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LA PRETESA DI GIUSTIZIA

Tema non distante da noi;

È necessario prendere atto della condizione esistenziale che rende il giudizio

drammatico per evitare che l’assunzione di responsabilità inevitabile si

trasformi in arbitrio.

La critica non equivale alla necessità di eliminare l’idea del sillogismo giudiziale

come modo di ragionamento, ma ci fa capire che il giudizio è tanto altro.

………..?

Esigenza non trascurabile, che nel nostro ordinamento è ormai principio

costituzionale e che risponde, tale obbligo, ad un esigenza di giustizia, cioè da

una parte se vogliamo studiare ed indagare sul giudizio non possiamo pensare

di ridurre il giudizio a quella forma sillogistica, ma dobbiamo anche capire che

chi giudica dev’essere in grado di motivare la sua decisione, e che i suoi

argomenti siano controllabili, è come se la formula sillogistica che va utilizzata

nel presentare e motivare la decisione sia una sorta di bella copia di una brutta

che non può essere formalizzata.

Nonostante la decisione venga da un processo più complesso, è importante

che, per far sì che quella decisione venga impugnata, sia pubblicamente

motivata.

Per poterla contestare bisogna capire qual è il fatto, quali disposizioni sono

state impiegato, come sono state combinate, qual è l’interpretazione data

ecc… devono esserci delle motivazioni messe per iscritto, pubbliche, per capire

quali sono i margini di contestazione. L’obbligo di motivazione è presente in

gran parte degli ordinamenti e risponde ad una esigenza di giustizia a tutela

degli individui.

Se non ci fosse una motivazione ci troveremmo in un regime arbitrario, non

avremmo nessun elemento per capire se il giudice abbia agito bene o meno

È una forma sillogistica perché aiuta il lettore a capire l’iter legislativo che è

stato seguito per arrivare a quella conclusione.

Una dose di ipocrisia è necessaria affinché le persone vivano assieme, in un

contesto sociale complesso, se tutti dicessimo sempre ed in ogni momento

all’altro o agli altri ciò che ci passa per la testa, allora non potremmo vivere

insieme, dunque bisogna capire come e quando dire una cosa, non si tratta di

ipocrisia , ma di una buona gestione delle relazioni, ma dal punto di vista

pubblico il giudice non potrà mai formalizzare tutto ciò che gli passa per la

testa, ad es. nel caso di un processo che ha come protagonista un minore, se

prendere una determinata decisione potrebbe rovinargli la vita, allora il giudice

sceglie un’altra via e di non formalizzare quell’idea.

Nessuno di noi ha un presunto diritto di mancare di rispetto all’altro, e in alcuni

casi spiattellare tutto, senza delicatezza e tatto, non è moralmente

approvabile, significa mancare di rispetto, bisogna comprendere che alcune

cose potrebbero ferire. Può essere considerata come una sorta di violenza; non

è da ipocriti questo ragionamento, consente solamente alle persone di vivere

insieme pacificamente.

Forse non è corretta la parola ipocrisia, si parla di “sensibilità comunicativa”.

“Senza malinteso non potrebbe vivere una società”, per stare assieme una

sorta di malinteso è necessario, ci dev’essere qualcosa dei contenuti del

pensiero di ciascuno di noi che l’altro non capisce perfettamente, perché se lo

capisse potrebbe nascere un conflitto, potrebbe ferire l’altro. Immaginiamo di

essere tutti dotati di un dispositivo che traduce e trascrive nella forma più

immediata e visibile agli altri tutto ciò che ci passa per la testa, probabilmente

sarebbe tutto diverso. Ciò non significa che dobbiamo essere falsi, ma che

dobbiamo selezionare i nostri pensieri, dobbiamo metterli in bella forma, non

bisogna esternare necessariamente tutto.

Il sillogismo non va pensato come un modello che ci spiega come giudica il

giudice, perché la realtà è molto più complessa, ma rimane comunque una

funzione pubblica importante, consente agli individui di capire come tutelare i

propri diritti.

Parola fondamentale per comprendere il diritto: “giustizia”, parola complessa.

Senza i concetti non riusciremmo a vivere, nulla avrebbe senso (concetto di

verità, di giustizia, di amore, di bellezza ecc.), la STORIA ci dimostra quanto

svolgano una funzione tremendamente pratica, quanto siano tutto tranne che

idee vaghe sospese in aria. Non è azzardato affermare che non è possibile

parlare veramente di diritto senza parlare di giustizia, pensando che l’idea di

giustizia non abbia nulla a che fare con quella di diritto, è impossibile. Parlare di

giustizia e di pretesa di giustizia significa esplorare la seconda macro-fonte del

dramma del giudizio, associare il diritto alla giustizia rende l’esperienza del

giudizio ancora più complessa.

Che significa pensare che il giudice debba sempre rispondere ad una pretesa di

giustizia, cioè ad una richiesta di giustizia?

⁃ esiste un aspettativa sociale incorporata nel giustizio, cioè ci

aspettiamo che venga fatta giustizia. Un giurista non può ignorare questo fatto,

il tribunale non è chiamato da nessuno “palazzo della legge”, ma “palazzo di

giustizia”, però nessuno può individuare una o più norme che hanno per

contenuto la risposta perfetta, quella giusta, l’idea di giustizia, perché le norme

hanno più contenuti, e un giudice deve applicare la legge, ma un giudice di

buon senso sicuramente sa che deve applicare la legge secondo giustizia,

sempre tenendo conto dei principi generali. Non esiste una decisione giusta in

assoluto. L’Aspettativa di giustizia la possiamo cogliere nelle vittime di reati, o

in coloro che, sopravvissuti, ne devono tutelare gli interessi. Il pubblico

ministero non ha l’obiettivo di giungere all’affermazione di colpevolezze di

qualcuno, ma deve verificare il fatto dal punto di vista giuridico e deve,

eventualmente, se riscontra elementi tali, portare in giudizio l’accusa, ma

sempre con una logica. Anche chi commette delitti atroci è titolare di diritti,

perché viviamo in uno stato di diritti, in cui è sacra la persona, nonostante i

trattamenti differenziati e le compressioni (ad es. nel caso dei delinquenti).

Viviamo in una società in cui sembra quasi che il giudizio si verifichi ancora

prima che lo faccia il giudice, tramite i media, i telegiornali ecc.

⁃ È proprio chi giudica ad essere comunque animato dall’aspirazione

a giungere ad una decisione giusta. Se ci convinciamo del fatto che chi giudica

deve rispondere ad una pretesa di giustizia, allora possiamo dire che da una

parte questo è innegabile, dall’altra complica la situazione, non solo perché il

giudice deve decidere pur sapendo di essere limitato cognitivamente, sa che la

sua decisone non sarà mai necessaria, indiscutibile, in più deve rispondere alla

pretesa di giustizia senza avere a disposizione un concetto di giustizia da

applicare, non esiste la regola di giustizia sotto la quale sussumere il caso

concreto, deve tendere.

 In questo saggio, Ricoeur afferma che l’atto di giudicare ha a che fare con la

giustizia, quando si giudica si devono delimitare i confini, per capire cosa si può

fare e cosa no. Quando si giudica si ripristina un equilibrio violato, si

distribuiscono risorse e significati (es. torto e ragione), con tutto ciò che ne

consegue. Quando devi giudicare devi “tagliare”, devi decidere.

Quando parliamo di giustizia facciamo riferimento all’attribuzione a ciascuno di

ciò che gli spetta, quando si giudica bisogna sempre fare i conti con la

necessita di fare giustizia.

Sulla giustizia

È giusto che ciò che è giusto sia seguito, è necessario che ciò che è più forte

sia seguito. La giustizia senza la forza è impotente: la forza senza la giustizia è

tirannica. La giustizia senza forza è contestata, perché ci sono sempre malvagi:

la forza senza giustizia è messa sotto accusa. Bisogna dunque mettere insieme

la giustizia e la forza e, perciò, fare che ciò che è giusto sia forte, o ciò che è

forte sia giusto.

(Blaise Pascal, Pensieri, 1670)

Quando io decido di seguire un indicazione che viene da qualcun altro posso

seguirla perchè ritengo che sia giusto farlo, perché penso che il contenuto di

ciò che mi viene chiesto sia giusto, “è giusto che ciò che è giusto sia seguito”,

posso anche pensare di seguire le norme non perché condivido il loro

contenuto, ma perché penso siano necessarie per ordinare la collettività. Se ci

viene chiesto di fare qualcosa facendoci capire che in caso contrario potremmo

andare incontro a delle conseguenze negative, allora in quel caso ci

sentiremmo in qualche modo costretti.

“La forza senza giustizia è messa sotto accusa”➡Perché se si pensa di ordinare

un mondo attraverso norme ingiuste, solo sulla base della forza, allora saremo

sempre messi sotto accusa, ci sarà sempre qualcuno che si ribellerà, che

proporrà la rivoluzione.

L’esito di questa riflessione è che bisogna mettere insieme la giustizia e la

forza, bisogna combinare i due elementi per avere un ordinamento duraturo,

avendo contenuti giusti accompagnati dalla forza qualora vengano violati.

➡“Bisogna dunque mettere insieme la giustizia e la forza e, perciò, fare che ciò

che è giusto sia forte, o ciò che è forte sia giusto”.

La debolezza della giustizia

La giustizia è soggetta a contestazioni, la forza è riconoscibilissima, e senza

dispute. Così non si è potuto dare la forza alla giustizia, perché la forza ha

contraddetto la giustizia e ha detto che quella era ingiusta e ha detto che solo

lei era giusta. E così, non potendo far sì che ciò che è giusto fosse forte, si è

fatto sì che ciò che è forte fosse giusto.

(Blaise Pascal, Pensieri, 1670)

⬆️Questo passo è una descrizione di ciò che spesso è avvenuto nel corso della

storia: la giustizia è contestabile, nella storia raramente si afferma un

ordinamento tutto fondato sulla giustizia dei contenuti, di solito ciò che si

afferma è un potere che si impone nella forza e che poi per restare in vita si

rappresenta, si racconta, si mette in scena come giusto (es. totalitarismi).

L’istanza di giustizia in sé è debole.

Molti principi di diritto internazionale ad oggi vengono violati non perché siano

ingiusti, anzi sono prof

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Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giulia.vita.06 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Lo Giudice Alessio.
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