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Durante la diciassettesima votazione, Nenni continuò a raccogliere voti dalla sinistra, mentre la DC si asteneva. Tuttavia, nella tarda

mattinata del 26 dicembre, Rumor annunciò il voto democristiano per Saragat, suscitando la soddisfazione di socialdemocratici e

repubblicani. La posizione di comunisti e socialisti si complicò: i comunisti ribadirono la necessità di una richiesta esplicita di sostegno,

mentre Nenni, per i socialisti, dichiarò che il partito avrebbe votato Saragat a condizione che la sua candidatura fosse accettata da tutti i

gruppi democratici.

Nonostante le trattative, si andò a votare per la diciottesima volta, e il risultato fu sconcertante: il Parlamento divise le sue preferenze tra

Nenni e Saragat, evidenziando che il dissenso democristiano non era rientrato. Saragat ottenne meno voti di Leone, alimentando polemiche

all’interno della DC. Così si giunse alla diciannovesima votazione, senza che la situazione si sbloccasse. Fanfani propose nuovamente la

sua candidatura, ipotizzando che i voti comunisti potessero sostenerlo, ma la stabilità della maggioranza di governo era a rischio e Rumor,

il segretario della DC, si opponeva a Fanfani, considerato traditore.

Moro riprese a tessere la sua rete di alleanze e, con il supporto dei socialisti “ministerialisti”, convinse Nenni a un ulteriore compromesso:

il leader socialista si dichiarò disposto a ritirarsi, a condizione che la candidatura di Saragat fosse rilanciata da tutti i partiti del

centrosinistra con un appello a tutti i partiti antifascisti e democratici.

Nel ventesimo scrutinio, le trattative continuarono, ma il risultato evidenziò una riduzione dei consensi per Saragat, ridando fiato alla

candidatura di Fanfani, anche se momentaneamente. Durante il ventunesimo scrutinio, il 28 dicembre, si registrarono 937 votanti. I dieci

monarchici si astennero, Martino ottenne 56 voti, De Marsanich 40, mentre Fanfani ne ricevette 4. Con 150 schede bianche, in gran parte

democristiane, e 20 voti dispersi, Saragat ottenne 646 voti e, dopo 13 giorni di votazioni, divenne il V Presidente della Repubblica.

6-Giovanni Leone(1971-1978)-Il presidente dimezzato

Nel giugno del 1978, Leone si trovò isolato e abbandonato da tutti i partiti, compreso il suo, mentre si avviava verso le dimissioni.

Nonostante il suo prestigio accademico e la sua simpatia, che derivava dalla sua verve napoletana e dalla signorilità con cui aveva

guidato la Camera e i governi, la campagna politica e mediatica per le sue dimissioni era iniziata nella primavera dello stesso anno, in

concomitanza con il compromesso storico.

Leone, considerato da alcuni come la vittima sacrificale di tale accordo, fu visto come un ostacolo al nuovo quadro politico che si stava

formando. La sua posizione fu ulteriormente compromessa dall’esito del referendum di giugno sul finanziamento pubblico ai partiti, che

espresse un forte segnale di scontento da parte della popolazione. La scomparsa di Aldo Moro, un suo potenziale alleato, influenzò

anch’essa la sua situazione.

Nel 1985, Leone rivelò in un’intervista di aver subito complotti da parte della P2, mentre l’analista Robert Kalz sostenne che la sua

posizione di “colomba” nella trattativa per la liberazione di Moro lo avesse condannato. L’accelerazione verso le sue dimissioni avvenne

quando il PCI, in pochi giorni, cambiò atteggiamento e, il 15 giugno, chiese ufficialmente le sue dimissioni, comunicandole tramite il

senatore Bufalini. Undici ore dopo, Leone si dimise, ponendo fine al suo mandato.

I due cavalli di razza azzoppati

Durante il settennato di Saragat (1964-1971), l’Italia attraversò profondi cambiamenti, passando dal boom economico alla recessione e

affrontando le turbolenze del Sessantotto. Il centrosinistra perse slancio riformatore, mentre i partiti tradizionali, compresi i comunisti,

faticavano a comprendere le nuove dinamiche sociali.

Uno degli eventi più significativi fu l’introduzione del divorzio nel 1970, che segnò una svolta epocale. La legge fu approvata senza il

sostegno della DC, che in cambio ottenne la possibilità di un referendum abrogativo. In questo contesto, la DC, guidata da Arnaldo

Forlani, reclamò la presidenza della Repubblica dopo Saragat.

Nel partito emergevano due visioni contrapposte: Moro puntava a un Presidente capace di interpretare i cambiamenti della società e di

avvicinare il PCI alla vita istituzionale, mentre Fanfani, Andreotti e i dorotei volevano un candidato che rassicurasse l’elettorato

moderato, anche per arginare la crescita del MSI. Gli Stati Uniti espressero contrarietà alla linea di Moro.

Intanto, il PSI, dopo il fallimento dell’unificazione con il PSDI, cercava un’intesa più solida con il PCI, che voleva un Capo dello Stato

capace di avviare un rinnovamento istituzionale. Lo scontro elettorale si concentrò su Fanfani, Moro e Nenni, ma nessuno riuscì a

prevalere. Alla vigilia del voto, la DC candidò ufficialmente Fanfani, mentre socialisti e comunisti sostennero Francesco De Martino, i

liberali Giovanni Malagodi e i socialdemocratici proposero la rielezione di Saragat.

Leone prevale su Moro

L’elezione del Presidente della Repubblica del 1971 si svolse in un clima di forte divisione politica. Il Parlamento si riunì il 9 dicembre e,

nei primi scrutini, la DC apparve più compatta rispetto alle precedenti elezioni, ma la candidatura di Fanfani non riuscì ad attirare

consensi esterni. Questo impedì a socialisti e comunisti di convergere su di lui, poiché parte della sinistra lo considerava un ostacolo al

referendum sul divorzio.

Le votazioni proseguirono senza esiti significativi fino al settimo scrutinio, quando la DC scelse l’astensione. Il 15 dicembre, con il ritiro

di Saragat e Malagodi, Fanfani tornò in corsa, ma lo stallo continuò. Episodi di tensione segnarono la votazione, come la scheda nulla

contenente l’offensiva frase “Nano maledetto non sarai mai eletto”. Al dodicesimo scrutinio, Fanfani si ritirò definitivamente e la DC

tornò ad astenersi.

Nel frattempo, la sinistra continuava a sostenere De Martino, mentre emergeva la candidatura di Nenni per unire i partiti del

centrosinistra contro un’eventuale candidatura di Aldo Moro. Per evitare la sua ascesa, Andreotti propose Benigno Zaccagnini, che

rifiutò, temendo di danneggiare Moro.

Per uscire dallo stallo, la segreteria DC propose quattro nomi: Taviani, Rumor, Moro e Leone. I primi due si ritirarono, lasciando la

scelta tra Moro e Leone, con quest’ultimo che vinse di misura nello scrutinio interno alla DC. Tuttavia, il numero esatto dei voti non fu

mai noto, poiché le schede vennero bruciate subito dopo il conteggio. Leone godeva di un forte credito all’interno della DC, avendo

rinunciato a incarichi prestigiosi per il bene del partito e del Paese.

Liberali, socialdemocratici, repubblicani e, in modo inaspettato, anche il MSI aderirono alla sua candidatura. Il 21 dicembre, una

delegazione guidata da Andreotti si recò a casa di Leone, malato di bronchite, per proporgli ufficialmente la candidatura. Dopo

un’attenta riflessione, Leone accettò.

Al ventiduesimo scrutinio mancò l’elezione per un solo voto, ma il 24 dicembre, al ventitreesimo scrutinio, ottenne 518 voti, diventando il

VI Presidente della Repubblica a 63 anni. Il suo successo fu reso possibile dall’appoggio di una maggioranza diversa da quella che

governava il Paese, comprendente DC, PSDI, PRI, PLI e, in modo determinante, il MSI.

Il grande mediatore

Leone, si è detto, era stato presidente della Camera dei deputati e aveva guidato due governi di decantazione che la stampa aveva definito

“balneari”. Nato a Napoli nel 1908, era un politico più per tradizione di famiglia (il padre era stato tra i maggiorenti del Partito popolare a

Napoli) che per vocazione. Fu principalmente un giurista, anzi un penalista. La politica rappresentò un elemento accessorio.

Studente svogliato alle superiori e brillantissimo all’università,si laureò a 21 anni. Praticante nello studio di Enrico De Nicola,

parallelamente all’attività forense iniziò la carriera universitaria. Ordinario di Diritto e procedura penale, nel 1936, a 28 anni a

Messina.Insegnerà la stessa materia a Bari, Napoli e Roma. Di rilevo la sua produzione scientifica che lo farà, già a metà degli anni

Quaranta,tra i più autorevoli studiosi di diritto penale in Europa. Contemporaneamente conquistò, con intelligenza e abilità, la fama di

avvocato “dei casi difficili”, imponendosi nella difficile piazza di Napoli.Così, quando nel 1944 decise di impegnarsi in politica, non ebbe

bisogno di farsi un nome. Eletto alla Costituente con 32mila voti di preferenza, alle elezioni del 1948 ne ottenne il doppio. Nel

1953,nonostante il vistoso calo della DC a Napoli, fu rieletto con 66 mila preferenze. Nel 1958 i voti per lui diventarono 206mila. Numeri

impressionanti, da capocorrente.

Il presidente notaio e la domanda senza risposta

Non intervenne mai nel libero gioco dei partiti, assecondando le decisioni prese dalle maggioranze e smussando in modo cauto le

intemperanze. Nessuna pressione sulla nomina dei ministri; un solo rinvio di leggi alla Camere (per dubbi di costituzionalità sulla nomina

dei membri delCSM), equilibrate scelte per i giudici della Corte costituzionale. La scelta di un solo senatore a vita: Fanfani. Una gestione

impeccabile del primo scioglimento anticipato del Parlamento.Un solo messaggio al Parlamento. Un testo importante. È il primo che

sottolinea la necessità di riformare la Costituzione. Letto oggi se ne apprezza la lungimiranza, allora fu valutato con sospetto e fastidio,

tanto da non meritare neppure un dibattito parlamentare.Cauto negli interventi, ma attento nell’azione dei governi, seppe gestire con

moderazione la difficile stagione del terrorismo. Non fu, invece, altrettanto attento nell’amministrare la sua esuberanza partenopea. Si esibì

come cantante, ballò, portò in alcuni viaggi all’estero gruppi di amici e parenti, si lasciò andare a battute inopportune e a gesti non certo

adeguati alla carica (celebre quello delle corna a Pisa dopo una violenta contestazione studentesca in cui dominava un cartello con la

scritta “Morte a Leone”). Cadute di stile,scelte inopportune, ma nulla di penalmente rilevante.

L’ultimo dubbio

Le dimissioni di Leone maturarono in poche ore. Alle 19 Leone iniziò a registrare il messaggio di dimissioni. Quarantaminuti dopo, alla

terza prova, il nastro è pronto e portato nella sede dei TG in via Teulada. Andrà in onda alle 20,10.Un brusco temporale disperse la folla che

si era raccolta attorno alQuirinale, così, quando alle 22 e 03 Leone e la signora Vittoria lasciarono il Palazzo per l’ultima volta, in piazza

c’era solo un fotografo.Ma come si è dimesso Leone? Con una stringata lettera consegnata al Segretario generale d

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Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Nicole_orlando di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto pubblico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Lotito Pierfrancesco.
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