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SESTA REGOLA - SI VIAGGIA SOLO QUANDO SI CREDE IN UN ALTROVE
Voglie di esotismo
Il movimento sincronizzato di ritirata e di manipolazione dell'altrove fa riflettere sull'equivoco dell'esotismo, con cui il viaggio si presenta tanto più affascinante quanto più i luoghi si ricoprono di un immaginario abesco. Equivoco di credere che il viaggio riguardi l'altro lontano e non quello vicino. Tra il fascino dell'oriente e le voglie di esotismo c'è differenza. Le voglie di esotismo sono ripiegate su se stesse, tengono al centro l'io alla ricerca di sensazioni che prende per sé mentre il fascino dell'oriente decentra e rapisce. Le voglie di esotismo invece esibiscono una vita soddisfatta di sé.
L'esperienza del viaggio non è mai faccenda di distanza, di grandezza, di esotismo. La meta lontana non rende più autentico il viaggiare. La confusione fra viaggio e distanza nasconde un controsenso: a maggior
ragione nell'epoca del viaggio globale, dove nessun luogo è per davvero così distante e diverso. La meraviglia del viaggio non è effetto di esotismo o distanza. L'esperienza del viaggio coincide invece con un altrove che è sempre a portata di mano, indipendentemente da dove ci si trova.SETTIMA REGOLA - SENZA RESPONSABILITÀ (PER L'ALTRO) NESSUN VIAGGIO
Narrare viaggi, raccontare crisi Con il viaggio anche la parola cambia, si mette in movimento, racconta d'altro e viene restituita alla sua dignità di dialogo: il viaggio, come il dialogo, spezza ai monologhi e frantuma le certezze. Anche la parola viaggia e il viaggio parla. La letteratura di viaggio arranca quando non rende il senso dell'incontro con l'altro; e soffre ogni volta che scambia l'altrove con una variazione dell'identico: in storie intriganti e complesse rimane sullo sfondo la convinzione che un altrove vero e proprio non ci sia. Non ci siano.Abramo sono due figure mitiche che rappresentano il viaggio come un destino dell'uomo. L'Esodo è un altro esempio di cammino errabondo, simbolo di uscita dal mondo e dal corpo. Anche le religioni utilizzano concetti come "via" e "strada" per indicare la giusta strada della vita. Il viaggio diventa quindi un simbolo dell'esistenza quotidiana, che si muove tra le metafore dell'andare e tornare, uscire e rientrare.Abramo e Ulisse sono gli antichi eroi del viaggio che continuano ad essere riletti come prototipi del viaggiatore. Ulisse è il prototipo del viaggio circolare (anche se sogna di tornare a casa), mentre Abramo è il prototipo del viaggio senza ritorno. Ulisse parla le parole del passato, mentre Abramo rischia tutto per una parola desiderata: una promessa fatta. Lévinas evoca le figure alternative dei due per distinguere due tipi di viaggio, quello di Ulisse e quello di Abramo.
Verso l'altro, che ritorna a sé e quello di Abramo che è viaggio a cui si è chiamati dall'altro. Il viaggio è icona dell'incontro tra noi, come sporgenza dell'umano verso altro da sé. Incontro dell'alterità. Nell'esodo dell'io verso l'altro l'incontro si annuncia due volte. Dapprima come abbandono delle definizioni, delle sicurezze e del proprio io. E quindi come attrazione verso l'altro. L'incontro è uscita da sé, cammino, viaggio. L'incontro è il viaggio verso l'altro.
Eroi sbiaditi neo-nomadismo: Il fenomeno del viaggio generalizzato è talmente eclatante che assume il nome di un Bauman ritorno, congiunzione con le origini nomadi dell'umanità. L'immagine del viaggiatore è quella di un io che consuma viaggio, che incontra l'altro come ripetizione e soddisfazione di sé in quanto soggetto di sensazioni e di appagamenti.
L'immagine si condensa nella figura del turista che è eroe non-eroe del viaggio globalizzato. Dietro alla sua rapidità e disponibilità si nasconde l'esatto contrario e cioè immobilità e indisponibilità. Immobilità perché è sempre iscritto nel circuito e mero del consumo che non lo sposta da se stesso e indisponibilità perché nel viaggio del turista non vi è eccedenza dell'altro che risveglia se stessi e che chiama al viaggio. È però in costante movimento e viaggio. Il cammino però non ha né una vera partenza né una vera meta perché il viaggio globale diventa la metafora di un esistere sempre presso di sé, di un vivere consumando. Il turista sfugge alla permanenza nei luoghi e nei tempi del viaggio, sfugge all'incontro. Il viaggio riparte sempre da capo senza partire mai. Lo spettro del turista è il vagabondo, gli ricorda quello che nonvorrebbe essere. Ituristi e i vagabondi sono gli eroi e gli antieroi del viaggio contemporaneo.Viaggio. Rito. Passaggio
Tanto nell'articolazione di ogni viaggio quanto nella struttura canonica di ogni racconto, emerge il momento della crisi e della rottura, elemento narrativo discriminante e decisivo per l'esserci stesso del viaggio e del racconto. In entrambi deve imporsi il momento dell'uscita da una situazione solita e ripetitiva della vita. Il viaggio e il racconto ci sono nell'apparire di un problema, in un passaggio. Risiedono cioè nell'abilità di far vivere il desiderio di vedere come andrà a finire, ma senza che il loro piacere si esaurisca in una conclusione. Vivono nella sporgenza di "ancora", nell'intervallo dell'avventura non conclusa. Nel viaggio e nel racconto combaciano il ritmo interno e la loro struttura.
Il viaggio incontra il racconto sul lato della partenza e della rottura. Nel mettere in scena un
passaggiorito.il viaggio e il racconto riecheggiano al proprio interno una profonda sintonia con il rituale. Entrambi propongono la successione tipica delle azioni rituali, e sia perché il motivo centrale della rottura e della partenza, di essere di fronte all'altro, caratterizza anche i riti con tutta la forza delle azioni eccezionali che marcano la celebrazione. Il viaggio è il rito stesso della vita. Riti di passaggio I momenti decisivi della vita sono dove succede qualcosa di molto simile alla crisi del viaggio e del racconto, vale a dire la distruzione e la ricreazione di un mondo sociale. Tornare? Il viaggio sottolinea la crisi: come il rito e come il racconto. Partire è metafora di scardinamento e viene da qui il fascino incerto della conclusione. La conclusione di un viaggio ha fascino incerto perché può esserci ma può anche non esserci; o può essere positiva o negativa. In ogni caso, quando il viaggio riesce, niente e nessuno torna a comeEra prima di mettersi in viaggio; mentre se non riesco, se si ritorna a casa, non può trattenersi dal dire l'insoddisfazione e la delusione. La rottura del viaggio annuncia un non nito che trasuda per no quando la conclusione di un racconto è il ritorno a casa propria. La conclusione spiazza.
Abramo
L'in nito si propone come attrazione in avanti verso una meta che non ci si è data da soli e che difficilmente potrà avere le sembianze di un punto di arrivo che ci si è pre ssati. Un viaggio non può mai coincidere con la sua immagine o con la sua rappresentazione. Se questo succede, non c'è crisi, non rottura, non messa in discussione, non incontro con l'altro. Non viaggio. Per chi torna a casa è invece la situazione che non è mai identica. Per no dopo il suo ritorno sembra riuscire a rimanere per sempre a casa.
Andar fuori, partire. La verità è
nomadeTornare è meno importante che partire. Il viaggio inizia con l'uscita da sé. La propria identità viene trovata perché comincia finalmente a trascurare l'insistenza su di sé. Nel viaggio, di fronte all'altro, l'identità non sa più di sé se non al modo rovesciato dell'essere trovata più che cercata. Il viaggio si lascia iscrivere in un'ottica di ricerca; intesa come ricerca di sé tramite l'esperienza dell'incontro e del viaggio o come una ricerca dell'umanità comune attraverso l'incontro con le diverse culture. Ridotto a ricerca il viaggio rimane prigioniero di uno schema mentale dell'apertura che si tramuta velocemente in conquista e occupazione. Se il viaggio è una ricerca lo è in risposta a qualcosa che si intuisce in modo vago ma certo, e perciò si impone come la propria segreta destinazione. Difficile che questo avvenga quando ilviaggio è una ricerca alla conferma accresciuta di sé attraverso gli altri, o alla conferma dell'umanità comune che però ciascuno ha già intravisto solo con se stesso. Nell'ottica delle conferme, il viaggio è inutile. Viaggiare per confermare se stessi rende il viaggio superfluo e questo equivale alla chiusura dell'umano in gabbie mentali.
La ripresa L'intento penetra nel viaggio e nel racconto in modo iperbolico perché da un lato il viaggio si lascia raccontare e dall'altro il viaggio non è, nel suo continuo andare oltre se stesso, mai dicibile no infondo. L'indicibile governa il viaggio come il racconto. Entrambi incontrano una doppia possibilità che nasconde l'impossibilità di non dire, impossibilità di dire no infondo l'infinito in noi e negli altri. Quest'ultima deriva dal dovere e dal piacere di comunicarlo una volta che sia stato recepito.
mentrel'impossibilità di dirlo rimanda a un tradimento: ciò che eccede infatti ha bisogno di essere detto fuggendo però sempre