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INTERVENTO DEI CREDITORI
Dopo la fase del pignoramento occorre considerare la possibilità di successivi interventi. Possibilità che
costituisce applicazione del principio della par condicio creditorum. Tale principio costituisce per un verso
un corollario del principio della responsabilità patrimoniale (il debitore risponde dell'adempimento delle
obbligazioni con tutti I suoi beni presenti e futuri), quindi tutti i creditori hanno eguale diritto di soddisfarsi sul
patrimonio del debitore; per altro verso costituisce un riflesso del principio di eguaglianza del processo
esecutivo. Questo riferimento al principio di eguaglianza, quindi all'esigenza di paritario trattamento tra i
creditori, è importante perché ci consente di cogliere la problematicità del tema dei limiti all'intervento. Ciò
si traduce poi in un'indicazione di carattere tecnico: se tutti i creditori devono essere posti sullo stesso
piano, allora dovremmo ritenere che il legislatore non deve porre limiti all’intervento. In realtà così non è
perché nel disciplinare questo tema dell'intervento dei creditori il legislatore è chiamato a contemperare più
interessi tra loro divergenti, se non contrapposti: c'è l'interesse del creditore procedente a non vedere
diminuite le proprie aspettative di soddisfacimento del credito, per converso c'è l'interesse degli altri
creditori a soddisfarsi, infine c'è l'interesse del debitore che vuole subire il minor sacrificio possibile e che,
soprattutto, vuole subire l'espropriazione a fronte di crediti certi. Quest’ultimo aspetto pone in primo piano il
tema dell’accertamento dei crediti dei creditori intervenuti, perché per il creditore procedente c’è il titolo
esecutivo che risolve a monte il problema, per gli intervenuti manca e si pone il problema di individuare un
meccanismo che permetta di acquisire una certezza, seppur relativa del credito.
Il punto di equilibrio tra queste diverse esigenze è mutato nel tempo. In particolare il codice del '40 non
poneva alcun limite all'intervento, attuando integralmente il principio della par condicio e consentendo
l'intervento a tutti i creditori del debitore, o meglio a tutti coloro che si affermavano creditori del debitore
esecutato. Quindi il vecchio art.499 prevedeva che “oltre ai creditori indicati nell'articolo precedente
possono intervenire nell'esecuzione gli altri creditori, ancorché non privilegiati. Il ricorso per intervento deve
contenere l'indicazione del.credito e quella del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione
della somma ricavata....”. Importante è il riferimento al titolo del credito che diede luogo a discussioni in
dottrina e giurisprudenza. L'art 499 da un lato prevedeva la possibilità di un intervento di altri creditori,
dall'altro prevedeva questa necessità di indicare nell'atto di intervento il credito e il titolo di esso.
Questa disciplina era completata dalla disposizione dell’art.525 che in tema di espropriazione immobiliare
prevedeva: “Possono intervenire a norma del 499 tutti coloro che hanno un credito certo, liquido ed esigibile
nei confronti del debitore". Qui si apre l'intervento a tutti i creditori, ma si chiede un credito certo.
Che significa credito certo? Questa disposizione era richiamata dall'art 551 in tema di espropriazione
presso terzi e una disposizione analoga era dettata dall'art 563 in tema di espropriazione immobiliare:
“Possono intervenire a norma dell’art.499 tutti coloro che nei confronti del debitore hanno un credito". Non
si dice più certo o liquido, ma addirittura si diceva: “anche se sottoposto a termine o condizione", quindi non
esigibile. Si trattava di un sistema piuttosto ambiguo:
- L’art.499 consentiva l'intervento degli altri creditori prevedendo la necessità di indicare il
titolo del credito;
- L’art.525 in tema di espropriazione mobiliare faceva riferimento al credito certo, senza
fornire indicazione sul significato di questa certezza;
- In materia di espropriazione immobiliare non solo si prevedeva espressamente che il
credito fosse esigibile, ma non c'è alcun riferimento alla certezza o liquidità.
Per altro verso il legislatore del '40 prevedeva la possibilità da parte del debitore di contestare l'esistenza e
l'ammontare dei crediti dei creditori intervenuti solo nella fase della distribuzione del ricavato, quindi non
c’era nessun meccanismo che consentisse l’accertamento dei crediti dei creditori intervenuti prima di
pervenire alla distribuzione del ricavato. Distribuzione nella quale si dava la possibilità al debitore di
sollevare opposizioni distributive, quindi instaurare un giudizio di cognizione contestando l'esistenza e
l’ammontare dei crediti dei creditori intervenuti. Il legislatore era partito dal presupposto che un problema di
determinazione dei crediti dei creditori intervenuti si potesse porre solo alla fine del processo esecutivo,
ossia in fase di distribuzione.
In questo quadro normativo la dottrina prevalente riteneva che il sistema andasse ricostruito in questo
modo: - Possibilità di intervento da parte di chiunque si affermare creditore (sedicente creditore),
- Il riferimento al titolo del credito andava inteso in senso di fatto costituito, quindi non di
prova del credito, ma di indicazione, allegazione, affermazione del fatto costitutivo del
credito,
- Ogni questione relativa all'esistenza o ammontare del credito dei creditori intervenuti era
destinata ad essere risolta in sede di controversie distributive ex art.512.
Senonchè la prassi aveva dimostrato che il legislatore fosse partito da un presupposto erroneo: il problema
dell'accertamento dei crediti dei creditori intervenuti si pone ben prima della vendita, nella fase
espropriativa in senso stretto, e ciò perché vi sono una serie di istituti che presuppongono una valutazione
in merito all'esistenza e ammontare dei crediti. Una contestazione in ordine all'esistenza e ammontare del
credito del creditore intervenuto quindi si può porre ben prima.
La soluzione del legislatore si era rivelata insoddisfacente nell'applicazione pratica. Allora la giurisprudenza
aveva elaborato tale soluzione: aveva interpretato quel riferimento al titolo contenuto nell’art.499 come
sinonimo di prova documentale. Quindi aveva introdotto già in via interpretativa una condizione di
ammissibilità dell'intervento, ossia che l'interveniente fornisse una prova documentale, e poi aveva
riconosciuto il potere del giudice dell'esecuzione di valutare l'ammissibilità dell'intervento anche sotto il
profilo della sussistenza del titolo. Quindi il giudice dell'esecuzione poteva valutare l'ammissibilità
dell'intervento, attribuendogli un potere di controllo sull'ammissibilità dell'intervento con possibilità di
procedere all'opposizione agli atti esecutivi contro il provvedimento del giudice.
Il potere di valutazione del giudice dell’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi sono possibili solo
relativamente al profilo formale dell'ammissibilità dell'intervento, non anche estesa al merito, almeno per la
giurisprudenza. Questo profilo doveva ritenersi riservato alle contestazioni distributive. Sostanzialmente si
introduceva una sorta di cognizione sommaria da parte del giudice dell'esecuzione in merito ai crediti dei
creditori intervenuti.
In questo quadro è intervenuta la riforma del 2005 che ha introdotto alcune rilevanti novità in tema di
intervento dei creditori. La prima di questa novità è stata la scelta di limitare la facoltà di intervento ad
alcune categorie di creditori. L'impostazione originaria della riforma era quella di consentire l'intervento e
risolvere in radice il problema dell'accertamento dei crediti degli intervenuti consentendo l'intervento solo ai
creditori muniti di titolo esecutivo.Questa scelta poteva porre qualche dubbio di costituzionalità, ma sarebbe
stata agevole la regola secondo cui la garanzia costituzionale dell'eguaglianza non comporta di trattare tutti
allo stesso modo. Questa ispirazione di fondo non è stata perseguita integralmente perché è stato
comunque consentito l'intervento ad altre categorie di creditori:
1. Innanzitutto i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo
esecutivo,
2. Poi creditori che al momento del pignoramento avevano eseguito un sequestro sui beni
pignorati. Sappiamo infatti che il sequestro conservativo crea un vincolo di indisponibilità
analogo a quello che nasce dal pignoramento.
3. È consentito l'intervento dei creditori i quali abbiano sul bene pignorato un diritto di pegno
o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. E questo pure si giustifica in
ragione della qualità di creditore privilegiato, ossia essendo creditore che ha un diritto di
prelazione sulla vendita di quel bene deve pur esercitare tale diritto nel caso di
espropriazione.
4. I creditori che al momento del pignoramento erano titolari di un credito di somma di
denaro risultante dalle scritture contabili ex art.2214 cc. Qui c'è il dubbio di costituzionalità
perché il legislatore individua un creditore al quale riserva un trattamento diverso,
indipendentemente dalla presenza di un titolo esecutivo.
Un’altra novità della riforma è stato quello di introdurre un meccanismo anticipato di verifica dei crediti dei
creditori intervenuti non muniti di titolo esecutivo.
11/11
*Continuo intervento dei creditori e novità della riforma del 2005
La seconda novità della riforma del 2005 riguarda l'introduzione di un meccanismo di verifica dei crediti
dei creditori intervenuti non muniti di titolo esecutivo. Prima della riforma c'era questo problema nascente
dalla scelta del legislatore del ‘40 di rinviare tutte le questioni relative all'esistenza e all’ammontare dei
crediti dei creditori intervenuti al momento della distribuzione del ricavato.
Anche nel sistema introdotto dalla riforma comunque è ammesso l'intervento di creditori non muniti di titolo
esecutivo, però per questi creditori il legislatore ha previsto un meccanismo di verifica che è disciplinato
dall'art.499 commi 2, 3, 4, 5 e 6. Qui si prevede che con l’ordinanza con cui è disposta la vendita o
l’assegnazione il giudice debba fissare un'udienza per la comparizione davanti a sé del debitore e dei
creditori intervenuti privi di titolo esecutivi. In questa udienza è previsto un onere di disconoscimento da
parte del debitore, in quanto quest’ultimo è chiamato a dichiarare quali dei crediti per