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LA TASSATIVITÀ DELLE MATERIE DA REGOLARE;
LA PREDISPOSIZIONE O LA PREVISIONE DELLE FINALITÀ CHE TALE CONTRATTO
COLLETTIVO AZIENDALE DI PROSSIMITÀ PUÒ PREVEDERE.
2) Il contratto di prossimità, se è sottoscritto dalle organizzazioni sindacali che a livello aziendale o territoriale
rappresentano più del 50% dei lavoratori, acquista efficacia generalizzata per tutti i lavoratori dell’impresa o per
tutti i lavoratori che operano su quel determinato territorio.
Si tratta di un modo per applicare il CRITERIO MAGGIORITARIO (rappresentanza dell’almeno 50% dei lavoratori) al fine di
applicare i contratti collettivi (= solo quelli territoriali o aziendali che perseguono determinati obiettivi previsti dalla legge e in
relazione a determinati istituti altrettanto previsti dalla legge) a tutti i lavoratori. In questo modo, si garantisce che quegli accordi
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stipulati a livello aziendale abbiano efficacia generalizzata. Nel caso FIAT, la CISL, la UIL, ecc. superavano il 50% dei lavoratori
in termini di rappresentanza, mentre la CGIL no; quindi, questa legge venne sostanzialmente approvata per dare una misura di
sostegno alle misure approvate in FIAT.
Il contratto di prossimità, regolato da tale legge del 2011, è oggi una nuova tipologia di contratto collettivo e acquista
efficacia generalizzata in virtù di quanto previsto dalla l. 148/2011 con:
individuazione delle materie da trattare;
funzionalizzazione della regolamentazione al perseguimento di determinati obiettivi;
rispetto del criterio maggioritario
Questa legge è volta ad estendere l’ambito di applicazione del contratto di prossimità nei confronti dei lavoratori o delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori ai quali il contratto collettivo di diritto comune non sarebbe applicabile.
4.5. CONTRATTO COLLETTIVO NELL’AMBITO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Finora si è parlato del contratto collettivo dell’ambito privato (metalmeccanici, chimici, edilizia), ma il mercato del lavoro è
caratterizzato anche dalla presenza di datori di lavoro pubblici (es. Stato, Ministeri, amministrazioni, scuola, Regioni, sanità
pubblica, ecc.) e di dipendenti pubblici.
La P.A. opera divisa in 4 comparti:
1. Funzioni centrali (Ministeri, Agenzie, INPS e INAI);
2. Funzioni locali (Regioni, Province, Comuni);
3. Sanità (ospedali con il loro personale medico, infermieristico, tecnici e amministrativi);
4. Istruzione e ricerca (università e istituzioni scolastiche)
Tali comparti sono 4 dal 2016, prima erano 10 (nel 2016 = concentrazione atomica). In relazione a questi 4 comparti, operano 4
diversi contratti collettivi nazionali:
4. Contratto collettivo della sanità
5. Contratto collettivo delle funzioni centrali
6. Contratto collettivo delle funzioni locali
7. Contratto collettivo dell’istruzione e della ricerca
La peculiarità è che tali contratti sono disciplinati dal d. lgs. 165/2001 TESTO UNICO SUL PUBBLICO IMPIEGO, in cui
vi sono alcune norme (Artt.40-47) che disciplinano il fenomeno della contrattazione collettiva relativamente al settore
pubblico.
1) In relazione al settore privato NON c’è una legge simile che disciplina la contrattazione collettiva, dato che solo dal 2008
è disciplinato in modo particolare il contratto collettivo di prossimità;
2) Nel settore pubblico, invece, vi è una legge che regola la contrattazione collettiva.
Questa legge anzitutto definisce chi sono i soggetti negoziali:
- Per quanto attiene alla parte pubblica, si individua in un’Agenzia il soggetto che rappresenta tutte le amministrazioni
pubbliche italiane. Tale agenzia prende il nome di ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale); si tratta di un
soggetto pubblico dotato di personalità giuridica che rappresenta tutte le amministrazioni in sede di contrattazione
collettiva; tuttavia, essa NON opera nelle regioni e nelle province a statuto speciale (es. a Trento vi è un’agenzia
provinciale che svolge il medesimo ruolo dell’ARAN).
- Per quanto riguarda le organizzazioni sindacali, i dipendenti pubblici vi si possono iscrivere, però per la conclusione dei
contratti collettivi sono legittimate solo le organizzazioni che raggiungono un certo grado di rappresentatività (=
numero di iscritti almeno pari al 5% dei lavoratori); le organizzazioni sindacali che non superano questa soglia non
sono rappresentative ai sensi del d. lgs. e non possono partecipare alle trattative.
Questi soggetti contrattano e stipulano il CONTRATTO COLLETTIVO DEL SETTORE PUBBLICO, che è un contratto
collettivo di diritto comune, ma che di fatto ha un’efficacia generalizzata, non perché lo dice la legge, ma per le caratteristiche
che la legge dà al sistema di contrattazione collettiva:
Anzitutto, l’ARAN rappresenta TUTTE le P.A., e quindi non si può verificare il fenomeno per cui un’amministrazione
si dissocia dall’ARAN. Il contratto collettivo firmato dall’ARAN trova applicazione nei confronti di tutte le P.A.,
per legge, dato che l’ARAN le rappresenta tutte per legge.
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Sul versante dei lavoratori vale un particolare criterio che opera nel pubblico impiego, ma non nel settore privato: il
criterio della PARITÀ DI TRATTAMENTO, in forza dell’Art. 97 Cost., che stabilisce che “i pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione”. Il concetto di imparzialità corrisponde al principio di parità di trattamento, e questo significa che
le pubbliche amministrazioni devono trattare tutti i loro dipendenti allo stesso modo.
In forza del combinato disposto e del combinato operare di tali due regole, il contratto collettivo nel settore pubblico ha efficacia
generalizzata. Si effettua la differenza con il settore privato:
Nel settore privato, il contratto collettivo stabilisce dei trattamenti minimi che possono essere migliorati
attraverso una contrattazione individuale (esempio: se si prevede che la retribuzione di un dipendente è pari a 1.000€,
il singolo lavoratore e il datore di lavoro possono concordare una retribuzione pari a 1.500€, con un trattamento
maggiormente favorevole).
Nel settore pubblico, quanto detto non è possibile: esempio, un’insegnate la cui retribuzione prevista è pari a 1.800,
non può presentarsi dal dirigente scolastico per contrattare una retribuzione superiore rispetto a quella del contratto
collettivo, e si tratta sicuramente di una contraddizione rispetto al settore privato.
Nel settore pubblico vale questa regola diversa per RAGIONI DI CONTENIMENTO DELLA SPESA PUBBLICA, e infatti la
contrattazione collettiva nel settore pubblico è prevista in modo molto preciso, a partire dalla PRE-DETERMINAZIONE
DELLE RISORSE che lo Stato destina a tali contratti collettivi. Questi ultimi hanno scadenza a 3 anni e prima di procedere con
il rinnovo, lo Stato, attraverso la legge di bilancio, deve stanziare le risorse necessarie (si tratta di miliardi di euro, considerato che
i dipendenti pubblici in Italia sono circa 4 milioni). Nell’Art. 97 la parità di trattamento ostacola la differenziazione salariale nel
pubblico impiego, nonostante se ne discuta.
Il contratto collettivo del settore pubblico, in questo modo, non stabilisce solo il minimo del trattamento da riservare al
lavoratore, ma anche il massimo del trattamento riconoscibile. Il datore di lavoro privato deve riconoscere l’astensione
obbligatoria per 6 mesi, ma se un datore di lavoro privato la vuole riconoscere ad es. 2 anni lo può fare; nel settore pubblico ciò
non può accadere: se un datore di lavoro pubblico operasse in modo particolarmente generoso nei confronti dei propri dipendenti,
commetterebbe il c.d. danno erariale, ovvero sperpererebbe risorse pubbliche per perseguire scopi che la legge non prevede.
Un’altra peculiarità è che tale decreto del 2011 stabilisce una dettagliata ripartizione delle competenze, stabilendo una vera e
propria GERARCHIA tra il contratto collettivo nazionale e il contratto collettivo decentrato o integrativo.
- Il contratto collettivo nazionale si occupa di tutte le materie (= del minimo trattamento);
- Il contratto collettivo nazionale delega alla contrattazione integrativa alcune materie, ossia la possibilità di intervenire
per regolare alcune materie, destinando anche le risorse necessarie per farlo.
La regola è che la contrattazione integrativa può intervenire solo e soltanto sulle materie previste ed espressamente
delegate dal contratto collettivo nazionale e che NON può invadere le competenze del contratto nazionale. È in questo modo
che si realizza una rigorosa ripartizione delle competenze, ed è il contratto collettivo nazionale la fonte sovrana grazie alla quale
può intervenire il contratto collettivo integrativo.
Cosa accadrebbe se il contratto collettivo integrativo intervenisse su materie di non propria competenza, che accade? In teoria,
cade la clausola che interviene su una materia non delegata, ovvero la clausola è nulla e non può essere applicata, secondo
quanto previsto dalla legge.
Le clausole del contratto integrativo che violano la ripartizione delle competenze sono NULLE e NON POSSONO TROVARE
APPLICAZIONE. La norma aggiunge che chi ha sottoscritto il contratto integrativo in deroga di tali regole, ne risponde
personalmente in termini di danno erariale.
5. RAPPORTO TRA LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
Premessa
Il rapporto tra le fonti del diritto del lavoro è una tematica di fondamentale importanza, sia dal punto di vista teorico, sia dal punto
di vista pratico. Si tratta di ricostruire il modo in cui interagiscono le molteplici fonti del diritto del lavoro, al fine di stabilire qual
è la disciplina applicabile al rapporto di lavoro. Non è così raro che disciplinino un medesimo istituto due fonti diverse, esempio:
in materia di orario di lavoro, la legge prevede le 40 h settimanali e il contratto collettivo prevede le 36 h. In questo caso, si hanno
due fonti del diritto del lavoro che disciplinano la medesima materia, ma in modo diverso . Quale delle due regole si applica? Si
applica il PRINCIPIO DEL FAVOR, e quindi quella del contratto collettivo, che prevede meno ore settimanali. Potrebbe essere
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citato anche l’istituto delle ferie, dato che la legge prevede 4 settimane di ferie, mentre il contratto collettivo ne prevede 3; in
questo caso, si applica la legge, perché prevede più settimane di ferie.
Bisogna tenere conto di due criteri cardine:
1. INDEROGABILITÀ DELLA NORMA GIUSLAVORISTICA la norma del diritto del lavoro è inderogabile;
2. Il FAVOR nei confronti del LAVORATORE (soggetto debole) si tiene conto del principio del favor, dato che il
lavoratore non è altro che il soggetto debole e in quanto tale necessita di essere tutelato.
Le fonti del dir