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LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DEL TESTIMONE
Il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e lo informa della
conseguente responsabilità penale per false dichiarazioni o reticenza.
Il testimone legge la formula con la quale si impegna a dire “tutta la verità” e a non
nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza; dopodiché è invitato a fornire le sue
generalità (Art 492).
Ha quindi inizio l’esame incrociato, dove il testimone deve rispondere alle domande
poste dalle parti ed eccezionalmente dal presidente.
Quando appare che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità soltanto il
giudice può rivolgergli l’ammonimento; le parti non possono ammonire il testimone,
ma possono sollecitare il giudice ad esercitare tale potere.
Il testimone può violare i suoi obblighi in due modi:
1) rifiutando di rispondere, in tal caso il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di
deporre secondo verità; e se il testimone persiste nel rifiuto, il giudice dispone
l’immediata trasmissione degli atti al Pubblico Ministero perché proceda a norma di
legge e darà inizio alle indagini preliminari per accertare se sussiste la falsa
testimonianza nella forma di reticenza; 82
2) rendendo dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prova già
acquisite, in tal caso il giudice gli rinnova l’avvertimento dell’obbligo di dire il vero; poi
con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo
ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato di falsa testimonianza, ne informa il
Pubblico Ministero trasmettendogli i relativi atti.
In ogni caso è fatto divieto di arrestare in udienza il testimone per reati concernenti il
contenuto della deposizione, cioè per falsa testimonianza.
IL SEGRETO PROFESSIONALE NEL PROCESSO PENALE
Alcuni testimoni con determinate qualifiche di tipo privatistico hanno il potere/dovere
di non rispondere a determinate domande quando la risposta comporti la violazione
dell’obbligo del segreto professionale.
Per segreto professionale si intende una notizia che non deve esser portata all’altrui
conoscenza. Si tratta solitamente di un fatto della vita privata che il singolo ha
interesse a mantenere riservato ma le necessità della vita sociale, gli impongono di
rivolgersi a persone con competenze specifiche e nel fare ciò il singolo è costretto a
riferire notizie riservate.
Tale facoltà spetta soltanto ai professionisti indicati espressamente all’art. 200 c.p.p.
che pertanto sono professionisti qualificati (ministri di culto, avvocati, medici).
Viceversa, Il professionista comune, che non rientra tra quelli di cui all’art. 200 c.p.p.,
è considerato alla pari di un testimone con obbligo di dire la verità e di deporre nel
processo penale anche se, al di fuori di questo, è tenuto al segreto professionale.
Egli è penalmente tenuto a non rivelare senza giusta causa i segreti dei quali è venuto
a conoscenza per ragione della propria professione, arte, stato o ufficio quando ciò
possa nuocere al cliente.
I professionisti qualificati, indicati all’art. 200 c.p.p., possono rifiutarsi di rispondere
alla singola domanda che li induca a narrare un fatto segreto appreso nell’esercizio
della loro professione.
Inoltre il codice penale all’art. 622 impone il divieto di rivelazione in capo a chiunque
abbia avuto notizia di un fatto segreto. Quindi tali professionisti devono rifiutarsi di
rispondere se il fatto segreto possa provocare un pregiudizio per il cliente; e se il
professionista depone comunque, non può invocare la giusta causa e risponde di
violazione del segreto professionale. Ciò perché il cpp afferma la possibilità di
astenersi dal deporre e se viene fatta la rivelazione in tal caso sarà priva di
giustificazione.
Il legislatore ritiene, in questi casi, che il segreto professionale debba prevalere
sull’interesse della giustizia.
Di regola si tratta di situazioni che coinvolgono interessi di rilievo costituzionale.
Occorre, naturalmente, che quel determinato fatto sia stato appreso dai professionisti
qualificati in ragione del proprio ministero, ufficio o professione.
E’ necessario, inoltre, che quel determinato professionista, pur indicato all’art. 200
c.p.p., non abbia comunque un obbligo giuridico di riferire quel fatto all’autorità
giudiziaria (Es ciò accade con i medici professionisti che ha prestato la propria
assistenza alla persona offesa di un delitto precedibile d’ufficio. Su questi fatti il
medico non può opporre segreto professionale e deve deporre come testimone, in tal
caso non vi è delitto di rivelazione del segreto professionale poiché l’obbligo di deporre
costituisce una giusta causa ex art.622).
Quando il teste eccepisce il segreto, il giudice può provvedere agli accertamenti
necessari e se ritiene infondata l’eccezione ordina al testimone di deporre.
Le categorie di professionisti qualificati indicati all’art. 200 c.p.p. sono:
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i ministri di confessioni religiose i cui statuti non contrastano con l’ordinamento
giuridico italiano. Tradizionalmente questa ipotesi ricomprende nel caso della
religione cattolica il segreto imposto al sacerdote dal sacramento della
confessione.
possono opporre il segreto professionale quando sono sentiti in qualità di
testimoni gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati alle indagini
processuali , i consulenti tecnici e i notai e a seguito di una sentenza della corte
Costituzionale dal 1997 anche ai praticanti avvocati;
i medici, i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una
professione sanitaria;
gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di
astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
L’art. 200 c.p.p. non è tassativo, ma soltanto la legge può estendere il segreto
professionale, e ciò è avvenuto in relazione ai consulenti del lavoro, ai dipendenti dei
servizi pubblici che si occupano del recupero tossicodipendenti, ai commercialisti, ai
ragionieri e agli assistenti sociali.
Il segreto professionale dei giornalisti è stato concesso, seppur con certi limiti:
può essere mantenuto solo relativamente ai nomi delle persone dalle quali è
stata appresa una notizia di carattere fiduciario;
può essere opposto soltanto dai giornalisti professionisti iscritti nell’albo
professionale;
il giornalista è comunque obbligato a indicare al giudice la fonte delle sue
informazioni quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato
per cui si procede, e la loro veridicità può essere accertata soltanto attraverso
l’identificazione della fonte di notizia.
Nei casi nei quali il giornalista può conservare il segreto sulla fonte, perché la notizia
non riguarda l’esistenza di un reato ma di una sua circostanza, la notizia stessa non è
utilizzabile nel processo a causa del divieto che riguarda la testimonianza indiretta.
IL SEGRETO D’UFFICIO E DI STATO E GLI INFORMATORI DI POLIZIA
Vi sono testimoni che per la loro qualifica pubblica hanno l’obbligo di astenersi (a
differenza dei professionisti privati che hanno la facoltà) dal deporre su fatti conosciuti
in ragione del loro ufficio.
Il segreto d’ufficio è posto per garantire il buon funzionamento della pubblica
amministrazione, imponendo che sia mantenuto il segreto su alcune specie di notizie.
Esso vincola il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio. Ma il buon
funzionamento della P.A. non può tenere nascosti dei reati, infatti ex art.201 cpp viene
meno l’obbligo di astenersi dal rispondere nei casi nei quali vi è un obbligo giuridico di
riferire la notizia all’autorità giudiziaria, cioè quando i pubblici ufficiali hanno un
obbligo di denuncia.
Una particolare specie di segreto d’ufficio è il segreto di Stato, che copre ogni notizia
la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato democratico, alla
difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio
delle funzioni degli organi costituzionali e alla difesa militare dello Stato.
Quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio oppone il segreto di
Stato, la valutazione sulla fondatezza dell’eccezione è sottratta al giudice ed è
attribuita al Presidente del consiglio dei Ministri.
Se quest’ultimo non conferma il segreto entro sessanta giorni il giudice ordina al
testimone di deporre, viceversa se il Presidente conferma il segreto al giudice è
sottratto definitivamente il potere di valutare la fondatezza dell’eccezione e, se la
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prova è essenziale per la definizione del processo, egli deve dichiarare di non doversi
procedere per l’esistenza del segreto di Stato.
Un’altra specie di segreto è quella che consente di non rivelare i nomi degli informatori
della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza.
Legittimati ad opporre tale segreto sono sia gli ufficiali che gli agenti di polizia
giudiziaria, sia dell’esercito.
Costoro possono mantenere segreti i nomi degli informatori, ma tutto quello che
affermano di aver “sentito dire” da loro non può essere acquisito né utilizzato, se non
quando l’informatore sia stato esaminato.
I segreti d’ufficio, di Stato e di polizia non possono essere opposti per fatti concernenti
reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale.
3. L’ESAME DELLE PARTI NEL PROCESSO PENALE
Mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all’accertamento
dei fatti nel processo penale.
Le regole generali sono:
- il dichiarante non ha l’obbligo di rispondere secondo verità ed ha la facoltà di non
rispondere;
- le dichiarazioni sono rese secondo le norme sull’esame incrociato, pertanto le
domande sono formulate di regola dal PM e dai difensori;
- le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova.
L’esame delle parti è sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che
rilascia la dichiarazione: l’imputato chiamato a deporre nel procedimento sul fatto a lui
addebitato; le parti private diverse dall’imputato; imputati in procedimenti connessi o
collegati, chiamati a deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui.
L’ESAME DELL’IMPUTATO NEL PROCESSO PENALE (ART. 208)
Strumento che serve ad acquisire il contributo probatorio dell’imputato sui fatti
oggetto di prova.
L’esame ha luogo soltanto su ric