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La seconda anima, più lenta, è ucciso nel 1239 e famoso per la sua dissipatezza.

L'anima trasformata in cespuglio è Rucco di Cambio dei Mozzi, banchiere e mercante fiorentino impiccatosi a Parigi nel 1291.

Il cespuglio si lamenta per le ferite sanguinanti e prega Dante di raccogliere le sue fronde disperse dalle cagne e diradunargliele ai piedi. Spiega di essere stato cittadino di Firenze, città che aveva cambiato il suo primo protettore, Marte, con Giovanni Battista. Il dio della guerra per vendicarsi avrebbe perseguitato Firenze per sempre, dopo che i fiorentini l'avevano riedificata sopra le ceneri in cui Attila l'aveva ridotta.

La leggenda voleva che la chiesa battistero di San Giovanni fosse edificata su un tempio dedicato a Marte. Re Unno Attila, e l'identificazione da parte dei fiorentini di Leggendaria è anche la distruzione di Firenze ad opera del una antica statua equestre collocata sul Ponte Vecchio, con una statua.

Appartenuta al tempio di Marte. Dante presenta Firenze come una città dilaniata dall'influsso negativo del dio della guerra e da lotte intestine.

Canto 14, i bestemmiatori: Capaneo Dante raduna le fronde e le rende al suo concittadino, poi riprende il cammino: arrivano al confine tra il secondo e il terzo girone. Si tratta di una pianura priva di vegetazione, circondata dalla selva dei suicidi (così come la selva era circondata dal Flegetonte), ricoperta di sabbia arida e compatta, identica a quella che Catone l'Uticense (che Dante collocherà come custode del Purgatorio) aveva calpestato nel deserto della Libia. 13→ Marco Porcio Catone guidò le truppe pompeiane sconfitte attraverso il deserto libico, secondo il racconto di Lucano.

Sulla distesa di sabbia c'erano molte schiere di dannati, tormentati da pene diverse:

  • Bestemmiatori distesi sulla schiena
  • Usurai seduti accoccolati
  • Sodomiti camminavano senza sosta

Piovevano lingue

Di fuoco come fiocchi di neve e andavano ad adagiarsi sulla sabbia: i dannati erano bruciati sia dalla pioggia di fuoco che dalla sabbia ardente sottostante; si muovevano freneticamente e cercavano invano di scuotere via le fiamme.

Dante vede un uomo di grande corporatura che sembrava indifferente all'incendio: si tratta di Capaneo, uno dei sette di Tebe che disprezzò Dio e a quanto pare ancora lo disprezza.

Il di Stazio (poeta latino che Dante assumerà come guida nell'ultimo mito di Capaneo è raccontato nella Tebaide tratto della salita al Purgatorio): durante l'assedio condotto alla città di Tebe, il bestemmiatore Capaneo salì da solo sulle mura nemiche e sfidò Giove a incenerirlo; il dio lo fulminò ma Capaneo rimase in piedi e morendo continuò a sfidarlo con lo sguardo.

I due viaggiatori camminavano sul fondo delle pareti che era in pietra, poiché dalla sabbia sgorgava e scorreva verso il Flegetonte.

Virgilio spiega a Dante che nell'isola di Creta sorgeva una montagna, l'Ida, basso un fiume rosso sangue, un tempo rigogliosa e adesso ridotta a deserto. In una caverna si ergeva con le spalle rivolte a Damietta (Oriente) e gli grande vecchio con la testa d'oro, le braccia e il petto d'argento, le gambe e il occhi a Roma (Occidente) la statua di un piede sinistro di ferro e il piede destro di terracotta. Tutte le parti del corpo, tranne la testa, erano attraversate da una filtravano dalla caverna e scendevano fino all'Inferno, dove formavano fenditura in cui scorrevano delle lacrime, le quali fiumi Acheronte, Stige e Flegetonte, e sul fondo il lago ghiacciato di Cocito.

La figura del vecchio di Creta rappresenta la storia della decadenza dell'umanità dalla primitiva età dell'oro (mitico tempo felice in cui regnava Saturno e in cui non si conosceva il male) fino all'età presente, in cui l'umanità

sopravviveinvecchiata e precaria su un piede di terracotta. Nella fenditura prodotta dal peccato originale nascono i mali e le lacrimedi cui sono fatti i fiumi infernali.
Il fiume Lete scorre nel Paradiso terrestre, sulla cime del monte del Purgatorio: le anime vi si immergono prima disalire al cielo e le sue acque eliminano persino il ricordo dei peccati commessi.
Canto 15, i sodomiti: Brunetto Latini
Il bosco era ormai scomparso alla vista, i due si imbattono in una schiera di anime, i sodomiti, che procedeva verso diloro costeggiando l'argine. Essi stringevano le palpebre come un vecchio sarto che cerca di infilare l'ago nella cruna;tra questi un'anima riconobbe Dante, gli afferrò dal basso la veste e Dante lo riconobbe nonostante le ustioni sul volto:si tratta di Brunetto Latini.
Brunetto Latini (1220/30-1293) notaio, intellettuale e politico appartenente al partito guelfo di Firenze. Vissuto incompose in francese l'enciclopedia ilFrancia nel

periodo di dominio ghibellino (1260-66) Tresor. Dante lo rappresenta come un maestro e come una figura paterna: significa dichiararsene erede e indicare se stesso, per quanto bandito dalla città, come il vero interprete dei valori della tradizione guelfa comunale. Inoltre lo definisce una figura paterna per avergli insegnato come si diventa immortali.

Brunetto gli spiega che dovevano continuare a camminare, poiché chi dei sodomiti si fosse fermato anche solo per un momento, sarebbe poi dovuto restare sdraiato per cento anni senza potersi riparare dalle fiamme.

Brunetto chiede a Dante la ragione del suo viaggio e lui glielo spiega, poi Brunetto predice a Dante la gloria (Brunetto muore alla fine 1293, quando Dante sta per pubblicare la Vita Nova e sta per entrare nella vita pubblica di Firenze). Predice anche che la sua città lo odierà proprio per la sua rettitudine (lo manderà in esilio), ed è giusto che sia così poiché il fico non

Può produrre i suoi dolci frutti tra le aspre sorbe. Dice che entrambe la parti vorranno divorarlo: allude alle fazioni dei Neri e dei Bianchi, unite nell'odio contro Dante. (Dante si inimicherà i Bianchi, suoi compagni di esilio, e sconfesserà nel tentativo di ottenere un'amnistia personale dai Neri). Quando li abbandonerà sec.), Francesco d'Accursio (XIII sec.), Andrea di Brunetto fa i nomi di altri sodomiti: Prisciano da Cesarea (V-VI), Spigliato dei Mozzi (vescovo di Firenze dal 1287 allontanato da papa Bonifacio VIII). Brunetto vede una nuova di fumo levarsi dalla sabbia e capisce che sta per arrivare una nuova schiera di dannati, deve andarsene poiché non gli è permesso di mischiarsi a loro. Si congeda chiedendo a Dante di avere cura del suo Tresor e inizia a correre.

Canto 16, altri violenti contro natura: Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi, Iacopo Rusticucci

Da una schiera si staccano tre anime, piagate da ustioni vecchie e recenti.

che corrono verso Dante e Virgilio una volta raggiunti si muovono in circolo attorno a loro. Si tratta di Guido Guerra (uno dei capi del partito guelfo che comandò i fuoriusciti fiorentini nella battaglia di Benevento contro Manfredi nel 1266 e poi divenne il maggiore esponente del governo cittadino); Tegghiaio Aldobrandi (di cui Dante aveva chiesto notizia a Ciacco, guelfo che dopo la sconfitta di Montaperti fu condannato in esilio a Lucca, dove morì); Iacopo Rusticucci, il quale dice di essere stato condannato per la "bestialità" che usava con sua moglie. L'allusione ad atti bestiali con la moglie potrebbe indicare che questi dannati non praticarono sodomia omosessuale, ma un vizio contronatura eterosessuale. Dante trattiene l'istinto di scendere ad abbracciarli per paura del fuoco, dice loro di essere fiorentino e di aver conosciuto le loro azioni e i loro nomi. I tre dannati gli chiedono se i nobili costumi e le virtù civili abitassero.ancora la loro città: Dante risponde dicendo che i nuovi cittadini e i facili arricchimenti hanno prodotto arroganza e smodatezza. Fariferimento al fenomeno dell'inurbamento: portando in città gente del contado la classe dirigente fiorentina è stata travolta ai danni dell'antica nobiltà autoctona; oltre che dal potere assunto dalla finanza e dal commercio. I tre dannati fuggono via e Virgilio si rimette in cammino; percorso un breve tratto sentono un rombo assordante del Flegetonte che precipita da una parete ripidissima. Dante viaggiava con una corda attorno al collo con la quale pensava di catturare la lince apparsagli mentre saliva sul colle (lince simbolo di lussuria e corda simbolo di castità). Virgilio gli chiese la corda e la lancia giù dal burrone. A questo punto Dante autore si rivolge ai lettori, giura sulla commedia che stanno leggendo, di aver visto un essere mostruoso risalire verso l'alto.designa il genere letterario a cui appartiene il poema, definendolo una "commedia"; lo rifarà nel canto 21. Canto 17, Gerione e gli usurai La creatura mostruosa è Gerione (il suo nome verrà pronunciato molto più avanti), allo stesso tempo un demone e un simbolo della frode. Nella sua figura Dante mescola elementi della mitologia classica, che faceva di Gerione un mostro a tre teste, con altri di estrazione biblica, come le locuste dell'Apocalisse. La faccia di Gerione aveva un aspetto benevolo, di un uomo per bene, il tronco di serpente, artigli, il petto e i fianchi decorati di lacci e ghirigori colorati come i tappeti orientali. Il mostro si era appoggiato alla riva con la testa e il busto lasciando a penzoloni nel vuoto la coda. In lontananza Dante vede un'altra schiera di dannati e li raggiunge, mentre Virgilio rimane a parlare con la fiera per chiedergli di accompagnarli verso il basso caricandoli sulle sue spalle. I dannati piangevano e

Agitavano le mani per ripararsi dal fuoco e dalla sabbia ardente, Dante non riconobbe nessuna di quelle anime, ma si accorse che portavano al collo una borsa di monete, ciascuna con una propria insegna (es. insegna dei Gianfigliazzi o degli Ubbriachi).

A parlare con Dante è un dannato la cui insegna era una scrofa azzurra e gravida su uno sfondo bianco: si tratta di Reginaldo degli Scrovegni, morto nel 1300, il quale preannuncia la condanna all'inferno dell'ancora vivente Vitalino e anche lui banchiere. L'odio di Dante per gli Scrovegni nasce dal fatto che tenevano del Dente dei Lemizzi, suo genere in pugno la famiglia dei Caminesi, signori di Treviso, ai quali era legato.

È atteso all'inferno anche un fiorentino, Gianni Buiamonti dei Becchi, finanziere e socio in affari di Betto Brunelleschi, guelfo nero condannato per bancarotta fraudolenta nel 1308.

Dante, temendo di essere in ritardo, torna dalla fiera e trova Virgilio già in sella, si siede.

ati nella mitologia greca. Fetonte era il figlio del dio del sole, Apollo, e della ninfa Climene. Desideroso di dimostrare la sua discendenza divina, chiese al padre di poter guidare il carro del sole attraverso il cielo. Nonostante l'avvertimento di Apollo sul pericolo di tale impresa, Fetonte insistette e il padre acconsentì. Tuttavia, durante il volo, Fetonte perse il controllo del carro e iniziò a scendere troppo vicino alla terra, bruciando campi e foreste e mettendo in pericolo l'intero pianeta. Zeus, per evitare una catastrofe, colpì Fetonte con un fulmine, facendolo cadere nel fiume Eridano. Icaro, invece, era il figlio di Dedalo, un famoso architetto e inventore. Dedalo e Icaro erano prigionieri sull'isola di Creta e per fuggire costruirono delle ali fatte di piume e cera. Dedalo avvertì il figlio di non volare troppo vicino al sole, poiché la cera si sarebbe sciolta. Tuttavia, Icaro, preso dall'entusiasmo del volo, non ascoltò il padre e si avvicinò troppo al sole. Le ali si sciolsero e Icaro cadde in mare, dove morì. Entrambi i miti rappresentano l'ambizione umana e l'importanza di non superare i propri limiti.
Dettagli
Publisher
A.A. 2021-2022
56 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/05 Filologia classica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gaia.daniello di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia e critica dantesca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Padovan Dario.