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DIRITTI E DOVERI
1. Introduzione: dalle costituzioni liberali alle costituzioni contemporanee
La garanzia dei diritti acquista una posizione centrale a partire dal secondo dopo guerra, nelle costituzioni approvate
dopo la tragedia dei totalitarismi. Con l’introduzione delle costituzioni rigide cambiano anche i contenuti, accanto alle
libertà negative si scrivono nelle costituzioni anche le libertà positive, ovvero quelle che richiedono un intervento attivo
dei poteri pubblici per la loro garanzia. Le costituzioni del secondo dopo guerra sono costituzioni lunghe: esse sono
corredate da un catalogo completo di diritti, che comprende sia i diritti civili e politici, sia i diritti sociali ed economici. La
garanzia dei diritti nello Stato contemporaneo assume una dimensione internazionale e sovranazionale: negli stessi anni
a livello internazionale furono approvati i documenti fondamentali che avevano per obiettivo la protezione dei diritti, come
la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.
2. Libertà ed uguaglianza nella costituzione italiana
Dopo i primi 12 articoli quali cati principi fondamentali, segue la prima parte composta da 42 articoli ed intitolata diritti e
doveri dei cittadini, adesso segue la parte II contenente l’ordinamento della Repubblica. La prima parte è articolata in
4 titoli dedicati ai rapporti civili, ai rapporti etico sociali, ai rapporti economici ed ai rapporti politici. L’architettura dei diritti
è ispirata e ordinata da 2 punti di fuga prospettici contenuti tra i principi fondamentali che aprono il testo costituzionale:
gli articoli 2 e 3.
2.1 l’articolo 2: i diritti inviolabili e i doveri inderogabili
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
L’ordinamento pone al centro la protezione dei diritti fondamentali della persona, che non è soltanto l’individuo in sé
isolatamente considerato, bensì è anche l’individuo inteso nella sua proiezione sociale, nel suo essere inserito in contesti
di vita, immerso e legato a quei gruppi umani ove orisce e si sviluppa la sua individualità. Il merito della costituzione è
quello di concepire l’uomo non in modo astratto ma nella sua esistenza storica e concreta, come persona caratterizzata
da bisogni e di conseguenza dalle relazioni necessarie a rispondere a questi bisogni. Inviolabilità: garanzia di
intangibilità dei diritti stessi, non eliminabili neanche ad opera dell’organo espressivo della volontà popolare, quale è il
parlamento. A questo punto si apre la strada alla possibilità del controllo giudiziario della costituzionalità delle leggi che
interferiscono con tali diritti. Inviolabilità signi care che i diritti non solo non potranno mai essere ingiusti catamente
compressi dall’autorità pubblica ma neanche eliminati, dal momento che le regole costituzionali rappresentano un limite
al legislatore ordinario e allo stesso potere di revisione costituzionale. La costituzione esprime chiaramente l’inviolabilità
soltanto di quattro dei diritti del titolo I, cioè libertà personale (articolo 13), libertà di domicilio (articolo 14), libertà e
segretezza della corrispondenza (articolo 15) e diritto di difesa (articolo 24, comma 2), ma questo va riconosciuto anche
ad altri diritti, come il diritto alla salute, alla vita, a manifestare il proprio pensiero, ad associarsi, a riunirsi, i diritti della
persona in ambito familiare ecc. nel disegno costituzionale vi è una stretta correlazione tra diritti e doveri. La concezione
di uomo come essere dotato della capacità di tessere relazioni sociali giusti ca non solo limiti ai diritti, ma anche doveri
ed obblighi nalizzati alla vita. Il riconoscimento del principio solidaristico non signi ca che tutti i doveri previsti in
costituzione trovino in esso fondamento, bensì solo quelli che hanno una ragione nella solidarietà.
3. Articolo 3: l’uguaglianza
In Italia il principio di uguaglianza trova una maturazione che è il frutto dell’incontro in assemblea costituente tra gli ideali
del movimento operaio di matrice socialcomunista, del movimento cattolico democristiano e della tradizione liberale, che
si colloca al cuore del compromesso costituzionale. Il primo comma produce la tradizionale concezione liberale
dell’uguaglianza in senso formale: è sancito nell’articolo 3 comma 1 che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. A questo comma ne segue un altro in cui si aggiunge l’affermazione di un nuovo principio,
comunemente indicato come uguaglianza in senso sostanziale, in cui la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale, limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Come può essere formulato il criterio del giudizio di uguaglianza? Occorre trattare in maniera uguale situazioni uguali e
in maniera differenziata situazioni diverse. Si ha lesione del principio di uguaglianza se situazioni uguali sono trattate in
modo diverso. Il giudizio di uguaglianza tende a con gurarsi come un giudizio di ragionevolezza: adeguatezza delle
decisioni del legislatore alla realtà concreta. Il principio di non discriminazione è la versione internazionale del principio
di uguaglianza nel senso che il suo impegno si deve soprattutto alle corti e alla corte internazionale. Il principio di non
discriminazione afferma lo stesso valore dell’uguaglianza. Un esempio di differente applicazione del principio di
uguaglianza rispetto a quello di non discriminazione è stata la decisione della corte costituzionale italiana con una
sentenza del 2010 sulla questione di legittimità costituzionale degli articoli del codice civile che impediscono ad una
copia dello stesso sesso di contrarre matrimonio civile. Il tribunale sosteneva che la norma implica che esclude gli
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omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, violando principi supremi quale
l’uguaglianza. La corte costituzionale ha risposto che non c’è violazione del parametro dell’uguaglianza in quanto la
normativa del codice civile che prevede il matrimonio tra uomo e donna, da un lato trova speci co fondamento in un
articolo costituzionale (articolo 29) e, dall’altro, non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni
omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.
2.2.1 l’uguaglianza formale
Per uguaglianza formale si intende l’uguaglianza di fronte alla legge, sulla quale si fonda lo stesso stato di diritto, che
determina un vincolo dei poteri pubblici rispetto al diritto. L’uguaglianza formale si traduce nel divieto per il legislatore di
adottare trattamenti differenti tra i cittadini. Esso deve essere inteso come un divieto di introdurre discriminazioni non
ragionevoli, non solo perché fondati esclusivamente su uno dei motivi enunciati nella norma costituzionale, ma perché
basate su una valutazione irrazionale. Il primo divieto introdotto dalla costituzione è quello della discriminazione in base
al sesso: è un divieto pari agli altri ma ritenuto meno forte, in quanto bisogna considerare le differenze sico-biologiche e
la presenza di norme costituzionali che sanciscono la differenza in relazione al sesso (articolo 29, articolo 37 articolo 51).
Il secondo tipo di distinzione vietata è relativa alla razza. Il divieto rispetto alla lingua va letto congiuntamente alla tutela
delle minoranze linguistiche prevista dall’articolo 6. La corte costituzionale ha avuto modo di affermare che esiste un
diritto ad usare la lingua materna e ricevere risposta in tale lingua nei rapporti con le autorità pubbliche, specie durante
un processo. Anche il divieto relativo alla religione, e la previsione di questo divieto non è assoluta ma va contemplata
con i principi previsti in tali articoli e soprattutto con la normativa prevista per regolare i rapporti con la chiesa cattolica e
le altre religioni. Si ha poi il divieto di discriminare in base alle opinioni politiche. In questo caso si fa riferimento a tutte
le norme da cui si trae la tutela dell’esistenza di movimenti politici o partiti e dell’appartenenza ad essi (articolo 21,22,48
e 49). Con la formula “condizioni personali e sociali” si intende una clausola che introduce il divieto di altre
differenziazioni basate su ragioni soggettive.
2.2.2 l’uguaglianza sostanziale
L’articolo 3 comma 2 costituisce una novità che consente il passaggio da una visione formalistica dell’uguaglianza a una
sostanziale, secondo cui il compito della Repubblica non è solo quello di riconoscere che tutti sono uguali davanti alla
legge, ma di aiutare coloro che si trovano in condizioni svantaggiate di poter raggiungere la piena promozione della loro
personalità, al pari di chi si trova in condizioni migliori. L’uguaglianza sostanziale giusti ca il riconoscimento dei diritti
sociali, quali il diritto al lavoro, i diritti dei lavoratori, il diritto al gratuito patrocinio, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione
ecc.
2.2.3 l’uguaglianza di genere e le pari opportunità
La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 aveva ignorato la donna, e nonostante i tentativi di alcune
gure femminili di spicco di af ancarvi una dichiarazione dei diritti della donna, il paradigma dell’inferiorità della donna è
stato dominante ancora a lungo. Soltanto nella seconda metà del XX secolo le donne hanno ottenuto i diritti civili ed
economici. L’Italia si è trovata in una posizione di retroguardia, e nonostante l’entrata in vigore della costituzione, per
decenni le donne si sono trovate ai margini della vita politica. Di questo ritardo è stato causa anche il legislatore, che per
molti anni non è intervenuto a dare attuazione alle previsioni costituzionali. L’articolo 51 comma 1 prevedeva che “tutti i
cittadini, dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uf ci pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Soltanto a seguito di una sentenza della corte, la numero 33 del
1960 è stata aperta alle donne la possibilità di accedere alla magistratura e alle cariche dell’amministrazione pubblica.
Nel 2003 è stato modi ca