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L’ORDINAMENTO ITALIANO
1. Profili di storia istituzionale italiana: dallo Statuto Albertino alla Costituzione
repubblicana
Promulgato come legge fondamentale del Regno di Sardegna nel 1848 e divenuto Carta
Fondamentale del Regno d’Italia dal 1861, lo Statuto Albertino rimase formalmente in vigore
per circa un secolo.
Quest’ultimo apparteneva a quel tipo di costituzioni ottriate, cioè concesse di spontanea
volontà da un sovrano già detentore di poteri assoluti. Era inoltre una costituzione flessibile,
non essendo previste procedure aggravate per la sua revisione e nemmeno forme di controllo
della conformità delle leggi allo stesso Statuto. Quanto alla forma di governo, nello Statuto
Albertino erano presenti connotazioni tipiche dello Stato liberale classico, enunciando il
principio di uguaglianza tra tutti i regnicoli. Quanto poi alla forma di governo, lo Statuto
Albertino delineava un costituzionale puro, ispirandosi al modello di Montesquieu.
Al Re infatti spettava il potere esecutivo, con notevoli poteri anche nel campo della politica
estera. Il potere legislativo, invece, era demandato a un parlamento bicamerale composto
dalla Camera dei deputati, eletta democraticamente ma con suffragio non universale, e il
Senato, di nomina regia. Ai giudici infine era demandato il potere giudiziario.
Non solo i ministri erano nominati e revocati dal Re e non era previsto un rapporto di fiducia
tra Governo e Parlamento, come organi entrambi a sé stanti, ma lo stesso re partecipava in
vari modi agli altri poteri dello Stato: sanzionava e promulgava le leggi, partecipando con
l’istituto della sanzione all’esercizio della funzione legislativa. All’enunciazione che la
giustizia emanava dal Re, seguiva che quest’ultima era amministrata in suo nome e che le
nomine dei giudici erano fatte e revocate da lui stesso.
Negli anni del regime fascista si passò da un sistema liberaldemocratico a un sistema sempre
più accentuatamente autoritario, fino a dare luogo a uno Stato totalitario. L’attenzione, poi, va
rivolta ai due eventi che hanno segnato profondamente la storia istituzionale dello Stato
italiano: il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, avente come oggetto la scelta tra
monarchia o repubblica, e l’elezione in pari data dell’Assemblea Costituente: consultazioni
indette con decreto luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98. Insediatasi il successivo 25 giugno,
l’Assemblea affida a una commissione di 75 suoi eletti il compito di redigere un progetto di
Costituzione il cui testo fu presentato all’Assemblea il 31 gennaio 1947. Il testo definitivo
della Costituzione fu approvato il 22 dicembre 1947, con 453 voti a favore e 62 contrari, su
515 presenti dei 556 componenti: entrò in vigore il 1° gennaio del 1948.
2. L’ordinamento costituzionale della Repubblica italiana e i suoi principi caratterizzanti
La nuova Costituzione ha rappresentato una svolta radicale anche nei confronti del passato
sistema liberaldemocratico, non solo per il passaggio da monarchia a repubblica. Vanno
anzitutto evidenziati quelli che sono i principi cardine del nostro ordinamento costituzionale.
I valori ispiratori del nostro ordinamento si traducono nei principi fondamentali, dando
valenza giuridica alle linee portanti nel nostro sistema legale costituzionale.
A) Principio democratico della sovranità popolare
Un primo principio cardine è costituito dal principio democratico della sovranità popolare,
enunciato nel primo articolo della Costituzione stessa: si dice che l’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro e che la sovranità la esercita il popolo, nelle forme e nei limiti
della Costituzione medesima. Si parla di espressioni del principio democratico della sovranità
popolare come gli istituti della democrazia rappresentativa, di democrazia diretta, nonché di
democrazia partecipativa.
B) Principio personalista e principio pluralista
Altro punto cardine è il principio personalista, che ha la sua massima espressione nel
riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. Il testo della costituzione, garantendogli in
un contesto di rigidità costituzionale e coprendolo anche di riserve rinforzate di legge,
perviene a una configurazione dei diritti fondamentali come diritti della persona nella sua
totalità: diritti sottratti nella loro inviolabilità allo stesso potere della revisione costituzionale
(Stato di diritto), appoggiandosi sul concetto di pari dignità fra tutti i cittadini e del valore
supremo della dignità umana stessa. Le formazioni sociali costituiscono uno strumento per
l’espansione della personalità dell’essere umano: esse non possono mai divenire lo strumento
per la compressione dei propri diritti, che devono essere tutelati sempre anche all’interno dei
gruppi, al punto che la loro lesione fa scattare l’intervento dello Stato (ad esempio, i servizi
sociali). Questo riconoscimento del pluralismo sociale è una presa d’atto da parte della
Costituzione dell’esistenza di gruppi animati all’interno della Società da specifici interessi
comuni. Ai diversi gruppi sociali è riconosciuta dalla Repubblica uguale dignità e un'uguale
possibilità di organizzarsi e contribuire allo sviluppo della società.
C) Principio solidarista
Pone in correlazione con i precedenti principi la richiesta dell’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Si pone quindi come corollario e
indica nella solidarietà tra individui (e tra formazioni sociali) la base per la convivenza
sociale. La solidarietà è il collante che fa da contraltare al pluralismo, che consente ai diversi
gruppi sociali di convivere e cooperare pacificamente per l’avanzamento della personalità
dell’individuo e della Repubblica, garantendo la cosiddetta “coesione sociale”. Questo
principio giustifica l’imposizione di doveri in capo al singolo da parte della Repubblica, come
quello dei genitori di provvedere ai figli, educarli e mantenerli nella loro crescita, così come
quello di concorrere alle spese pubbliche, di difendere la Patria o al dovere civico di voto.
D) Principio di eguaglianza
Altro principio cardine è quello dell’eguaglianza: vieta esplicitamente al legislatore di porre
in essere distinzioni basate sul sesso, sulla razza, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni
politiche e sulle condizioni personali e sociali della persona. Da una parte non si possono
porre in essere norme ingiustificatamente discriminatorie, relative a situazioni eguali e
omogenee; d’altra parte analogo divieto vale per norme contenenti una disciplina uniforme
per fattispecie diverse. Si deve disciplinare allo stesso modo situazioni simili e si consente un
trattamento diversificato per disciplinare situazioni differenti.
È con il cosiddetto principio dell’eguaglianza sostanziale che si caratterizza nel modo più
significativo l’impegno della Repubblica a una trasformazione della società, a un riequilibrio
delle forme di svantaggio attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine economico e
sociale. Enunciato che permette le leggi ad abilitare azioni positive dirette verso gruppi
svantaggiati. L'obiettivo è di arrivare all'uguaglianza delle opportunità, purché le condizioni
poste dalle leggi non creino discriminazioni irragionevoli.
E) Principio lavorista
Il principio lavorista stabilisce che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro,
considerando questo fattore della produzione come fondante dell’organizzazione economico -
sociale della stessa Repubblica. Il lavoro diviene un diritto a valenza potenziale o tendenziale
che la Repubblica dovrà promuovere e tutelare. Così come ha valore tendenziale il formulato
secondo cui ogni individuo ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra al
progresso materiale o spirituale della società, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta. Verrà sviluppato con una serie di altre norme costituzionali e con una complessa
normativa di cui lo Statuto dei Lavoratori del maggio 1970 n. 300. Si deve progettare e
attuare politiche economico - sociali in grado di raggiungere obiettivi di contrasto alla
disoccupazione, salvataggio di imprese in crisi, obiettivi macroeconomici, sempre che
impegni assunti in sede europea (con cessione di sovranità economica - finanziaria) non ne
limitino o condizionino la portata.
F) Il principio della promozione del decentramento e delle autonomie territoriali. Il
principio di sussidiarietà
Prende le mosse dall’affermazione dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica, con
impossibilità quindi di secessione o acquisizione di indipendenza da parti del territorio
nazionale. Riconosce però la promozione delle autonomie locali, il più ampio decentramento
amministrativo dei servizi che dipendono dallo Stato, la promozione di un sistema fondato
sull’autonomia e sul decentramento, anche in ottiche di divisione del potere a livello
territoriale. La partecipazione democratica al governo locale, che si realizza in particolare
attraverso la partecipazione alle consultazioni elettorali per i relativi organi politici, consente
infatti ai cittadini di scegliere la propria classe dirigente in base ai fallimenti o ai successi di
quella precedente. La garanzia dell’autonomia del governo locale è attualmente declinata in
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Si deve anche menzionare il principio di
sussidiarietà: volto a realizzare un trasferimento generalizzato di funzioni e compiti
amministrativi dal livello centrale a quello delle autonomie locali, a partire dai Comuni,
dovendosi riferire a governi superiori di gestione territoriale soltanto quelle funzioni non
suscettibili di essere adeguatamente svolte a livello comunale (Regioni, Province e Città
metropolitane nel caso di grandi centri urbani).
G) Il principio di tutela delle minoranze
Nell’articolo 6 della Costituzione, la Repubblica pone il principio fondamentale di tutela
delle minoranze cosiddette storiche nazionali. Si parla di quei gruppi etnico - linguistici che
risiedevano nel territorio della Repubblica in epoca antecedente alla nascita del nuovo
ordinamento costituzionale e che potevano vantare con tale territorio un collegamento
qualificato. È il caso della minoranza germanofona e ladina del Trentino - Alto Adige, di
quella francofona della Valle d’Aosta e di quella slovena del Friuli - Venezia Giulia. Si
pongono le basi per un trattamento differenziato ulteriore rispetto a quello già imposto dal
principio di eguaglianza sostanziale. Si può infatti ricorrere a un trattamento differenziato
necessario in favore di gruppi specifici e individuati dalla