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SECONDO ESPERIMENTO MENTALE E IL “META-SENSEMAKING” (AUTONOMO)
DELL’ARTE:
Iniziamo citando le parole di una storica dell’arte che riflette su qualcosa di più
Edmond de Belamy
analogo a che alle opere di Poe o Borges: un ritratto, nello
La Celestina
specifico di Picasso, che abbiamo già menzionato. La storica dell’arte
scrive:
La Celestina di Picasso aveva un occhio buono e un occhio cattivo. [...] Lo sguardo di
Celestina era uno sguardo punitivo. Funzionava, come quello della Medusa, come
simbolo di una figura femminile divorante il cui potere poteva pietrificare la vittima.
[...] Come molti altri nel Mediterraneo, Picasso condivideva la paura del malocchio,
vedendolo come un organo distruttivo capace di ferire, divorare, derubare o mordere.
Usarlo nella sua vita quotidiana come promemoria per svolgere dei compiti
La Celestina
rappresentava un riconoscimento costante del suo potere magico. irradia
questa aura di conoscenza e potere speciali tanto per il suo aspetto quanto per il
nome, con tutte le sue associazioni, che Picasso le ha attribuito.
(Holloway 2006, pp. 118–119)
Le parole citate sopra sono solo una parte di pagine e pagine di riflessione. Eppure
emergono questioni complesse e profonde, attraverso cui se ne può comprendere il
significato: la storia passata e presente della cultura sociale e individuale, la storia
passata e presente della cultura artistica, la storia esistenziale dell’artista, il potere
La Celestina
simbolico, ecc. Perché il dialogo tra e la storica dell’arte può essere tanto
sensemaking
complesso e profondo? Cioè, perché può essere definito un processo di
(costruzione di senso) estremamente complesso e profondo?
La Celestina
La risposta che propongo è che può offrire alla storica dell’arte
un’esperienza straordinaria di comprensione dell’essere umano (a partire dalla storica
stessa come essere umano) attraverso la sua forma, che è data da Picasso stesso
come essere umano, come forma delle questioni complesse e profonde degli esseri
La Celestina
umani. Nello specifico, è la forma data da un essere umano alla “potenza
[che] può pietrificare la sua vittima”. E l’essere forma data da un essere umano non è
per nulla casuale: il fatto che derivi dall’esperienza e dalla riflessione di un essere
umano sugli esseri umani è la condizione essenziale grazie alla quale la storica
dell’arte, in quanto essere umano, insieme a noi, può comprendere il significato di tale
La Celestina.
potere attraverso Più precisamente, la risposta che propongo è che ciò
La Celestina sensemaking, sensemaking
che rende arte è il suo e che significa che
l’opera è il risultato di un essere umano che ha vissuto, riflettuto e dato forma al
significato dell’esistenza umana, rendendola un’esperienza condivisibile e riflettibile
da altri esseri umani. La mia proposta è che la condivisione dell’esperienza
dell’esistenza umana, insieme alla riflessione su di essa, è la condizione affinché si
possa avere costruzione di senso e, infine, arte.
Proseguiamo con il secondo esperimento mentale per mettere alla prova questa
Edmond de Belamy
proposta. Immaginiamo un dialogo analogo tra e noi. Per esempio,
immaginiamo di dire, in modo analogo a quanto detto dalla storica dell’arte, che i suoi
colori scuri e i contorni morbidi “funzionano” “come simbolo” di un’esistenza umana
caratterizzata da una malinconia che sfuma l’identità umana. Possiamo realmente
immaginarci di dirlo? Edmond de Belamy Il Corvo
Se la risposta è sì, immaginiamo di confrontare con di Poe,
considerando che in entrambi i casi si mette in gioco la malinconia come tratto
Il Corvo,
dell’esistenza umana. Nel caso de possiamo immaginare di dire che la
lunghezza, le qualità estetiche, il tono, il ritornello, ecc. “funzionano” “come simbolo”
di un’esistenza umana caratterizzata dalla malinconia—più precisamente, possiamo
Il Corvo
immaginare di dire che ci permette di comprendere più profondamente cosa
Edmond
significa per noi, come esseri umani, la malinconia. Possiamo dire lo stesso di
de Belamy?
Se dobbiamo affidarci a una delle due opere per comprendere più a fondo il significato
della malinconia per noi come esseri umani, è difficile immaginare di scegliere
Edmond de Belamy Il Corvo.
al posto de Anche se l’opera AI parte da 15.000 ritratti
sensemaking.
umani, ciò non implica che essa ne incorpori il processo di Non è una
sorta di media. Al contrario, è l’immagine numero 15.001, un’immagine che non
deriva da esseri umani che hanno vissuto, riflettuto e dato forma all’esistenza umana
Edmond
e al suo significato, ma da un processo automatico di correlazioni statistiche.
de Belamy nasce da una casualità automatizzata estranea all’arte intesa come
risultato dell’esperienza umana autonoma.
Di nuovo, emerge una divergenza (parziale ma significativa) tra l’estetico e l’artistico.
Il Corvo, come esito della riflessione di un essere umano sulla propria esperienza
dell’esistenza, è non solo un’esperienza estetica, ma anche e soprattutto
un’esperienza artistica proprio in quanto costruzione di senso.
Edmond de Belamy
Le esperienze estetiche possono essere molteplici, da all’alba, al
tramonto (come esempi di oggetti naturali), ai semafori (come altri tipi di artefatti), di
fronte ai quali potremmo riflettere sul significato del passaggio del tempo. Ma non
possiamo immaginare di riflettere sul significato dell’esistenza umana attraverso
Edmond de Belamy Il Corvo.
nello stesso modo in cui lo facciamo con Se ci poniamo
domande come “Cosa significa soffrire per la morte di una persona amata?”, “Cosa
significa sentire che non c’è via d’uscita dalla sofferenza?”, “Cosa significa
malinconia?” e “Cosa significa disperazione?”, insieme a “Qual è il significato del
passaggio del tempo nella vita umana?”, abbiamo bisogno di qualcosa di più
Edmond de Belamy,
dell’esperienza estetica che l’alba, il tramonto e i semafori
possono offrirci: abbiamo bisogno di un’esperienza artistica, ossia di un dialogo
sostenuto, da un lato, da un artista umano che riflette e dà forma alla propria
esperienza dell’esistenza, e, dall’altro, da noi come esseri umani che condividiamo tale
esperienza e riflettiamo su di essa.
Metaforicamente parlando, potremmo dire che, quando si tratta delle domande sopra
Edmond de Belamy,
elencate, chiedere a all’alba, al tramonto e ai semafori di
rispondere è come chiedere a un europeo che non è mai uscito dall’Europa com’è
vivere negli Stati Uniti. Fuori dalla metafora, è come un dialogo fondato sui dati (per
esempio, l’europeo ha letto qualcosa sulla vita negli USA), ma non sull’esperienza dei
dati (per esempio, l’europeo non ha mai vissuto negli USA). Da un lato, abbiamo dati.
Dall’altro, abbiamo le condizioni per comprenderli. Ossia: possiamo avere informazioni
sulla vita negli USA o sul mal di testa; ma è un’altra cosa vivere negli USA o soffrire di
mal di testa in prima persona.
Propongo di pensare alle domande citate sopra come domande che richiedono
esperienza diretta. Se è vero che l’arte è costruzione di senso come esperienza,
riflessione e modellazione del significato dell’esistenza umana, è anche vero che l’arte
richiede la condivisione di un’esperienza umana diretta che l’IA non può condividere.
Allo stesso modo, sebbene l’alba, il tramonto e i semafori possano ispirare riflessioni
sul passaggio del tempo, queste riflessioni sono casuali, non originate dal modo in cui
quegli oggetti esistono. L’arte, invece, genera riflessioni proprio attraverso la sua
sensemaking—un
modalità di esistenza come iceberg metaforico la cui sostanza è
data dalla riflessione e modellazione dell’esperienza umana e il cui “picco”, e solo quel
picco, è la forma estetica che percepiamo. Edmond de Belamy,
Da una prospettiva sia etimologica sia filosofica, in quanto
prodotto di IA, è caratterizzato da un tipo di casualità che si oppone all’autonomia che
invece caratterizza l’arte come risultato di un’esperienza diretta dell’essere umano.
Anche se, per qualche motivo, i suoi colori scuri e contorni morbidi ci fanno riflettere
su qualcosa della nostra esistenza, quella riflessione è analoga a quella che avviene di
fronte a un’alba, un tramonto o un semaforo: riflessioni casuali, non intenzionali,
scollegate da un’esperienza modellata e condivisa.
Edmond de Belamy
Possiamo spingerci ancora oltre: se di fronte a ci troviamo a
riflettere sulla malinconia della nostra esistenza, il rapporto tra l’opera e la nostra
meta-
riflessione è casuale perché l’opera non può offrirci ciò che possiamo definire
sensemaking. meta
Unendo il greco (che significa posteriorità e additività) al termine
Edmond de Belamy
“sensemaking”, si può individuare la ragione per cui non può
offrirci un’esperienza artistica: non può offrirci un significato ulteriore e successivo,
dato non dalla forma estetica in sé, ma dalla sua posteriorità e additività come
riflessione umana sull’esistenza.
Edmond de Belamy,
Dunque, di fronte a all’alba, al tramonto e ai semafori, non ha
senso dire che “funzionano come simbolo” di un’esistenza umana marcata dal tempo e
meta-sensemaking:
dalla malinconia, perché non possono offrirci un’opera posteriore
e ulteriore di riflessione autonoma sull’essere umano.
meta-sensemaking,
Possiamo dire, infine, che, quando si tratta di l’artista umano non
Il Corvo
è un elemento casuale, ma necessario. Il protagonista de soffre per la morte
della donna amata e trova risposta nel “mai più” del corvo, in una climax che lo porta
dalla malinconia alla disperazione. La forma dell’opera (lunghezza, tono, estetica,
refrain, ecc.) è il risultato dell’esperienza diretta di essere umano, in particolare
dell’esperienza della sofferenza. Anche l’esperienza empatica è esperienza diretta (per
Madame Bovary
esempio, possiamo dire che di Flaubert nasce da un’esperienza
empatica dell’essere donna). Ma non si può dire che l’elaborazione automatica di
correlazioni statistiche sia esperienza.
Edmond