4) LA STRUTTURA ECONOMICA E POLITICA
La fase orientalizzante (attorno alla fine dell'VIII e il VII secolo a.C.) è caratterizzata dal processo di
acculturazione accelerato dovuto ai contatti con gli interlocutori greci e fenici, attirati soprattutto dai metalli.
Tali scambi portarono all'accumulo di ricchezze da parte delle aristocrazie etrusche.
I principes dei villaggi si ispiravano ai modelli dei regnanti neoassiri, mediati dal mondo levantino. Ciò che
attirava i principi etruschi era in particolare il regime monarchico caratterizzato da palazzi in posizione
eminente, un'economia accentrata ma con attitudine al commercio, e l'esibizione del rango e delle attività
nobili (caccia e guerra). L'ideologia del lusso e del prestigio (chiamata tryphé e habrosyne) si diffondeva,
importando oggetti suntuari (oro, argento, bronzo, avorio, vetro e pietre preziose) e mutando l'assetto
monumentale di residenze e tombe.
Contemporaneamente, si nota un generale processo di aggregazione urbana che culmina, soprattutto nei
centri costieri, con la definitiva costituzione degli abitati in città.
La società etrusca è dominata da aristocrazie caratterizzate da una forte autocoscienza, dove le forme
politiche e religiose si intrecciano con la glorificazione della famiglia.
Le fonti antiche (Livio e Dionigi di Alicarnasso) identificano tre stratificazioni sociali fondamentali all'interno
della gens:
• I cognati / syngeneia: La parentela di sangue più ampia della familia degli agnati.
• I sodales / philoi o hetairoi: I "compagni" e gli "amici" del signore, uniti da rapporti di fides e hospitium
(ospitalità).
• I clientes / pelatai o oiketai: I dipendenti, il cui statuto era intermedio tra libertà e schiavitù.
Il cliente non era necessariamente povero e poteva detenere proprietà. Il loro ruolo principale era garantire
al patrono il servizio militare e prestazioni nella sfera produttiva, specialmente le attività agricole. La loro
condizione è illustrata da Dionigi di Alicarnasso, che paragona i dipendenti (chiamati penestai, i servi tessali
semi-liberi legati alla terra) dei signori etruschi a Veio ai non cittadini.
La formazione gentilizia si basa sul possesso fondiario e sull'acquisizione di un vasto territorio agricolo e di
allevamento, controllato unitariamente per evitarne il frazionamento. Questo sistema favorisce l'accumulo
di ricchezza e la produzione di un surplus che alimenta il commercio e le produzioni artigiane.
A capo della gens c'era un vertice ristretto: i principes (secondo Livio) o i dynatoi/dynatotatoi (secondo
Dionigi). Questo stesso segmento aristocratico esprimeva il re e i rappresentanti delle città etrusche nella
Lega federale. Ogni princeps esercitava un potere assoluto, spesso emulando i monarchi orientali.
L'esibizione della ricchezza e del lusso (tryphe) era uno strumento essenziale di legittimazione aristocratica,
attraverso una circolazione ristretta di beni di prestigio. Lo scambio avveniva spesso tramite il sistema del
dono (come in ambito omerico), che ne accresceva il valore attraverso il prestigio dei proprietari. Questo
circuito si interrompeva solo con la deposizione in tomba o l'offerta in un santuario.
➔ Le aristocrazie celebravano la propria glorificazione familiare e l'ideologia gentilizia soprattutto
attraverso i monumenti funerari. Esempi di tumuli monumentali, come il Tumulo II del Sodo a
Cortona, segnano il paesaggio, legando la tomba del signore alla sua terra e fungendo da segno sacro
e altare per il culto funebre.
A Veio, tra gli anni centrali dell'VIII secolo e la prima metà del VI secolo a.C., si riconoscono figure di capi con
notevoli analogie ai sette re di Roma. L'archeologia evidenzia strutture abitative emergenti (grandi capanne
di legno articolate in più ambienti, portici e cortili) interpretabili come residenze regali. Queste "case del re"
erano centri politici e istituzionali della comunità, dove si svolgevano azioni comunitarie e rituali, spesso legati
a banchetti.
➔ La distruzione ritualizzata della "casa del re" poteva segnare un cambio di leadership, come suggerito
dal ritrovamento di circa 100 tazze in un buco di palo a Populonia (Poggio del Telegrafo), forse in
relazione a un'assemblea di 100 anziani (come il Senato di Romolo, secondo Dionigi di Alicarnasso).
Dalla fine dell'VIII secolo a.C., l'espansione territoriale coinvolge le fasce più distanti dai centri urbani. Ciò
portò alla formazione di centri autonomi, anche se ridotti, con propri territori, dipendenti da formazioni
aristocratiche che esibivano tombe monumentali (es. San Giuliano, Grotta Porcina). Ancora più significativi
sono i casi di insediamenti come Acquarossa o Poggio Buco, che in età arcaica accoglievano templi o regiae,
espressione di un potere locale indipendente dalle gentes dei centri maggiori. Questi esempi dimostrano il
ruolo propulsivo dei gruppi aristocratici nello sfruttare le opportunità politiche ed economiche.
Questi siti, nel Nord dell'Etruria (Valle del Cecina e dell'Ombrone), presentano residenze palaziali realizzate
nella seconda metà del VII secolo.
➔ Il palazzo di Murlo (Poggio Civitate) è noto per il recupero di vasellame da banchetto per il consumo
del vino. Questi oggetti, come i kyathoi inscritti della Tomba 456 a Tolle (metà VII sec. a.C.), riflettono
un sistema cerimoniale di relazioni, spesso intesi come dono ospitale (hospitium) con cui un nobile
straniero si proponeva al signore del luogo per ottenere accesso e avviare scambi. L'uso delle
tesserae hospitales (placchette d'avorio rinvenute a Murlo all'inizio del VI secolo) testimonia il
controllo esercitato dal palazzo nella gestione dei traffici.
Il passaggio tra l'VIII e il VII secolo a.C. è segnato da un generalizzato processo di riassetto territoriale.
Pontecagnano è un esempio di questo salto di qualità: le necropoli dell'età del ferro furono abbandonate in
favore di nuove aree disposte a ridosso dell'abitato. Il recupero di zone di bassura (solcate da paleoalvei) per
i sepolcreti implica un intervento di bonifica di grandi dimensioni, indice di una pianificazione imposta da
un'autorità centrale.
Negli abitati emergono le più antiche strutture monumentali di carattere pubblico.
➔ A Tarquinia (Pian di Civita), nel primo quarto del VII secolo, fu eretto l'Edificio Beta, costruito in pietra
con tecnica orientale. Alla sua fondazione sono associati segni di potere (scudo, ascia, tromba-lituo
di bronzo). Questo edificio, fulcro di un complesso sacro dedicato a una divinità femminile, è stato
messo in relazione all'organizzazione di un gruppo simile alle curie di Romolo.
➔ A Roselle, nell'area del futuro Foro romano, fu costruita una casa in mattoni crudi, circondata da
capanne, inclusa in un recinto. Questa struttura, con focolare e telaio, aveva un carattere pubblico,
forse un edificio sacro o la residenza di un capo.
➔ A Veio, la continuità funzionale di alcuni spazi è eccezionale, come nel caso dell'area del santuario di
Apollo a Piazza d'Armi, fondato all'inizio del VI secolo su una più antica area di capanne del tardo VIII
secolo. Questa zona si organizzò attorno a una vasta piazza, il più antico spazio pubblico conosciuto
dell'abitato.
Le fonti storiche restituiscono, tra la fine del VII e la prima metà del VI secolo a.C., l'immagine di città con un
proprio ordinamento (politeia), guidate da re (principes/dynatotatoi). Il potere regale era bilanciato da quello
delle gentes, garantendo la stabilità delle istituzioni.
A livello archeologico, questo emerge emblematicamente nella pianificazione del quartiere di Piazza d’Armi
a Veio, una vera e propria cittadella fortificata e autosufficiente. La sua organizzazione, datata a metà del VII
secolo, includeva un rituale di fondazione e accoglieva grandi case e un tempio.
Anche il quartiere aristocratico della Vigna Parrocchiale a Cerveteri (tra VII e VI secolo a.C.) sorgeva vicino a
un'area sacra dedicata a Uni e potrebbe aver avuto un carattere regale, dato che un'iscrizione attesta la
presenza di un kalatur (nome ricalcato sul latino calator, l'araldo del re).
I documenti epigrafici, sebbene frammentari, forniscono indicazioni sulle strutture politiche:
• Rasna: Nome etnico degli Etruschi, ma in origine indicava la comunità maschile dei liberi (il "popolo",
forse nel senso di "popolo in armi"), analogo al latino populus.
• Spurie: Simile a Publius/Publicius, significava "pubblico", in quanto appartenente all'insieme dei
cives.
• Methlum: La nozione di urbs, la città nel suo aspetto fisico.
• Cilth: Forse la rocca (arx), anche se l'ipotesi non è universalmente accettata.
• Zilath: La magistratura suprema, equiparabile al re o al praetor romano.
La carica di zilath è attestata in età arcaica sul Cippo II di Rubiera (fine VII secolo a.C.), riferendosi a un
probabile capo militare. Successivamente, a Tarquinia, il titolo si evolve: poteva indicare il magistrato più alto
(zilath) o essere associato a termini comunitari, come zilath mechl rasnal (praetor rei publicae) che governava
l'intero popolo della città-stato.
Verso la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C. l’urbanizzazione comporta una pianificazione funzionale e la
definizione di spazi pubblici e sacri che superano l'identità gentilizia. La gestione del sacro assume una
dimensione pubblica.
➔ A Roselle, Capua e Pompei, si attuò una pianificazione del tessuto abitativo con impianti regolari e
assi viari ortogonali (per strigas), tipici del mondo coloniale greco. L'esempio più chiaro è Marzabotto,
fondata con un rito etrusco (inauguratio) con orientamento astronomico e l'acropoli sede
dell'auguraculum. L'adozione dell'impianto regolare mirava a creare un paesaggio urbano di tipo
"isonomico".
Tuttavia, l'affermazione dell'istituzione urbana non fu priva di tensioni con le aristocrazie: all'inizio del V
secolo, i quartieri aristocratici di Veio (Piazza d'Armi) e Cerveteri (Vigna Parrocchiale) furono abbandonati o
destinati a funzioni pubbliche, forse un'azione simile all'esproprio delle proprietà dei Tarquini a Roma.
Anche in ambito funerario si affermò un modello "isonomico", esaltando la concordia e l'uguaglianza
dell'élite.
La crescita urbana comportò anche l'espansione e l'organizzazione dello spazio agrario (es. i catasti di
Pontecagnano e Cerveteri), con la creazione di reti di piccole fattorie. Ciò implicò il trasferimento di
manodopera e meccanismi di redistribuzione della terra.
La rete commerciale etrusca si appoggiava su numerosi porti e scali (Pyr
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