Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 6
Riassunto esame Diritto Romano, Prof. Rossetti Giulietta, libro consigliato Il diritto romano caso per caso, Silodoro, Scognamiglio, Pasquino Pag. 1 Riassunto esame Diritto Romano, Prof. Rossetti Giulietta, libro consigliato Il diritto romano caso per caso, Silodoro, Scognamiglio, Pasquino Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 6.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Diritto Romano, Prof. Rossetti Giulietta, libro consigliato Il diritto romano caso per caso, Silodoro, Scognamiglio, Pasquino Pag. 6
1 su 6
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

LA DURATA DEL DIRITTO DI ABITAZIONE

Da sempre i giuristi si sono interrogati sulla questione relativa al diritto di abitazione e su quanto tale diritto

potesse durare. Diverse sono state le ipotesi; tra le più accreditate si ricorda quella del giurista Rutilio, il

quale afferma che il diritto di abitazione estende la sua durata fino alla morte dell’Habitator (cioè il titolare

adel diritto stesso). La fattispecie che diede luogo alla sentenza riferita da Ulpiano è:

Tizio vuole Lasciare per legato alla moglie la casa coniugale ma ha dubbi circa la durata deII’habitatio. Il

prudens interpellato risponde che in base ad un’antica sentenza del giurista Rutilio, e una più recente del

giurista Celso, l’habitatio dura finché l’habitator è in vita.

L’habitatio è letteralmente l’uso di una casa di abitazione. In epoca giustinianea esso si configura come IUS

IN RE ALIENA. Precedentemente l’habitatio era parte degli IURA UTENDI (dritti su cosa altrui con portata

limitata rispetto all’usufrutto. In caso di formulazione incerta spettava ai giuristi stabilire se si trattasse di

usufrutto o di uso.

Complesso era stabilire chi, insieme al legatario (in genere il coniuge), potesse abitare la casa. A partire da

Quinto Mucio Scevola si estese il numero di persone che con l’usuario potessero abitare la domus; tale

numero includeva la moglie o il marito, la familia, i liberti e gli hospites. Il fatto che l’usus domus fosse

esteso anche a liberti e ospiti risponde a ragioni etiche e sociali prima che giuridiche: innanzi tutto la

coabitazione tra liberti e padroni era una pratica comune e, per quanto riguarda gli ospiti, a Roma da

sempre l’ospitalità era considerata sacra.

Le ragioni che indussero il giurista UIpiano ad affermare che l’habitatio si protraeva per tutta la vita del

titolare si individuano nella necessità di garantire aI’habitator la continuità del godimento dell’ambiente in

cui si era svolta la vita familiare.

Oggi il diritto di abitazione è disciplinato nel Terzo libro del Codice Civile, più precisamente al titolo V, capo Il

(Art. 1022 ss.). Esso mantiene la configurazione propria del diritto romano di IUS IN RE ALIENA e può

costituirsi per atto inter vivos oppure mortis causa.

IPOTESI DI SERVITU’ CONVENZIONALE: Il divieto della pesca dei tonni

Nell’esperienza giuridica romana si è sempre tentato di conciliare gli interessi specificamente connessi

all’attività di navigazione e di pesca, più specificamente all’utilizzo di corsi d’acqua con contrapposti

interessi dei proprietari rivieraschi, i quali pretendevano di imporre limitazioni e divieti dell’esercizio di

pesca nelle acque antistanti i Loro possedimenti. Nel Digesto è riportato un passo in cui si narra che ad

Ulpiano viene chiesto se è possibile esercitare l’actio iniuriarum contro chi proibisca ad altri di pescare in

mare. Il giurista ricorda l’opinione di Pomponio che si dice favorevole alla proposta di azione. Ulpiano

ribadisce che il mare ed il litorale, come anche l’aria, fa parte della categoria di res communes omnium.

A tal riguardo si ricorda un secondo caso: All’atto di alienazione di un fondo detto Geroniano, il venditore

aveva pattuito con l’acquirente che nelle acque antistanti un altro suo fondo (denominato Batriano), di cui

l’alienante continuava a detenere il possesso, non dovesse praticarsi la pesca dei tonni.

Ulpiano ribadisce nuovamente che non è possibile imporre una servitù limitativa ad una res communes

omnium, ma visto che ciò è stato oggetto di un accordo e quindi presume il consenso di entrambe le parti,

ciò ha valenza anche per i posteri. In molti hanno ritenuto incomprensibile il ragionamento del giurista.

Fasolino, a tal proposito, sottolinea che il fatto deve essere analizzato senza preconcetti. Dal ragionamento

posto in essere da Ulpiano si può comprendere che egli stesso prende in considerazione valutazioni differenti

dato che è consapevole degli interessi economici tirati in ballo. Il giurista inequivocabilmente ritiene

meritevoli di tutela gli interessi sottostanti alla pattuizione tra privati. Il divieto imposto nella clausola dal

venditore non era di pesca generica ma specifica; ciò sottolinea che il venditore non voleva subire danno

alcuno causato dalla mattanza. La mattanza era la modalità di pesca prevista specificamente per i tonni ed

era conosciuta per il notevole apporto dannoso che questa provocava ai fondali marini.

Per quanto riguarda i destinatari di tale divieto, il giurista specifica che esso è valido nei confronti dei

possessori dei fondi e dei Loro successori.

IMMISSIONI E CONFLITTI DI VICINATO: il caso della taberna caseari

Le recenti vicende sociali e giudiziarie legate alle immissioni nocive provenienti dagli impianti industriali

hanno suscitato nei giuristi l’attenzione riguardo ai difficili equilibri di opposte esigenze: da un lato quella

della produzione industriale legata agli interessi economici del Paese, dall’altro i diritti dei singoli e della

comunità alla salute e aII’amenità dell’ambiente. Nell’antichità l’ambiente non era direttamente tutelato ma

vi era la tutela di beni e la salubritas di alcuni luoghi pubblici quali condutture fognarie o vie pubbliche. In

età romana non vi era la produzione di sostanze chimiche pericolose: grande era l’utilizzo di piombo,

materiale a Iungo andare tossico. I romani affrontarono il problema solo indirettamente, tutelando il cives

solo se e quando esso era proprietario dei luoghi in cui vi era inquinamento.

Il tema di immissioni moleste è affrontato nel caso dell’inquinamento dell’aria prodotto dalla taberna casearia.

Ulpiano riferisce la discussione del giurista Tiro riguardante la problematica giuridica legata alla commissione

di condotte di per sé lecite ma nocive ai vicini.

Un certo Cerellio Vitale aveva interrogato Aristone sulla conformità al diritto del le immissioni di fumo

provenienti da un caseificio e dirette verso l’edificio superiore, da lui abitato. Aristone risponde che, siccome

la taberna era stata data in locazione al casaro, quest’ultimo non è legittimato ad immettere fumi negli

ambienti superiori; d’altronde anche chi abita ai piani superiori non può immettere fumi o acqua nei locali

inferiori. Pertanto colui che abita sopra può agire nei confronti del proprietario sottostante. Aristone rettifica

che, sebbene chi abita nell’edificio superiore rispetto alla taberna possa proibire al casaro l’immissione di

fumi, i Minturnesi (cittadini della città che ha ceduto in locazione la taberna) sono tenuti nei confronti del

conduttore con l’actio ex conductio.

La ratio della decisione risulta chiara: nella specie la funzione del contratto di locazione coincideva con

l’esercizio dell’attività di lavorazione dei formaggi, necessariamente implicante la diffusione di fumi che

tuttavia avrebbero recato danno agli abitanti dell’edificio superiore.

Colui che è titolare del diritto a produrre immissioni può chiedere anche l’interdetto proibitorio nei confronti

di coloro che assumono comportamenti impeditivi dell’attività produttiva.

Successivamente Ulpiano riferisce delle perplessità espresse da Pomponio in ordine alla questione se fosse

possibile agire nei confronti del vicino contestando la produzione, nel suo fondo, di un fumo di lieve entità

quale il fumo sviluppato da un fuoco. Pomponio propendeva per negare l’azione in questo caso. I giuristi

romani reputavano lecite le immissioni indirette di modica entità e conseguenti all’uso normale del proprio

fondo da parte deII’immittente, escludendo che il vicino avesse il diritto di proibirle. Per le attività immissive

di tipo industriale si riteneva che l’immesso potesse reagire tramite alcuni rimedi processuali, a meno che il

proprio fondo non fosse gravato da servitù. Quindi l’immesso, se il suo fondo non era gravato da servitù,

secondo UIpiano poteva opporre una “prohibitio “di immettere fumo in quantità abnormi nei confronti del

finitimo.

Il proprietario vittima di immissioni moleste, derivanti da un uso non ordinario del fondo vicino, poteva agire

nei confronti dell’autore delle immissioni con un’ ” actio negatoria sevitutis”. Le immissioni dovevano

ritenersi lecite qualora il fondo interessato fosse gravato da servitù.

RESPONSABILITA’ DEL MEDICO

Sempronio, schiavo di Tizio, è rimasto ferito a seguito di un’aggressione da parte di Caio. La situazione sarebbe

tale da legittimare Tizio ad esperire contro Caio tramite l’ACTIO EX LEGE AQUILIA EX CAPITE TERTIO, ovvero

quella che riguarda il danneggiamento di schiavi, animali o beni.

In particolare, Tizio lamenta che Io schiavo sia morto a seguito delle ferite riportate neII’aggressione: poiché

l’aggressione è dovuta a Caio, egli è responsabile di questa morte. Caio oppone che se Tizio avesse provveduto

immediatamente a far curare Io schiavo invece di aspettare che la ferita si infettasse, Sempronio sarebbe

ancora vivo. Tizio obbietta che il medico chiamato per curare Sempronio era un medico di chiara fama, ma che

nulla aveva potuto di fronte al degenerare della ferita. Caio è dunque responsabile ma replica che la sua

responsabilità deve essere limitata alle lesioni perché la morte è stata causata dalla negligenza del dominus e

del medico.

Nel caso di ferimento e more di un individuo a seguito delle ferite, al feritore non potrà essere attribuita la

responsabilità ex occisio prima di aver considerato:

- la perizia del medico chiamato a curare il ferito;

- la eventuale negligenza dell’avente potestà nel provvedere alle cure.

È da precisare che il dominus non aveva nessun obbligo di garantire adeguate cure al suo sottoposto. Per

quanto riguarda l’arte medica, Plinio nelle sue Naturalis Historiae espone le sue critiche alla medicina intesa

come professione. In quel periodo i medici erano mal considerati poiché erano poco preparati e molto costosi.

Gli antichi quindi condannavano non la medicina ma il mestiere medico poiché, come dice lo stesso Plinio, la

medicina è la sola arte a causa della quale ci si affida al primo venuto che si professa medico.

Il rapporto con il medico va inquadrato nella categoria di un contratto di locatio operis; il lavoro che richiedeva

una certa specializzazione dava luogo ad un’obbligazione di risultato. È il caso del medico che curava un malato

e poteva essere convenuto in giudizio nel caso in cui avesse esercitato la sua professione con imperizia. Oggi la

posizione del medico è senza dubbio cambiata: il medico è tenuto ad un’obbligazione di mezzo e non di

risultato, in quanto egli può ga

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
6 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dafne.91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Rossetti Giulietta.