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DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI
Gli uomini danno vita a organizzazioni di vario tipo, si pensi ai partiti politici o ai
sindacati. Tra tutte le forme di collettività importanza preminente viene assunta
dalla società politica quella che si propone finalità di ordine generale essendo
volta alla soddisfazione dei vari bisogni dei consociati.
L’organizzazione politica per poter assolvere le proprie funzioni finisce per
assumere una struttura articolata. In epoca moderna si è verificata
un’espansione compiti pubblici che non sono più limitati a garantire l’ordinato
svolgimento della vita sociale, l’applicazione della legge e la realizzazione di
infrastrutture ma si orientano a creare le condizioni per il pieno sviluppo della
persona (art 3), promuovendo il progresso sociale erogando servizi quali sanità,
istruzione, previdenza sociale (stato sociale) e intervenendo sotto vari profili
nella vita economica non soltanto disciplinando l’attività dei privati (art 42
comma 2) ma assumendo direttamente o indirettamente la gestione di
determinate attività.
Le società politiche hanno assunto nella storia forme diversissime: dalle
comunità primitive alle tribù nomadi, dalle polis agli imperi alla società feudale
etc.
Oggi è centrale la nozione di Stato che si identifica con una certa comunità di
individui (i cittadini che come tali si qualificano in base alle regole concernenti
l’acquisto e la perdita della cittadinanza) stanziata in un certo territorio sul
quale si dispiega la sovranità dello Stato ed organizzata in base ad un certo
sistema di regole ossia un ordinamento giuridico.
Oggetto di studio è il diritto vigente nella Repubblica Italiana ossia il sistema di
regole che riceve forza e attuazione nel territorio italiano o attraverso l’autorità
dello Stato italiano In altri termini il diritto che è vigente in Italia (anche se le
singole regole non nascono necessariamente da atti degli organi dello Stato).
superiorem non recognoscit
Un ordinamento giuridico si dice originario quando
ossia quando la sua organizzazione non è soggetta a un controllo di validità da
parte di un’altra entità: tale è il caso delle organizzazioni internazionali, della
Chiesa e dell’Unione Europea.
Nella prospettiva della pluralità degli ordinamenti giuridici va valutata la
soggezione – talvolta volontaria, frutto di un’adesione spontanea del singolo –
talaltra necessaria ed inclinabile – di ciascun individuo alle regole di uno o più
ordinamenti.
3. GLI ORDINAMENTI SOVRANAZIONALI. L’UNIONE EUROPEA
Interessa la teoria dell’ordinamento giuridico anche la partecipazione dell’Italia
alla comunità internazionale soprattutto alla luce dell’assetto dei rapporti
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internazionali succeduto alla seconda guerra mondiale ispirato ad una
collaborazione tra gli Stati per il mantenimento della pace.
L’art 10 della Costituzione enuncia il principio per cui l’ordinamento giuridico
italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute. Il diritto internazionale è un diritto che ha fonte essenzialmente
consuetudinaria vale a dire trae origine dalla prassi delle relazioni tra gli Stati o
pattizia ossia nasce da appositi accordi di carattere bilaterale o plurilaterale
che ciascuno stato stringe con gli altri e che si impegna a rispettare (i trattati
internazionali vincolano lo Stato soltanto se sono ratificati – art 80). Attraverso
l’art 10 anche le norme del diritto internazionale consuetudinario fanno parte
dell’ordinamento giuridico dello Stato.
La Repubblica Italiana è anche parte di organizzazioni internazionali. L’art 11
stabilisce che l’Italia consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia tra le Nazioni. Promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo. Il principio è importante in quanto rende ammissibile la
sottoposizione dello Stato alle regole di un’organizzazione sovranazionale le cui
norme vincolano l’operatività degli organi dello Stato stesso con una
conseguente limitazione della sovranità dello Stato.
La norma costituzionale era pensata in vasta della partecipazione dell’Italia
all’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’adesione dell’Italia alle Comunità
Europee a partire dalla stipulazione del trattato di Roma nel 1957 che ha dato
vita alla Comunità Economica Europea ha implicato l’accettazione di limiti alla
sovranità dello Stato che si è sottoposto alla volontà della maggioranza degli
altri Sati membri o degli organi dell’Unione.
Trattando delle fonti del diritto si avrà modo di verificare come l’adesione al
processo di integrazione europea abbia inciso sul potere legislativo poiché
taluni atti delle istituzioni europee hanno valore di fonte del diritto
nell’ordinamento interno dei singoli Stati.
Il processo di integrazione europea è stato lungo. Partendo dai tre iniziali
Trattati istitutivi di organismi: la comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio
(CECA 1951), la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea per
l’energia atomica (Euratom), volti a definire un’area di libera circolazione delle
merci e a coordinare alcune attività economiche si è preceduto verso un
progressivo allargamento del numero degli Stati aderenti e verso una sempre
più accentuata prevalenza delle decisioni assunte dagli organi comunitari.
Si devono rammentare oltre al già ricordato Trattato di Roma del 25 marzo del
1957 (Convenzione istitutiva della Comunità Economica Europea) il trattato di
Maastricht del 7 febbraio 1992 entrato in vigore il 1° novembre 1993 oltre a
modificare l’originario trattato istitutivo delle CEE ora denominata Comunità
Europea contiene il Trattato sull’Unione Europea con il quale si fissano i
parametri per l’adesione all’Unione. 4
Il trattato ha introdotto il concetto di Cittadinanza dell’Unione e posto le basi
per l’unione economica e monetaria. L’estensione delle politiche comuni
suscitò le riserve di alcuni paesi per superare le quali si ammise la clausola di
opt-out che permette ai singoli paesi di negoziare e ottenere la permanenza
nell’Unione. Ciò a consentito a taluni paesi membri come il regno Unito di non
passare all’euro. È noto che di recente il Regno Unito ha deliberato il trattato
nel 31 gennaio del 2020.
Ulteriori modifiche sono state introdotte dal trattato di Amsterdam del 2
ottobre del 1997, dal trattato di Nizza del 26 febbrai 2001 e dal Trattato di
Lisbona firmato il 13 dicembre 2007. Quest’ultimo ha modificato il Trattato
sull’Unione Europea e ha sostituito l’originario Trattato istitutivo della Comunità
Europea con il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Quest’ultima non va confusa con la CEDU (Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) che è un trattato
internazionale il quale predispone un sistema di tutela internazionale dei diritti
dell’uomo. L’Unione Europea non aveva aderito formalmente alla CEDU
sebbene tutti gli stati membri vi facessero parte. La ragione risiede nel difetto
di legittimazione dell’Unione Europea a essere parte di una convenzione
internazionale concernente i diritti dell’uomo. Ciò non aveva impedito una
recezione sostanziale dei principi contenuti nella Convenzione. Con il Trattato di
Lisbona è stato compiuto un ulteriore passo giacché l’art 6 afferma che i diritti
fondamentali garantiti dalla Convenzione fanno parte del diritto dell’Unione.
4. LA NORMA GIURIDICA
L’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole che
concorrono a disciplinare la vita organizzata della comunità. Ciascuna di queste
regole si chiama norma e poiché il sistema di regole da cui è assicurato l’ordine
di una società rappresenta il diritto di quella società ciascuna di tali norme si
dice giuridica.
La giuridicità di una norma non è la conseguenza di qualche carattere peculiare
inerente al suo contenuto ma dipende dal fatto che vada considerata in base a
criteri fissati da ciascun ordinamento dotata di autorità in quanto inserita nel
sistema giuridico e suscettibile di essere resa vincolante nei confronti di tutti i
consociati. Ciò avviene quando una certa regola trovi origine in un atto o in un
fenomeno normativo ossia un fenomeno che sia idoneo a porsi come fonte di
norme giuridiche.
La norma giuridica si distingue dalla norma morale anche quando hanno lo
stesso contenuto. Mentre ciascuna regola morale è assoluta nel senso che
trova nel suo contenuto la sua validità e quindi obbliga solo l’individuo che ne
riconosce il valore a rispettarla ed è perciò che appare autonoma. La regola
giuridica deriva la propria forza vincolante dal fatto di essere prevista da un
atto dotato di autorità nell’ambito dell’organizzazione di una collettività. Essa si
presenta come eteronoma cioè imposta dal singolo ad altri. 5
Il diritto non prescinde del tutto dalla morale sociale ma rispecchia in regole
coercibili; ossia criteri imperativi della condotta individuale, i principi morali cui
si aspira una determinata collettività.
I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano fonti. Di solito la norma è
espressione della volontà di un organo investito del potere di elaborare regole
destinate a far parte dell’ordinamento giuridico (ossia è il risultato di un atto
normativo) e viene consacrata in un documento normativo. In tal caso occorre
non confondere la formulazione concreta dell’atto di esercizio del potere
normativo ossia il testo, se si tratti di una disposizione normativa scritta, con il
precetto ossia il significato del testo. L’individuazione del significato del testo
normativo è il risultato di un’operazione di interpretazione del testo medesimo.
Non bisogna neppure confondere il concetto di norma giuridica con quello di
legge. Per un verso la legge è un certo e definito tipo di atto normativo scritto
che nel nostro ordinamento è elaborato da organi a ciò competenti secondo le
procedure stabilite dalla Carta Costituzionale. Per altro verso ogni ordinamento
conosce regole giuridiche frutto di atti diversi da quelli che tecnicamente si
definiscono leggi e dunque deve affrontare il problema del rapporto tra le varie
fonti. Per altro verso ancor