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TEMPUS COMMISSI DELICTI

Per stabilire quale sia la legge penale applicabile ai sensi dell’art. 2 c.p. si rende necessario

individuare il momento in cui il reato si può considerare commesso, ossia il tempus commissi

delicti. Il problema relativo alla individuazione del tempo del commesso reato è legato

all’assenza di una espressa definizione legislativa. A ciò si deve aggiungere che l’art. 2 c.p. e

l’art. 158 c.p. (norma che si riferisce alla prescrizione del reato) presentano due formulazioni

differenti. Se l’art. 2 c.p. utilizza il termine “commissione” del reato, l’art. 158 c.p., invece, con

riguardo alla prescrizione, prevede che questa decorra dal momento della “consumazione”.

• Per riempire di contenuto la nozione di “consumazione” questa può ricondursi idealmente

al momento in cui è esaurita l’offesa che è scaturita dal fatto tipico. Quindi, la nozione di

consumazione si coglie sul piano della offensività.

• La nozione di “perfezionamento” del reato, invece, si coglie con riferimento alla tipicità. Il

reato è perfezionato quando sussistono tutti gli elementi costitutivi, quando, cioè, è integrato

il fatto tipico produttivo di offesa. La “commissione” del reato può coincidere con quella di

“consumazione” del reato; la commissione può, invece, anche constare di due momenti non

coincidenti (perfezionamento e consumazione). L’accertamento del tempo del commesso

reato appare intuitiva nei reati c.d. “istantanei”, rispetto ai quali il momento di commissione

del reato è quello del compimento dell’azione tipica, (perfezionamento e consumazione

coincidono).

Risulta maggiormente difficoltoso individuare il momento di commissione del reato nei c.d. “a

tempi plurimi”:

• reati “ad evento differito”;

• reati “a schema alternativo”;

• reati permanenti;

• reati abituali;

• reati a consumazione prolungata.

In assenza di un’espressa previsione legislativa, tra le varie tesi emerse in dottrina e in

giurisprudenza, si è affermata in maniera ormai consolidata la c.d. teoria dell’azione: il reato

deve dunque ritenersi commesso nel tempo in cui il soggetto ha realizzato la condotta vietata

dalla norma (ANTOLISEI). Nell’aderire alla teoria della condotta (anche detta teoria

dell’azione), le Sez. Un., Corte Cassazione 24 settembre 2018, n. 40986. hanno valorizzato

due argomentazioni principali volti a rimarcare l’assoluta incompatibilità del diverso criterio

dell’evento:

1. Il principio di irretroattività sfavorevole

2. La funzione rieducativa della pena.

Il momento di realizzazione della condotta è diverso, però, a seconda della tipologia di reato

che viene in considerazione. Nei reati omissivi, invece, avrà rilievo il momento in cui scade il

termine per il compimento dell’azione doverosa o, secondo altro autorevole orientamento, il

momento in cui il soggetto si è posto nella condizione di non poter adempiere l’obbligo

prescritto. Nei reati permanenti e in quelli abituali, secondo il prevalente orientamento, si

deve guardare all’ultimo atto compiuto dal soggetto. Nel caso in cui, dunque, la condotta sia

iniziata prima dell’entrata in vigore di una nuova legge ma continui a protrarsi anche sotto la

vigenza della stessa, essa dovrà essere assoggettata alla nuova disciplina – anche se

sfavorevole al reo. Fino al compimento dell’ultimo atto, infatti, la norma penale può esplicare

la sua efficacia deterrente.

Il problema dell’individuazione del tempo del commesso reato si è posto recentemente

con riguardo all’art. 572 c.p. a seguito delle modifiche peggiorative che hanno interessato la

norma. Nel caso di cui si è occupata Cass., sez. VI, 24 gennaio 2023 (dep. 28 giugno 2023), n.

28218, all’imputato veniva rimproverato di aver realizzato condotte abusanti ai danni della ex-

moglie per un periodo di circa quattro anni, in un arco temporale compreso tra il maggio del

2009 e il luglio del 2013. La pena originariamente prevista per il delitto di maltrattamenti – da

uno a cinque di reclusione – era stata aumentata in occasione della ratifica della

Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori (l. 1° ottobre 2012, n. 172) e,

pertanto, il delitto di cui all’art. 572 era da quel momento punito con la pena compresa tra

due e sei anni di reclusione. A fronte della modifica in senso sfavorevole (ex art. 2 co. 4 c.p.)

del trattamento sanzionatorio di un reato necessariamente abituale, il tempus commissi

delicti può radicarsi nel periodo di vigenza della disciplina più severa sopravvenuta soltanto

qualora il reo, dopo la modifica, realizzi nuovamente quella “serie minima” di condotte

necessaria ad integrare il reato, non essendo viceversa sufficiente la commissione di una

singola condotta per «trascinare con sé e verso un trattamento punitivo più severo l’intera

condotta abituale compiuta in precedenza».

La Corte di cassazione osserva infatti che, se la “individuazione del tempus commissi delicti

[...] si collega strettamente con la necessità di fare riferimento alla condotta e alla funzione

della pena, il principio costituzionale di irretroattività impone di scongiurare il rischio di

realizzare, attraverso il fenomeno successorio, una retroattività occulta della norma

sopravvenuta sfavorevole in quanto sganciata dal criterio della condotta”. Il reato può dirsi

perfezionato soltanto allorché venga compiuto “quell’atto che, unendosi ai precedenti, sia in

grado di superare una determinata soglia di intensità di disvalore di azione e di evento,

integrando quel minimum essenziale ai fini della realizzazione dell’offesa all’interesse

giuridicamente protetto”. Ne deriva che, nei reati necessariamente abituali, ove il minimum di

tipicità necessario a integrare il reato non può per definizione consistere in un’unica

manifestazione criminosa, un’eventuale modifica in senso peggiorativo della disciplina potrà

essere applicata all’intera condotta abituale soltanto se “il soggetto compia segmenti di

condotta abituale autosufficienti prima e dopo la norma modificativa sfavorevole

sopravvenuta”.

A seguito della riforma introdotta per effetto della L. n. 69/2019, il legislatore ha ulteriormente

inasprito il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 572 c.p. che prevede oggi la reclusione

da 3 a 7 anni e l’introduzione di una aggravante speciale per la commissione del fatto in

presenza di minori, donne in gravidanza o persone disabili. Con sentenza n. 464 del 30

ottobre 2023 (dep. 5 gennaio 2024), la sesta sezione penale della Corte di Cassazione si è

occupata del delitto di maltrattamenti in famiglia, con particolare riferimento all'aggravante

dell’aver commesso li fatto "in danno" o "alla presenza" di minore di anni diciotto, di cui al

comma 2 dell’art. 572 c.p. Tale orientamento ha chiarito che qualora alcune delle condotte

vessatorie siano state poste in essere prima dell'entrata in vigore della legge 19/07/2019, n.

69, ed altre in epoca successiva, ma solo le prime siano state perpetrate al cospetto di un

minore, non trova applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 572,

comma 2, c.p., introdotta da tale legge, ma quella, previgente, di cui all'art. 61, comma 1, n.

11 quinquies, cod. pen. In tal senso si è recentemente espressa la Corte di cassazione con

riferimento al delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612 bis c.p., statuendo che “ai fini della

prescrizione del delitto di "stalking", che è reato abituale, il termine decorre dal compimento

dell'ultimo atto antigiuridico, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la

cessazione dell'abitualità.” (Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2017, n. 35588).

I PRINCIPI DI PREVEDIBILITA’ E DI ACCESSIBILITA’

La portata garantistica del principio di legalità e del principio di irretroattività è ulteriormente

rafforzata dal riconoscimento del (nullum crimen,) nulla poena sine lege quale diritto umano

ad opera dell’art. 7 CEDU, ai sensi del quale:

“1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in

cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto (“law”) interno o

internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al

momento in cui il reato è stato commesso.

2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole

di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un

crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.”

Tale norma, che a prima vista sembrerebbe porre solo il principio di irretroattività della legge e

delle pene, è stata interpretata dalla giurisprudenza della Corte EDU come fondamento

convenzionale, in generale, del principio di legalità (sent. Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio

1993, § 52, serie A n. 260 A) ma anche dei suoi corollari di tassatività e determinatezza, divieto

di analogia e retroattività della norma più favorevole al reo (sent. Scoppola c. Italia).

A differenza che nel nostro ordinamento, però, dall’art. 7 CEDU non può ricavarsi il principio

della riserva di legge. Al fine di introdurre un minimo comun denominatore di legalità valido

per tutti gli Stati firmatari della Convenzione e quindi anche per quelli che adottano un

ordinamento di common law, infatti, il legislatore convenzionale ha preferito servirsi del più

ampio concetto di “diritto” (comprensivo, dunque, anche della giurisprudenza) anziché di

quello di legge (GAROFOLI). Il “diritto” cui la CEDU riserva l’introduzione di nuovi reati o di

nuove pene si caratterizza allora non per il tipo di fonte (legislativa, giurisprudenziale,

consuetudinaria …) o per il suo essere scritto o non scritto, quanto piuttosto, secondo la

consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, per due specifici connotati che deve

possedere:

- l’accessibilità, ossia la sua conoscibilità da parte del cittadino. Secondo la giurisprudenza

CEDU, le norme penali possono ritenersi accessibili quando siano state pubblicate o raccolte

in modo tale da porre i destinatari in condizione di conoscerne l’esistenza;

- la prevedibilità, che si articola nei due sottoprincipi: a) della determinatezza della

fattispecie incriminatrice, alla stregua del quale la “law” (da intendersi

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Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

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