Estratto del documento

Uno degli eventi più significativi fu l’introduzione del divorzio nel 1970, che segnò una svolta epocale. La legge fu approvata senza il

sostegno della DC, che in cambio ottenne la possibilità di un referendum abrogativo. In questo contesto, la DC, guidata da Arnaldo

Forlani, reclamò la presidenza della Repubblica dopo Saragat.

Nel partito emergevano due visioni contrapposte: Moro puntava a un Presidente capace di interpretare i cambiamenti della società e di

avvicinare il PCI alla vita istituzionale, mentre Fanfani, Andreotti e i dorotei volevano un candidato che rassicurasse l’elettorato

moderato, anche per arginare la crescita del MSI. Gli Stati Uniti espressero contrarietà alla linea di Moro.

Intanto, il PSI, dopo il fallimento dell’unificazione con il PSDI, cercava un’intesa più solida con il PCI, che voleva un Capo dello Stato

capace di avviare un rinnovamento istituzionale. Lo scontro elettorale si concentrò su Fanfani, Moro e Nenni, ma nessuno riuscì a

prevalere. Alla vigilia del voto, la DC candidò ufficialmente Fanfani, mentre socialisti e comunisti sostennero Francesco De Martino, i

liberali Giovanni Malagodi e i socialdemocratici proposero la rielezione di Saragat.

Leone prevale su Moro

L’elezione del Presidente della Repubblica del 1971 si svolse in un clima di forte divisione politica. Il Parlamento si riunì il 9 dicembre e,

nei primi scrutini, la DC apparve più compatta rispetto alle precedenti elezioni, ma la candidatura di Fanfani non riuscì ad attirare

consensi esterni. Questo impedì a socialisti e comunisti di convergere su di lui, poiché parte della sinistra lo considerava un ostacolo al

referendum sul divorzio.

Le votazioni proseguirono senza esiti significativi fino al settimo scrutinio, quando la DC scelse l’astensione. Il 15 dicembre, con il ritiro

di Saragat e Malagodi, Fanfani tornò in corsa, ma lo stallo continuò. Episodi di tensione segnarono la votazione, come la scheda nulla

contenente l’offensiva frase “Nano maledetto non sarai mai eletto”. Al dodicesimo scrutinio, Fanfani si ritirò definitivamente e la DC

tornò ad astenersi.

Nel frattempo, la sinistra continuava a sostenere De Martino, mentre emergeva la candidatura di Nenni per unire i partiti del

centrosinistra contro un’eventuale candidatura di Aldo Moro. Per evitare la sua ascesa, Andreotti propose Benigno Zaccagnini, che

rifiutò, temendo di danneggiare Moro.

Per uscire dallo stallo, la segreteria DC propose quattro nomi: Taviani, Rumor, Moro e Leone. I primi due si ritirarono, lasciando la

scelta tra Moro e Leone, con quest’ultimo che vinse di misura nello scrutinio interno alla DC. Tuttavia, il numero esatto dei voti non fu

mai noto, poiché le schede vennero bruciate subito dopo il conteggio. Leone godeva di un forte credito all’interno della DC, avendo

rinunciato a incarichi prestigiosi per il bene del partito e del Paese.

Liberali, socialdemocratici, repubblicani e, in modo inaspettato, anche il MSI aderirono alla sua candidatura. Il 21 dicembre, una

delegazione guidata da Andreotti si recò a casa di Leone, malato di bronchite, per proporgli ufficialmente la candidatura. Dopo

un’attenta riflessione, Leone accettò.

Al ventiduesimo scrutinio mancò l’elezione per un solo voto, ma il 24 dicembre, al ventitreesimo scrutinio, ottenne 518 voti, diventando il

VI Presidente della Repubblica a 63 anni. Il suo successo fu reso possibile dall’appoggio di una maggioranza diversa da quella che

governava il Paese, comprendente DC, PSDI, PRI, PLI e, in modo determinante, il MSI.

Il grande mediatore

Leone, si è detto, era stato presidente della Camera dei deputati e aveva guidato due governi di decantazione che la stampa aveva definito

“balneari”. Nato a Napoli nel 1908, era un politico più per tradizione di famiglia (il padre era stato tra i maggiorenti del Partito popolare a

Napoli) che per vocazione. Fu principalmente un giurista, anzi un penalista. La politica rappresentò un elemento accessorio.

Studente svogliato alle superiori e brillantissimo all’università,si laureò a 21 anni. Praticante nello studio di Enrico De Nicola,

parallelamente all’attività forense iniziò la carriera universitaria. Ordinario di Diritto e procedura penale, nel 1936, a 28 anni a

Messina.Insegnerà la stessa materia a Bari, Napoli e Roma. Di rilevo la sua produzione scientifica che lo farà, già a metà degli anni

Quaranta,tra i più autorevoli studiosi di diritto penale in Europa. Contemporaneamente conquistò, con intelligenza e abilità, la fama di

avvocato “dei casi difficili”, imponendosi nella difficile piazza di Napoli.Così, quando nel 1944 decise di impegnarsi in politica, non ebbe

bisogno di farsi un nome. Eletto alla Costituente con 32mila voti di preferenza, alle elezioni del 1948 ne ottenne il doppio. Nel

1953,nonostante il vistoso calo della DC a Napoli, fu rieletto con 66 mila preferenze. Nel 1958 i voti per lui diventarono 206mila. Numeri

impressionanti, da capocorrente.

Il presidente notaio e la domanda senza risposta

Non intervenne mai nel libero gioco dei partiti, assecondando le decisioni prese dalle maggioranze e smussando in modo cauto le

intemperanze. Nessuna pressione sulla nomina dei ministri; un solo rinvio di leggi alla Camere (per dubbi di costituzionalità sulla nomina

dei membri delCSM), equilibrate scelte per i giudici della Corte costituzionale. La scelta di un solo senatore a vita: Fanfani. Una gestione

impeccabile del primo scioglimento anticipato del Parlamento.Un solo messaggio al Parlamento. Un testo importante. È il primo che

sottolinea la necessità di riformare la Costituzione. Letto oggi se ne apprezza la lungimiranza, allora fu valutato con sospetto e fastidio,

tanto da non meritare neppure un dibattito parlamentare.Cauto negli interventi, ma attento nell’azione dei governi, seppe gestire con

moderazione la difficile stagione del terrorismo. Non fu, invece, altrettanto attento nell’amministrare la sua esuberanza partenopea. Si esibì

come cantante, ballò, portò in alcuni viaggi all’estero gruppi di amici e parenti, si lasciò andare a battute inopportune e a gesti non certo

adeguati alla carica (celebre quello delle corna a Pisa dopo una violenta contestazione studentesca in cui dominava un cartello con la

scritta “Morte a Leone”). Cadute di stile,scelte inopportune, ma nulla di penalmente rilevante.

L’ultimo dubbio

Le dimissioni di Leone maturarono in poche ore. Alle 19 Leone iniziò a registrare il messaggio di dimissioni. Quarantaminuti dopo, alla

terza prova, il nastro è pronto e portato nella sede dei TG in via Teulada. Andrà in onda alle 20,10.Un brusco temporale disperse la folla che

si era raccolta attorno alQuirinale, così, quando alle 22 e 03 Leone e la signora Vittoria lasciarono il Palazzo per l’ultima volta, in piazza

c’era solo un fotografo.Ma come si è dimesso Leone? Con una stringata lettera consegnata al Segretario generale del Quirinale attorno alle

19 e 45 e altre missive spedite ai vertici costituzionali. Non ci fu nessun scambio di consegne con il presidente supplente. Per cui nella notte

tra il 15 e 16giugno 1978 l’Italia fu di fatto senza Capo dello Stato. Alle 8 del mattino Fanfani, come presidente del Senato, assunse la

supplenza.

Poscritto

In questi anni si sono rincorse voci, ipotesi, tentativi di ricostruzioni dei motivi che hanno portato alle dimissioni di Leone.

Leone – dicono alcuni cronisti di quegli anni – fu vittima di una abile e spregiudicata operazione di disinformazione “per ciò che non aveva

fatto” (cioè bloccare l’ingresso dei comunisti nella maggioranza di governo, visto che era stato eletto principalmenteper quello scopo) e

“per ciò che avrebbe voluto fare” (aprire alla trattativa con le BR per la liberazione di Moro concedendo la grazia alla brigatista Paola

Besuschio). Secondo i ben informati, la regia sarebbe stata in mano ad esponenti della destra americana e tutta l’operazione sarebbe stata

gestita da una parte dei nostri servizi deviati, sotto la supervisione della P2, che avrebbero diffuso ad arte voci, indiscrezioni e false notizie,

utilizzando gli organi d’informazione.Il clima creato da tanto clamore fu tale da suggestionare le forze politiche, a partire dal PCI. Un

cronista, che frequentava abitualmente la sede del PCI a Botteghe oscure, racconta che la segreteria comunista decise di abbandonare Leone

perché circolava notizia che dagli Stati Uniti stava per arrivare un dossier che avrebbe provato l’esistenza di conti correnti e ingenti depositi

oltre oceano a nome della moglie del Capo dello Stato. Il dossier non arrivò mai,ma la sfiducia al presidente fu praticamente

immediata.Ovviamente si tratta solo di ipotesi, anzi di chiacchiere di Transatlantico.

7-Sandro Pertini(1978-1985)-Il più amato dagli italiani

Dopo le dimissioni di Giovanni Leone, il 16 giugno 1978, Amintore Fanfani assunse la presidenza supplente della Repubblica in

qualità di presidente del Senato. Sebbene dichiarasse di non volerlo, esercitò l’incarico con il suo consueto piglio deciso, nonostante

la situazione politica sfavorevole. Il presidente della Camera, Pietro Ingrao, convocò il Parlamento in seduta comune per l’elezione

del nuovo capo dello Stato il 29 giugno.

Nel 1978, il governo era guidato da Giulio Andreotti, sostenuto dalla “solidarietà nazionale”, un’alleanza tra DC, PCI, PSI, PSDI e

PRI. Il contesto era segnato dal terrorismo, dalla crisi economica e dall’assassinio di Aldo Moro, evento che aveva profondamente

scosso il paese e la politica. Tra i protagonisti della scena erano emersi i radicali, che con solo quattro deputati erano riusciti a

influenzare il dibattito pubblico attraverso un uso spregiudicato del regolamento parlamentare e campagne referendarie mirate a

destabilizzare l’establishment. Furono attivi anche nella campagna che portò Leone alle dimissioni.

Secondo gli accordi che avevano portato alla nascita del IV governo Andreotti, la presidenza della Repubblica sarebbe dovuta andare

ad Aldo Moro. Dopo il suo assassinio, il nome più accreditato era quello di Ugo La Malfa, principale artefice dell’alleanza tra DC e

PCI. Tuttavia, lo scenario politico stava rapidamente evolvendo. Bettino Craxi, da poco segretario del PSI, aveva assunto il controllo

del partito e iniziato a differenziarsi dalle altre forze politiche, specialmente dal PCI. Durante il sequestro Moro, a differenza di DC e

PCI, aveva cercato una trattativa con le Brigate Rosse per la liberazione del leader democristiano.

L’elezione del nuovo Presidente della Repubblica divenne quindi una partita cruciale per Craxi e per l’affermazione del

“protagonismo socialista”, che avrebbe caratterizzato la politica italiana negli anni successivi.

Veti incrociati e antica furbizia

Quando il Parlamento si riu

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Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

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