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La crisi di Voltaire e il finalismo universale
Per il primo Voltaire, tutto è come dev'essere, così come per Leibniz, ciascun essere ha la propria misura. Si osserva il tentativo di ricomporre un ordine dove il mondo è vivibile ed esperibile. Necessità e finalità coincidono, c'è un finalismo universale che tiene insieme tutto. In questa fase, Voltaire è ancora pieno di metafisica, perché c'è una necessità finalizzata e quindi insopportabile. L'ordine cosmico sta in piedi finché necessità e finalità sono saldate, il problema sorge quando iniziano a divaricarsi, perché resta l'oscurità del necessitarismo bruto. La sua crisi esistenziale riflette la crisi di un'epoca, ovvero quella dell'Europa moderna, Voltaire universalizza la propria particolarità. La necessità bruta è insopportabile, mentre il finalismo le dà senso e razionalità. La crisi di Voltaire è la...
Crisi della coscienza europea e del deismo. In Metafisica di Newton, Voltaire prova l'esistenza di Dio a posteriori, ma non prova che egli sia benefico e sostiene che il dogma del peccato originale non sia credibile. Vi è un equivoco tra Dio e mondo e tra i termini "buono" e "benessere", perché ciò che è male per il singolo è bene nell'ordine complessivo. Ciò che è male è tale perché lo isoliamo dal contesto complessivo, essendo il nostro punto di vista limitato, per questo occorre alzare lo sguardo come sosteneva Leibniz. La teodicea speculativa consiste solo nel contemplare l'ordine cosmico oggettivo e accettarlo. Anche Giobbe era caduto nell'equivoco di non vedere la totalità. Per il primo Voltaire, è comprovato che in questo mondo ci sia più bene che male, vi è una fede nell'ordine complessivo, la sua teodicea è ancora debolmente leibniziana.
Il presupposto è che il male non è mai in eccesso, è sempre reintegrabile in un ordine più grande, ma il punto che va in crisi è proprio il fatto che il male individuale sia riconducibile a un ordine. Zadig Zadig (1745-1747) segna l'inizio della fase della crisi di Voltaire. Il racconto è ambientato in Oriente, in Babilonia nel Medioevo (circa 800 d.C.). Voltaire disloca lo sguardo in lontananza per colpire qualcosa di vicino, ovvero la Francia dell'ancien regime. Zadig è un giovane buono e virtuoso, di cui vengono raccontate le disavventure. Si tratta di una delle prime incarnazioni della figura giobbica, che poi diventerà una costante. Viene esposto il principio di eterogenesi dei fini, in quanto un'azione buona e innocente produce una catastrofe che spezza il legame tra cause ed effetti. Il mondo è capovolto, non è applicabile il principio di causalità, c'è uno scarto tra intenzione ed effetto.per questo le nostre azioni hanno esiti incomprensibili e imprevedibili. Zadig è costretto ad allontanarsi da Babilonia per essersi innamorato della regina Astarté. Un capitolo significativo è "La donna percossa", ambientato in una scena notturna, in cui la volta celeste è simbolo dell'armonia del tutto. Zadig cerca di unirsi all'universo tramite un processo interiore, ma avverte la nullità del mondo e i suoi mali, cerca di annegare il suo male nella maestà dell'universo, ma non ci riesce. Astarté è il suo male individuale. L'ordine naturale non basta più a colmare il male, che diventa in eccesso e non riesce più a essere integrato nel bene universale. Il dolore individuale non è più assorbibile nell'ordine cosmico, c'è un'ulteriorità. Lo scarto tra virtù e felicità è l'enigma che porta Zadig alla crisi. Per il desimo, il divino.Si rivela nell'ordine dellanatura, l'ordine naturale è il locus rivelationis, ma questa rivelazione naturale non basta più asussumere il male individuale. A questo punto Leibniz viene abbandonato. Vi è un eccesso del maledel singolo rispetto alla totalità, quindi il dolore diventa prioritario rispetto alla filosofia sublime e il deismo va in crisi. La domanda etica si fa religiosa e metafisica, non ci si chiede più: "cosa devo fare per essere felice?", ma: "cos'è la vita umana?", "a che tutto questo?". La natura è muta, non dice nulla alla mia sofferenza, si assiste al silenzio degli astri. Per Kant, se l'etica vuole compiersé stessa deve sfociare nel religioso, perché l'etico non conclude essendoci scarto tra virtù e felicità. Viene presentata una disteleologia, secondo cui lo spazio è privo di un fine e la storia è uno spazio insensato.
Cade la giustizia retributiva, perché l'ordine non tiene più, il mondo non funziona così. Zadig mostra il costrutto ideologico del deismo. Vi è un'incrinatura insanabile tra provvidenza generale e provvidenza individuale. Ciò che è in gioco è il destino umano. Zadig rappresenta uno strappo, un congedo dal leibnizianesimo debole assorbito dagli inglesi.
Un altro capitolo cruciale è L'eremita, nel quale appare un angelo, che rappresenta la rivelazione soprannaturale. Congedata anche quella naturale, sul finale ne appare ironicamente una soprannaturale. Zadig, disperato, incontra un eremita (figura sacra), che tiene in mano il libro dei destini, che però è indecifrabile al contrario di quello di Teodoro nei Saggi di teodicea, in cui tutto era comprensibile. Qui il destino dell'uomo si è fatto enigmatico e incomprensibile. Alla fine del capitolo, l'eremita si trasfigura in un angelo e ripete
la risposta di Zadig dicendo che il male è necessario per il bene, ma Zadig non è convinto e continua a interrogare l'angelo. Tuttavia, l'angelo vola via senza rispondere, lasciando Zadig con il dubbio irrisolto. Voltaire critica tutte le forme di rivelazione, sottolineando che alla fine l'uomo è solo e privo di giustificazioni. Le verità precedenti si sono dimostrate inefficaci, quindi è necessario continuare a cercare e liberarsi del passato. Il male è un ostacolo che deve essere superato. L'angelo anticipa la risposta di Zadig, ma la sua spiegazione non soddisfa completamente il protagonista.l'episodio del derviscio in Candido, nel quale non ci sono più angeli, ma solo uno specialista del sacro che non sa fare altro che mandare via. Il compromesso raggiunto con la rivelazione soprannaturale, rappresentato dall'angelo, si infrange col terremoto di Lisbona. Il destino è necessità, che prima era redenta dalla finalità, ma che Zadig in poi diventa necessitarismo, quindi finalità oscura. Il soprannaturale non ha più niente da dire, non sa più cosa rispondere dopo aver ripetuto in forma didascalica la teoria di Leibniz, la trascendenza si fa silenziosa e il suo volto diventa enigmatico. Tutti i racconti Voltaire consistono nella ricerca del volto di Dio. Avviene una scissione tra la domanda personale di senso e le religioni storiche tramite la secolarizzazione, durante la quale la domanda religiosa migra dalle chiese. Ciò non comporta la fine delle religioni, ma una loro trasfigurazione.
In Inghilterra, Voltaire incontra
La libertà e il pluralismo religioso delle sette, di cui racconta nelle Lettere filosofiche. Qui le sette cristiane godono di libertà religiosa senza appartenere a un'unica Chiesa e Voltaire vede in ciò la possibilità di un universalismo religioso. Rimane molto colpito, inoltre, dalla Borsa di Londra, dove persone appartenenti a diverse religioni mercanteggiano. Questo clima viene rappresentato nel capitolo "La cena", che narra di una riunione tra mercanti di diverse religioni che si azzuffano per questioni religiose. Voltaire esalta l'assurdità delle differenze religiose, che Zadig cerca di mettere d'accordo in quanto rappresentante della religione naturale. Il deismo, o religione naturale, nasce per appianare le differenze religiose e si basa sulla ragione e sulla natura, che sono comuni a tutti. Vengono irrisi le dottrine particolari, perché c'è un unico padre universale che accomuna tutte le differenze. Poema diLisbona
Il Poema di Lisbona viene scritto dopo il terremoto di Lisbona del 1° novembre 1755 e si tratta di un archetipo del libro di Giobbe. Voltaire opera qui una decostruzione radicale della teodicea, scartando tutte le giustificazioni. Resta solo l'umano nudo di fronte a Dio, senza più dottrine, resta solo la domanda di Giobbe, quindi la religiosità allo stato puro, come domanda. Non è il male che cospira al bene, ma il bene che cospira al male. Voltaire non cede mai alla disperazione pura e al nichilismo, resta sempre la speranza della ricomposizione (angelo in Zadig e orto in Candido), che consiste nell'agire in modo da evitare i mali socialmente evitabili, occorre abbassare le pretese. La giustizia di Dio c'è, ma resta una grande domanda. Voltaire attacca i rappresentanti della teodicea, ovvero i filosofi illusi per i quali tutto è bene, chiedendo: “è questo il prezzo perché il bene universale possa
"trionfare?” Il male esiste sulla Terra e il suo principio non ci è noto, non c’ènessuna possibile spiegazione. Il male è un enigma, cade ogni giustificazione del male elaboratadall’Occidente. L’umano deve sforzarsi di dare un senso a ciò che è insensato tramite la forza dellaragione e a questo proposito si parla di illuminismo tragico. Tuttavia, è incrollabile a fiducia inqualche figura del divino. Il Poema spazza via anche l’ultimo angelo leibniziano, il mistero delmale diventa puro enigma. Qui inizia la torsione etica della teodicea, perché in Zadig c’era ancoral’illusione che una rivelazione soprannaturale potesse ricomporre il quadro.Alla fine del Poema, Voltaire scrive che un giorno tutto sarà bene, ma dire che tutto è bene oggiè un’illusione, perché vuol dire che l’uomo non deve fare niente, gli viene solo chiesto dicontemplare il cosmo e di alzare
la faccia per vederne l'armonia. Quella di Voltaire rispetto a questo atteggiamento è una rivolta giobbica e non prometeica, perché dopo c'è l'abbandono alla trascendenza. A questo proposito, Jaspers parla di rivolta pia. Si può sperare che un giorno tutto