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IN SINTESI: LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
Il rapporto diverso tra datore di lavoro e lavoratore si ripercuote sulla legislazione. Le leggi stabiliscono il minimo
(poi i contratti collettivi posso migliorare). Si può parlare delle fonti in 2 modi:
➢ Fonti del diritto del lavoro;
➢ Fonti che governano il rapporto di lavoro.
Quali fonti regolano il rapporto di lavoro?
➢ Le fonti attuali -> leggi, diritti costituzionali, decreti legislativi… queste però non sono sufficienti;
➢ Il contratto collettivo (=atto di autonomia privata / contratto)
➢ Il contratto individuale
Queste 3 fonti disciplinano il rapporto di lavoro. Non c’è una gerarchia fra di loro.
➢ Fonti di diritto secondario (circolari, pareri).
Il mondo del lavoro è molto complesso: esiste una stratificazione di fonti (uno stesso istituto è governato da più
fonti). Bisogna quindi capire quale fonte è prevalente. 59
Corso di
DIRITTO DEL LAVORO B
dal manuale “Diritto del Lavoro” di Riccardo del Punta
Sezione II
DIRITTO
SINDACALE
60
Corso di
DIRITTO DEL LAVORO B
dal manuale “Diritto del Lavoro” di Riccardo del Punta
Capitolo 1
ORGANIZZAZIONE
E AZIONE
SINDACALE
61
1. ORGANIZZAZIONE E AZIONE SINDACALE
PARTE I: DEFINIZIONE DEL DIRITTO SINDACALE
DEFINIZIONE DEL DIRITTO SINDACALE
Il diritto sindacale è quella parte del diritto del lavoro che si identifica nel complesso delle norme poste dallo
Stato, o dalle associazioni sindacali contrapposte, che disciplinano le relazioni intercorrenti fra i soggetti collettivi
sul territorio dei rapporti di produzione e lavoro. Il diritto sindacale è la branca del diritto del lavoro che si occupa
di sindacati, contratto collettivo e sciopero. Le relazioni sindacali si svolgono anzitutto sul terreno della prassi, e
soltanto in parte si lasciano catturare dalle regole giuridiche. Al di là delle (non molte) regole e dei principi di
provenienza legislativa o giurisprudenziale, il sistema sindacale è altresì capace di elaborare norme di condotta
proprie, talune delle quali (segnatamente quelle che assumono una natura propriamente contrattuale) riescono
ad acquisire una valenza giuridica, che però non equivale a quella della legge. Ce ne sono poi molte altre che
restano al di qua di tale valenza giuridica (rilevano soltanto come codici di condotta per le parti). Il maggiore
studioso italiano del diritto sindacale, Gino Giugni, ha valorizzato il tutto nella teoria dell’“ordinamento
intersindacale“. Ciò non toglie che la dimensione per così dire classica delle regole permanga importante, siano
esse di fonte costituzionale, legislativa o collettiva. E questo presuppone che le regole in discorso, seppur
prodotte dall’ordinamento intersindacale, abbiano valore anche in quello statuale.
IL DIRITTO SINDACALE: DEFINIZIONE E OGGETTO DI STUDIO
Il diritto sindacale è quella branca del diritto del lavoro che studia in maniera particolare i diritti collettivi che
sono in capo ai lavoratori, che esercitano per il tramite delle loro organizzazioni sindacali. Queste norme
regolano il rapporto fra datore di lavoro e lavoratore. Ma le norme nel diritto sindacale rappresentano una parte
molto esigua: i rapporti collettivi di lavoro, che si sostanziano in contrattazione collettiva e sciopero, non sono
diretti da interventi del legislatore. La stessa considerazione la possiamo fare se invece di guardare al diritto
sindacale “dinamico” guardiamo a quella parte di diritto sindacale che, se dovessimo fare una fotografia, può
essere definita “statica” (=organizzazioni sindacali). Anche in questo caso, l’intervento del legislatore è ridotto ai
minimi termini. Perché questa assenza di interventi normativi? Il diritto sindacale ha una dimensione
prettamente pre-giuridica e rappresenta un fenomeno (=cosa che si verifica nella realtà al di fuori degli schemi
delle norme). Ecco perché si parla spesso di “spontaneismo”, termine con cui si indica il fatto che prima delle
regole ci siano i comportamenti spontanei dei soggetti collettivi, che ricomprendono il momento statico
(organizzazione) e dinamico (contrattazione collettiva e sciopero). Questo fenomeno particolare (il fatto che non
ci sia un intervento del legislatore) ha dato luogo ad una serie di studi che hanno considerato le regole che i
sindacati e i lavoratori si sono dati in autonomia alla stregua di un ordinamento. Si parla infatti di ordinamento
intersindacale. È come se questo intreccio di regole che le parti si danno autonomamente fosse considerato alla
stregua di un ordinamento. Fautore della teoria dell’ordinamento intersindacale è un professore di diritto del
lavoro, Gino Giugni, considerato il padre dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970).
PARTE II: I SINDACATI
DEFINIZIONE DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE
Non troviamo una definizione di organizzazione sindacale: se andiamo a cercare una norma che definisca in
positivo o in negativo il concetto di organizzazione sindacale questa norma non esiste. A questa carenza ha posto
rimedio la dottrina: in particolare è di estrema importanza la definizione di sindacato che si può attribuire
proprio a Gino Giugni. Gino ha definito il sindacato come “un’associazione libera e spontanea” di singole
persone che però abbiano uno status particolare: devono essere dei lavoratori subordinati. Si parla di
associazione sindacale se la guardiamo dal lato dei lavoratori. Alla direzione dei sindacati provvedono i singoli
individui che abbiano lo status o di lavoratori o di datori di lavoro (esiste anche l’associazionismo datoriale).
62
I SINDACATI
Il movimento sindacale si è espresso in un’estrema diversità di forme organizzative e di rapporti con il sistema
economico e politico. L’identità di un sindacato è connotata in primis dal tipo di modello organizzativo, ossia
dalla composizione della base di soggetti (qui, di lavoratori) che sono disposti a farsi rappresentare da esso.
L’organizzazione delimita l’ambito dell’azione di rappresentanza del sindacato.
➢ La forma più antica di sindacato è il sindacalismo di mestiere, frutto dell’aggregazione di lavoratori
accomunati dal fatto di svolgere il medesimo mestiere. Sorto nell’Ottocento, ha assunto l’eredità delle
corporazioni medievali attorno ai mestieri più importanti e qualificati dell’epoca, gli unici a poter avere un
qualche peso negoziale nei confronti degli imprenditori. Pur avendo perso il primato nel momento del
passaggio alla produzione di massa e alla conseguente standardizzazione dei mestieri, esistono tuttora
(come sindacati professionali) e non di rado conoscono rinascite di vitalità. Ciò accade quando categorie di
lavoratori insoddisfatti del sindacalismo generale si organizzano autonomamente allo scopo di difendere più
efficacemente i propri interessi. I sindacati di mestiere sono caratterizzati da un forte senso di identità, cui
fa riscontro una minore sensibilità alle problematiche generali: per questo, essi vengono bollati, talvolta,
come corporativi. Inoltre, essendo legati al ruolo professionale, si pongono sindacati come quelli dei dirigenti
e, dagli anni ‘80 del secolo scorso, dei quadri nei quali il tratto aggregante è costituito dalla posizione apicale
o sub-apicale di tali figure nella scala di comando aziendale.
➢ Dopo il declino dei sindacati di mestiere e lungo tutto il ‘900, il modello prevalente è stato, ed è tutt’oggi,
quello del sindacato di industria o di categoria. Esso si fonda sull’aggregazione di tutti lavoratori operanti in
un medesimo settore economico (metalmeccanici, chimici, bancari), a prescindere dal mestiere cui sono
addetti (per cui l’operaio è accomunato all’autista etc.). In alcuni casi, il settore economico si identifica con
una grande azienda di dimensioni nazionali (es: Poste italiane), di modo che la “categoria“ contrattuale è
delimitata dall’azienda stessa. Tenendo insieme tutti i lavoratori di un settore, il sindacato di categoria
realizza un’aggregazione trasversale di interessi, dei quali ha una visione complessiva pur restando costretto
a operare selezioni interne fra essi, specie nel momento cruciale della stipulazione dei contratti collettivi
nazionali (=attività di maggiore rilievo svolta dalle associazioni sindacali di categoria). I più importanti
sindacati italiani sono ascrivibili a tale modello, pur differenziandosi in ragione di differenti identità politico-
sindacali. Nell’esperienza italiana, il sindacato di categoria si interseca con il sindacalismo confederale, con il
quale ha una relazione di appartenenza e tendenziale complementarità.
➢ La confederazione (es: CGIL, CISL, UIL) è un’associazione di secondo grado (=associazione che aggrega, a
livello orizzontale, le associazioni di categoria contrassegnate da una medesima identità politico-sindacale -
> è composta da più associazioni di categoria). Essa si articola in direzioni territoriali (es: le Camere del lavoro
per la CGIL). La confederazione è nata storicamente prima dei sindacati di categoria. La confederazione è il
sindacato dotato della maggiore caratterizzazione politica ed è il protagonista della concertazione. Essa è
dotata anche di una piena legittimazione negoziale, che si esplica nella stipulazione (con il corrispondente
soggetto imprenditoriale) di accordi interconfederali (o, in caso di concertazione, trilaterali). La
confederazione è dunque quella parte apicale del sindacato in cui confluiscono tutte le organizzazioni di
categoria (in essa ci sono tutti i sindacati di categoria in cui la confederazione è rappresentata). Le
confederazioni sono chiamate a prendere delle decisioni sia di carattere tecnico che politico.
➢ L’ultimo modello da considerare, pur non essendo molto diffuso in Italia, è quello del sindacato di azienda.
Si tratta di un’entità sindacale che si forma all’interno di una singola azienda, in genere in chiave di distanza
dal sindacalismo generale. Ne sono un esempio i COBAS (=Comitati di base), coalizioni sindacali di taglio
antagonistico, germinate in aziende caratterizzate da vivaci relazioni sindacali.
Nella pubblicistica sono talora apparse indagini sui sindacati dei lavoratori, tese a denunciare fenomeni di scarsa
trasparenza finanziaria, conservazione di privilegi (es: pensionistici), incrostazioni di potere, etc. Una cosa è
l’importanza storica e sociale della missione svolta dal sindacato come agente di tutela dei lavoratori, un’altra
l’umana realtà dello stesso come organizzazione (che è inevitabilmente imperfetta ed esposta a degenerazioni
anche di mero interesse e potere). A fronte del sindacalismo dei l