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TEORIA DELL'AZIONE

Come abbiamo visto, la giurisdizione è il potere di decidere le controversie. Noi ci occuperemo della giurisdizione civile, ordinaria, statale ed italiana. Nel rapporto processuale trilaterale (giudice e parti del processo, quali attore e convenuto), ci siamo occupati del potere del giudice di decidere la lite. Adesso dobbiamo occuparci degli altri poteri, cioè di cosa fanno le altre parti processuali. Per comprendere come inizia il processo dobbiamo occuparci di un istituto fondamentale. Tale istituto è collegato alla nozione di azione: una sorta di analisi del potere della parte di proporre una domanda in giudizio. In linea generale, l'azione è il potere della parte di proporre una domanda giudiziaria. Sotto questo profilo, come potere della parte di proporre una domanda giudiziaria, ci vengono incontro tre articoli di rilievo: - L'art.24 della Costituzione; in primis, tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri interessi.dirittied interessi legittimi. Questa è l'azione, il potere di agire in giudizio.
• L'art.99 del Codice di procedura civile; rubricato con "principio della domanda" dice che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre una domanda al giudice competente. La proposizione della domanda anche qui.
• L'art.2907 del Codice civile; alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte. Ci vuole una domanda perché il giudice provveda alla tutela giurisdizionale.
In sostanza, un processo inizia attraverso il potere della parte di proporre una domanda giudiziale. A volte c'è un utilizzo quasi sostitutivo tra il termine azione e domanda; in realtà sono lievemente differenti. Il termine azione è il potere di proporre una domanda davanti ad un giudice. Da questa definizione capiamo già che c'è una differenza. La domanda è la forma, laveste esteriore che assume l'azione quando viene esercitata. Spesso, in maniera ambivalente, nei manuali si dice che l'attore propone una domanda o ha azione in diritto; in realtà, c'è una lieve differenza che fa capire come la domanda sia il veicolo esteriore che contiene il diritto di azione. Vedremo che la domanda giudiziale assume due diverse forme: la forma dell'atto di citazione e la forma del ricorso. In definitiva, potremmo dire che, se fino ad oggi abbiamo visto la giurisdizione come potere del giudice, ora vediamo l'azione come potere della parte di iniziare il processo. Questa definizione di azione, come potere della parte di proporre un processo, deve essere adeguatamente approfondita. È come dire che esiste in capo ad un soggetto un potere potestativo pubblico, cioè lo Stato mi dà il potere di agire in giudizio. È un diritto potestativo pubblico quello del cittadino di agire. Ma a livello concreto, il soggettoche agisce in giudizio deve avere ragione o può avere anche torto? Questa definizione, in effetti, non viene ancorata all'esistenza o meno del diritto sostanziale. Il diritto alla fine verrà dimostrato come vero oppure possono iniziare un processo anche se ho torto? In effetti, dare una definizione di azione come semplice proposizione di una domanda giudiziale porta a dover fare un'ulteriore riflessione: è più corretta la definizione del potere di azione che trova un legame con il diritto sostanziale, cioè una definizione che ci permette di dire che ho l'azione, ma posso proporla solo se ho il diritto sostanziale. È come definire il termine di azione come proiezione processuale di un diritto soggettivo sostanziale. Io ho quel diritto soggettivo di proprietà pertanto ne posso richiedere la tutela davanti al giudice. Non posso chiedere la tutela di un diritto che non è mio, ma di un altro soggetto. Dunque, in effetti,

Questa definizione del potere della parte di proporre una domanda giudiziale deve avere un legame con il diritto sostanziale, per cui, alla fine, è una proiezione processuale di un diritto soggettivo sostanziale ed esistente. Ciò fa richiamare un concetto già visto quando abbiamo dato la definizione di giurisdizione. La giurisdizione nei confronti del diritto sostanziale si pone come strumentale e sostitutiva. Un soggetto non inizia un processo solo per la materia processuale, ma perché vuole portare a casa il risultato dell'accertamento del diritto. Il concetto di azione è sempre legato ad un concetto di diritto sostanziale. Il processo non è mai fine a sé stesso, ma serve a realizzare il diritto sostanziale. Il diritto sostanziale viene ad esistenza se c'è un processo. Il diritto di proprietà esiste quando mi viene riconosciuto da un giudice. In effetti, come dicevano i romani "ubi rimedium ibi ius" quando

e se c'è la tutela c'è il diritto. È dunque una vittoria del diritto processuale sul diritto sostanziale. Nella visione processualistica il diritto esiste solo quando c'è un processo. Capiamo ancora di più come in effetti il processo sia lo strumento ottimale per la reintegrazione del diritto leso; quella versione ottimale della giurisdizione. Se è vero che il processo è lo strumento per reintegrare il diritto leso, ovviamente il processo serve per accogliere un'azione fondata. Il processo non è fine a sé stesso, ma serve un diritto sostanziale per provarne l'esistenza. Questo tema si intreccia con un altro tema. C'è un limite ad azionare un processo? Io ho un diritto potestativo pubblico nel quale mi si riconosce la possibilità di agire in giudizio, ancorato ad un diritto esistente, ma se è vero questo, posso iniziare un processo sapendo di aver torto? Si può abusare.del processo? Se il processo è uno strumento per la tutela del diritto sostanziale, posso abusare di tale strumento? In effetti, questo problema si pone anche nel profilo dell'abuso del diritto sostanziale: tutto il tema degli atti emulativi (esercito un diritto, ma indebitamente ne abuso). Lo stesso tema si pone anche nel diritto processuale: ho un diritto di agire in giudizio, ma ne abuso. Ad esempio, agisco pur sapendo di aver torto. Lo strumento processuale ha bisogno di risorse da parte dello Stato, è una macchina che costa, e se vi sono dei cittadini che lo utilizzano malamente sono soldi buttati. Esiste l'istituto dell'abuso del processo ormai regolato. L'art. 96 del Codice di procedura civile è rubricato come "responsabilità aggravata" e prevede che: se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice la condanna oltre alle spese, al risarcimento del danno. In definitiva,

c'è una condanna ulteriore rispetto alle semplici spese processuali. È la concretizzazione che chi propone una domanda giudiziaria o chi resiste in giudizio in mala fede (parte soccombente) dovrà pagare una spesa in più. Questa è la conferma di quanto detto, cioè che il processo ha dei limiti e non è un gioco: la visione del processo come gioco di Calamandrei certe volte ha punti di difficoltà notevoli. Per capire il fondamento della teoria dell'azione è importante collegare tali concetti. Tutto parte con un conflitto, una lite, una controversia. Ciò nasce perché vi è un diritto leso. La giurisdizione serve proprio a reintegrare i diritti lesi. Per azionare la giurisdizione abbiamo bisogno proprio dell'istituto dell'azione. L'azione mi permette di proporre una domanda giudiziale fondata e quindi, in sostanza, di iniziare un processo. Il processo deve portare ad una decisione definitiva,

perché il nostro ordinamento mira alla pace tra i consociati. Questa decisione definitiva la chiamiamo per il momento giudicato. Con questo diagramma di flusso si ricostruisce tutto quello visto fino ad ora: la controversia nasce perché c'è un diritto leso; la parte che non può farsi giustizia da sola, deve proporre una domanda giudiziale, dunque, esercitare un'azione che permette di attivare un processo; tale processo arriva ad un giudicato. È ovvio, però, che è vero che l'azione è il potere di proporre una domanda, ma tutto questo lavoro viene fatto perché il cittadino vuole avere giustizia, vuole avere il più possibile una percentuale di accoglimento della domanda. Il cittadino vuole avere il più possibile un giudicato positivo, una domanda di accoglimento della sua domanda giudiziale. Come si fa a farsi accogliere una domanda? Se l'azione deve portare ad un giudicato positivo, il nostroattore per proporre una domanda giudiziale che sia positiva cosa deve fare? Per ottenere un'azione positiva bisogna passare attraverso tre filtri/passaggi: 1. Presupposti processuali; sono dei requisiti che devono sussistere all'inizio di ogni processo. Sono i requisiti che devono sussistere affinché il giudice decida in maniera valida. 2. Condizioni dell'azione; perché l'azione venga accolta deve soddisfare alcuni requisiti, i quali devono esistere al momento della decisione. Differentemente dai presupposti processuali, che devono sussistere fin dall'inizio, le condizioni dell'azione possono sussistere anche alla fine del processo, cioè al momento della decisione del merito. 3. Esistenza del diritto; per farsi accogliere un'azione bisogna dimostrare l'esistenza del diritto, cioè il diritto che faccio valere nel processo. Ad esempio, dimostrare che ho il diritto di proprietà. Dunque, per farsi accogliereprocessuali riguarda proprio questi requisiti. I presupposti processuali si dividono in due categorie: i presupposti processuali di validità e i presupposti processuali di ammissibilità. I presupposti processuali di validità sono quei requisiti che devono essere presenti affinché il processo possa essere considerato valido. Ad esempio, la competenza del giudice, la corretta notifica delle parti, la presenza di un avvocato difensore, ecc. I presupposti processuali di ammissibilità, invece, sono quei requisiti che devono essere soddisfatti affinché il processo possa essere ammesso dal giudice. Ad esempio, la legittimazione delle parti, la tempestività della domanda, l'esaurimento delle vie stragiudiziali, ecc. È importante che entrambi i tipi di presupposti processuali siano presenti affinché il processo possa iniziare e procedere correttamente. Se uno o più presupposti mancano, il giudice non potrà decidere sulla questione e il processo non potrà essere avviato o dovrà essere interrotto. È quindi fondamentale per chi intende avviare un processo assicurarsi di soddisfare tutti i presupposti processuali, altrimenti si rischia di perdere tempo e risorse senza ottenere il risultato desiderato.processo è attribuito al giudice, che ha il compito di amministrare la giustizia e decidere sulle controversie tra le parti. Il giudice deve essere imparziale e indipendente, garantendo così un processo equo e giusto. Le parti coinvolte nel processo sono il ricorrente e il convenuto. Il ricorrente è colui che promuove l'azione legale, mentre il convenuto è colui che viene chiamato a rispondere all'accusa. Entrambe le parti devono essere rappresentate da un avvocato, che ha il compito di difendere i loro interessi e presentare le argomentazioni legali. Durante il processo, le parti hanno il diritto di presentare prove e testimoni a sostegno delle proprie tesi. Il giudice valuterà le prove presentate e prenderà una decisione in base alla legge e ai fatti emersi durante il processo. Una volta emessa la sentenza, le parti hanno il diritto di presentare appello se ritengono che la decisione del giudice non sia corretta. L'appello sarà esaminato da un tribunale superiore, che valuterà se ci sono stati errori di diritto o di fatto nel processo originale. In conclusione, il processo è un mezzo attraverso il quale si risolvono le controversie legali. È importante che il processo sia condotto in modo corretto e imparziale, garantendo così la giustizia per tutte le parti coinvolte.
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Scienze giuridiche IUS/15 Diritto processuale civile

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher maria_marchetti_ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto processuale civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Rasia Carlo.
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