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La concezione aristotelica dello Stato e la cittadinanza

Nella filosofia aristotelica, da una parte comincia a formarsi una concezione di Stato come comunità basata su rapporti intersoggettivi, ove regna la concordia. Qui i cittadini sono riconosciuti eguali uguaglianza come categoria normativa (isonomia), un modo di disegnare come dovremmo essere. La contraddizione è che Aristotele afferma che gli schiavi sono tali per natura, restringendo il perimetro della cittadinanza, attribuendo uno status di serie B anche a donne e stranieri (meteci).

La cittadinanza storicamente è stata una forma di privilegio: chi non è titolare ha goduto di maggiori diritti. Dunque, si ha una tensione tra l'uguaglianza vista come isonomia (dinanzi alla legge) e uguaglianza come categoria normativa.

La riflessione giusnaturalistica greca si lega a quella romana repubblicana. L'anello di congiunzione tra le due è dato dallo Stoicismo, filosofia che comincia a svilupparsi in Grecia già nel III secolo a.C.

Influenzando il pensiero romano tra il II e il I secolo a.C., per poi svilupparsi direttamente a Roma con autori come Seneca, Epitteto e Marco Aurelio.

Gli Stoici pongono un'enfasi sull'individuo e ritenevano che l'universo fosse animato da un principio assoluto, razionale e divino. Per loro, la natura è governata da una legge universale, immanente, razionale di origine divina (Logos, ragione), presente nella mente umana. L'essere umano, prescindendo dalla legge dello Stato, ha in sé un'idea di ciò che è bene e male, colta dalla ragione stessa.

Il diritto viene concepito come parte dell'ordine universale, quale principio insieme divino, razionale e naturale e da esso devono scaturire le leggi positive che, quindi, come per Platone, non possono essere che opera dei saggi.

Il diritto positivo necessariamente deve conformarsi al diritto naturale. Un altro elemento interessante della riflessione stoica riguarda il collegamento tra

universalismo e cosmopolitismo: se esiste una sola legge divina che tutti gli esseri umani sono in grado di cogliere attraverso la ragione, non deve esserci una differenza tra gli esseri umani stessi sulla base delle varie nazionalità. Questo giusnaturalismo stoico ebbe gran fortuna a Roma, dove venne divulgato efficacemente soprattutto da Cicerone, famoso studioso e giurista della crisi della repubblica romana che, soprattutto nel De Legibus, compie un'ampia ed argomentata trattazione del principio del diritto. Egli vede il rischio dell'andare in frantumi della concezione repubblicana e, mediante la sua opera, mira a difenderla. Per Cicerone è centrale il tema del ruolo del diritto: la difesa non è meramente politica, bensì di civiltà giuridica. La legge è ragione suprema insita nella natura, che comanda ciò che si deve fare e proibisce il contrario.

LINDA FUNARO 12

Cicerone è stato considerato il primo filosofo della

filosofia del diritto per l'attenzione specifica che gliene attribuisce. La figura ciceroniana è molto affascinante e un importantissimo elemento è che era un gran conoscitore della cultura greca, grazie alla quale molti elementi sono stati incorporati all'interno della riflessione romanistica. L'idea di Cicerone è che la Repubblica possa essere rafforzata dalla riflessione sulla polis greca. Nella filosofia ciceroniana si trova una rielaborazione in chiave stoica di temi aristotelici, in primis di naturale socievolezza umana e della ragione umana in grado di cogliere la giustizia e la legge divina (recta ratio). La rilettura avviene situandoli nel suo tempo (la Roma repubblicana) e, da una parte, servono a far comprendere l'importanza e il fondamento naturale e razionale delle aggregazioni sociali, dall'altra enfatizza il ruolo del diritto (la dimensione giuridica qualifica l'ordine politico). Cicerone ha paura del tiranno, quindi,insiste sul fatto che è importante la società degli individui, collegata al governo della legge. Il diritto non nasce dalle leggi positive: se a fondare il diritto fossero le leggi positive, potrebbe essere diritto rubare, commettere adulterio qualora queste azioni venissero approvate dal voto o dal decreto di un legislatore. Inoltre, se non vi fosse norma naturale, non si potrebbe distinguere una legge buona da una cattiva. Questa concezione giusnaturalistica viene ripresa anche nel De Republica, dove egli afferma che vi è una legge vera, ragione retta conforme alla natura, presente in tutti, invariabile, eterna, tale da richiamare con i suoi comandi al dovere e da distogliere con i suoi divieti dall'agire male. Questa legge non può essere né derogata né abrogata; da questa legge non ci si può sciogliere ad opera del Senato o del popolo. Non è diversa a Roma o ad Atene, non è diversa ora o in futuro: tutti i popoli, invece,

In ogni tempo saranno retti da quest'unica legge eterna ed immutabile. L'unico comune maestro è Dio, autore, interprete, legislatore difesa dei valori repubblicani, uguaglianza dei cittadini, amore per la pace sociale e importanza delle leggi.

Cicerone è ricordato anche per essere stato uno dei teorici del bellum iustum (guerra giusta). Per Cicerone il diritto non è un dato da applicare meramente, ma da interpretare. Egli difende l'importanza dell'interpretazione non letterale. Nella sua riflessione internazionalistica poi si occupa della pace, affermando che esiste una guerra giusta e che soprattutto la pace sia negata a mancanza di conflitto interiore e a rifiuto della guerra civile, che sta minacciando la repubblica romana.

Cicerone si è "costruito" come un classico romano, attingendo alla filosofia greca. Quindi, è interessantissimo perché è una sorta di doppia cerniera fra il giusnaturalismo antico.

E quello medievale e moderno che ne riprenderà i temi. Nelle opere dei giuristi romani si trovano anche altre definizioni di diritto naturale, mutuate dalla filosofia greca: Ulpiano, parla di esso come quel diritto che la natura ha insegnato a tutti gli esseri animati che nascono in terra e in mare e anche agli uccelli. Egli riprende la definizione del diritto naturale in senso naturalistico, già ritrovata in Callicle. Giulio Paolo definisce il diritto naturale come ciò che è sempre buono e giusto, come insieme di norme stabilite da una provvidenza divina.

L'idea del diritto è del tutto estranea al cristianesimo delle origini. San Paolo afferma che la legge è il segno del peccato del mondo; si sono resi giusti dalla grazia di Dio, non dalla legge. L'atteggiamento degli scrittori cristiani verso il problema giuridico cambia nei Padri della Chiesa, che ripropongono il giusnaturalismo razionalistico, postulando una legge superiore quale

fondamento di ogni legge positiva umana, definita divina ma identificata nella ragione. Il primo dei Padri della Chiesa a comprendere le implicazioni dell'accettazione del diritto naturale in senso razionalistico fu Sant'Ambrogio, il quale si chiede che bisogno ci fosse di una legge rivelata dal momento che l'uomo possedeva, innata, quella della natura e, dopo aver risposto che fu resa necessaria dal fatto che gli uomini non osservavano a sufficienza quella naturale, conclude che, dopo la venuta di Cristo, il solo strumento di salvezza è la fede.

Nello stesso periodo, San Giovanni Crisostomo, partendo dalla stessa domanda di Sant'Ambrogio, afferma che l'uomo è capace, grazie alla ragione, di raggiungere la virtù ed evitare il vizio. Successivamente, Sant'Agostino prende coscienza del problema dopo la polemica con Pelagio, che sosteneva tesi simili a quelle di San Giovanni. Prima della polemica, Sant'Agostino scriveva che la legge positiva,

storica, non è valida se non conforme alla legge eterna, che è la legge naturale, ossia ragione suprema. Dopo la polemica, Sant'Agostino si rese conto dell'inconciliabilità di una simile posizione col cristianesimo e, pur continuando a parlare di legge e ordine naturale, li identifica con ciò che è posto dalla volontà divina, riprendendo l'interpretazione volontaristica propria del cristianesimo delle origini. Si delinea così nell'opera dei Padri della Chiesa, in particolare di Sant'Agostino, uno dei motivi costanti del Medioevo: il contrasto tra intellettualisti, che sostengono che la legge naturale deriva dalla ragione, e volontaristi, per i quali la legge è posta dalla volontà di Dio.

Il Giusnaturalismo cristiano è alla base sia della riflessione medievale sul Giusnaturalismo che del moderno, da cui ne prenderà spunto e il maggior esponente è san Tommaso.

d' Aquino. Il cristianesimo inizia a diffondersi in epoca romana, prima del Medioevo come una religione sovversiva dell' ordine politico: è vista con diffidenza e timore dal potere. Questo pone da subito il cristianesimo delle origini e le stesse parole dei Vangeli in un difficile rapporto col potere costituito, all' interno del quale non vi è una vera e propria rappresentazione del pensiero cristiano sul diritto. Il messaggio evangelico è, infatti, radicale: sostiene di apporsi come compimento della legge abbandona la centralità della legge, ponendosi in sovversione. Dunque, non vi è un linguaggio normativo all' interno delle letture evangeliche. Lettura pag. 220 Matteo, XXII, 34-40. In questo passo viene chiesto a Gesù qual è il più grande comandamento, idea che vi sia un principio etico in cui il formalismo giuridico si risolve. Il messaggio estremamente sovversivo fa sì che nei primianni di predicazione cristiana non vi sia un particolare interesse all'analisi delle questioni giuridiche disinteresse nei confronti della legge civile romana: il cristiano pone la propria coscienza al di sopra della legge. Questa "disattenzione" si coniuga con un'attenzione al concetto di giustizia perché il tema viene esplorato non in senso giuridico e in termini sociali, bensì come una dimensione interna: la giustizia è ispirata direttamente da Dio. La giustizia ha, quindi, a che fare con la fede e la grazia. Nel primo cristianesimo c'è un' enfasi nel tema della grazia, ossia in ciò che Dio concede. Se io seguo la giustizia non è per mio merito, ma perché Dio mi concede di essere giusta. La giustizia ha a che fare, quindi, con la perfezione religiosa. Ci si allontana molto dalla visione aristotelica dove vi è un rapporto tra la norma positiva e i principi etici superiori: nel cristianesimo.

possono anche non incontrarsi. Man mano che la Chiesa si sviluppa ed emergono i primi pensatori cristiani, il tema della riflessione sulla legge (sia religiosa che civile) riemerge anche attraverso un'assimilazione cristiana della precedente riflessione greco-romana e si va ad attingere a

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SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher funarolinda288 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del Diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Re Lucia.