chi ignora sia l'oggetto dell'azione sia gli strumenti con cui agisce sia il fine)
- Ignoranza circostanziale: la possibilità di vedere il bene nel caso in cui non sapere porta ad un'azione volontaria
- Ignoranza abituale o universale (per se stessa?)
Che è un'ignoranza che riguarda i mezzi per raggiungere un determinato fine o che riguarda i desideri da cui bisogna astenersi. Non è causata dall'involontarietà poiché è un'ignoranza che "si annida nella scelta" non potendo l'agente, secondo Aristotele, "ignorare se stesso". Miste: la scelta è indotta da condizioni esterne ma il principio è interno, Aristotele completa la definizione dicendo che in sé (astrattamente) queste azioni sono involontarie poiché nessuno le sceglierebbe per se stesse. Il giudizio morale, il grado di volontarietà e di responsabilità è associata ad un giudizio: le azioni che si perdonano sono quelle in cui un individuo è costretto a compiere una brutta azione per le circostanze che devono avere un peso significativo, le azioni oggetto di biasimo sono quelle compiute volontariamente o per causa di un influsso esterno di poco conto.
mentre la lode riguarda quelle azioni compiute consapevolmente le cause finali