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CAPITOLO III - LA STRUTTURA DEL REATO
1. Struttura ed elementi del reato
Diverse sono le teorie elaborate nel ricostruire la struttura del reato e i suoi elementi
costitutivi.
Si passano in rassegna le principali.
1.1. Le teorie della bipartizione e della tripartizione
La teoria della bipartizione scompone il reato in: un elemento oggettivo o materiale (il
fatto; la tipicità; cause di giusti cazione); un elemento soggettivo o psicologico (la
colpevolezza).
La teoria della tripartizione scompone, invece, l'illecito penale in: fatto, comprensivo degli
elementi oggettivi del reato, ma non delle cause di giusti cazione; l'antigiuridicità
obiettiva, che indica la complessiva contrarietà del fatto alle regole dell'ordinamento,
coincidendo con l'assenza di cause di giusti cazione; la colpevolezza.
Ciò che muta signi cativamente tra le due impostazioni è la collocazione delle cause di
giusti cazione nella struttura del reato.
Seguendo la teoria della bipartizione le scriminanti sono concepite come elementi negativi
del fatto, vale a dire come elementi che devono appunto essere assenti perché esista un
reato.
La teoria della tripartizione del reato colloca, invece, le cause di giusti cazione all'interno
di un elemento "intermedio" tra fatto e colpevolezza, denominato antigiuridicità obiettiva,
che consiste nell'assenza di cause di giusti cazione. L'antigiuridicità, che descrive il
rapporto di contraddizione tra il fatto e l'intero ordinamento giuridico, viene meno allorché
una norma, diversa da quella incriminatrice e collocata in qualunque parte
dell'ordinamento, facoltizza o rende doverosa la realizzazione del fatto tipico.
1.2. Concezioni quadripartite
Isolate le concezioni quadripartite che ravvisano un elemento ulteriore, rispettivamente
individuato nella: conformità del fatto al tipo descritto dalla fattispecie; ovvero, nella la
punibilità, la quale assurgerebbe ad elemento essenziale anziché costituire una mera
"normale conseguenza" del reato.
2. L'elemento oggettivo del reato: condotta, evento, rapporto di
causalità
Dell'elemento oggettivo del reato fanno parte la condotta, l'evento e il nesso di causalità
che deve legare l'una all'altro.
2.1. La condotta
Il principio di materialità costituisce un corollario dell'art. 25, co. 2 Cost. ("nessuno può
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso") volto a bandire dall'ordinamento ogni forma di c.d. diritto penale dell'autore
(diretto a sanzionare modi di essere, anziché comportamenti). In base a detto principio, le
fattispecie di reato possono essere preordinate a punire soltanto fatti umani, estrinsecatisi
nel mondo materiale e contrassegnati da una dimensione di corporeità.
Per condotta si intende quindi un comportamento umano punito dalla legge come reato,
tradizionalmente considerata quale minimo indefettibile del fatto tipico.
La condotta può consistere in una:
fi fi fi fi fi fi fi
1. azione, ossia nel movimento corporeo dell'uomo, oggettivamente rilevabile in
quanto in grado di modi care il mondo esteriore;
2. omissione, intesa in senso normativo, come mancato compimento dell'azione
dovuta.
2.1.1. I reati omissivi
Si suole distinguere due categorie di reati omissivi: i reati omissivi propri e i reati omissivi
impropri.
Secondo la tesi maggioritaria che fa leva sulla struttura della fattispecie:
1. i reati omissivi propri sono integrati dal mancato compimento di un'azione comandata
alla generalità dei consociati dalla legge penale. Si tratta, quindi, di fattispecie
tendenzialmente di mera condotta, espressamente previste da norme di parte
speciale;
2. i reati omissivi impropri consistono, invece, nel mancato impedimento di un evento
che si ha l'obbligo giuridico di impedire. Presuppongono che a carico dell'autore
sussista una posizione di garanzia, ossia l'obbligo giuridico di impedire l'evento.
I reati omissivi impropri risultano in primis dalla combinazione della clausola generale
contemplata dall'art. 40 cv. c.p. (secondo cui "non impedire un evento, che si ha l'obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo") con la norma di parte speciale con gurante
un reato commissivo di evento a forma libera. Possono, tuttavia, essere previsti
direttamente da norme incriminatrici ad hoc (es. art. 659 c.p.).
Gli elementi costitutivi del reato omissivo improprio sono, in particolare:
1. la situazione tipica, ossia il/i presupposto/i di fatto che determina l'insorgere del
dovere di attivazione per impedire la veri cazione dell'evento;
2. l'omissione, ossia il mancato compimento dell'azione tesa ad impedire l'evento;
3. l'evento descritto dalla norma.
Quanto alla fonte della posizione di garanzia penalmente rilevante di impedire il
veri carsi dell'evento, l'obbligo di attivarsi (non già, quindi, di mera segnalazione o di sola
vigilanza) deve essere previsto, in omaggio al principio di legalità, in una legge (penale ed
extrapenale) ovvero anche in un contratto (attesa la vincolatività dello stesso ai sensi
dell'art. 1322 c.c.).
E' anche necessario, tuttavia, che il soggetto gravato dall'obbligo sia, in concreto, dotato di
un effettivo potere impeditivo dell'evento e che abbia la materiale possibilità di compiere
l'azione impeditiva.
Gli obblighi giuridici di impedire l'evento si distinguono in: 1) obblighi di controllo, quando
l'obbligo riguarda il controllo di una fonte di pericolo, af nché non arrechi danno a terzi; 2)
obblighi di protezione, quando l'obbligo riguarda invece la protezione, da pericoli esterni,
di uno o più beni, motivata dall'incapacità dei soggetti cui fanno capo di dame adeguata
protezione.
2.2. L'evento
Il concetto di evento in ambito penalistico è inteso in una duplice accezione.
1. Secondo la concezione naturalistica, l'evento è un accadimento esteriore
causalmente collegato a una condotta del soggetto attivo del reato (es. l'evento morte
nel delitto di omicidio).
2. Secondo la concezione giuridica, l'evento coincidere con l'offesa al bene giuridico
tutelato.
Aderendo a tale seconda impostazione, sarebbe quindi ravvisabile un evento in ogni
fattispecie incriminatrice (posto che un reato inoffensivo sarebbe costituzionalmente
illegittimo), mentre aderendo all'impostazione naturalistica gli illeciti penali sarebbero
divisibili in due categorie (reati di evento e reati di mera condotta), a seconda che il divieto
penale concerna la sola condotta od anche il suo risultato.
fi fi fi fi fi
2.2.1. Evento e condizioni obiettive di punibilità: la sentenza di fallimento nei reati di
bancarotta
Dall'evento va distinta la condizione obiettiva di punibilità che si ha "quando, per la
punibilità del reato, la legge richiede il veri carsi di una condizione, il colpevole risponde
del reato, anche se l'evento, da cui dipende il veri carsi della condizione, non è da lui
voluto" (art. 44 c.p.). Si tratta, quindi, di accadimenti estranei a un reato in sé perfetto,
rispetto ai quali non è conseguentemente richiesto alcun nesso psicologico con
l'agente.
In altri termini Il legislatore, nel delineare talune norme incriminatrici, reputa che i
comportamenti censurati siano concretamente meritevoli di pena soltanto a determinate
condizioni, in base a considerazioni di opportunità. Le condizioni obiettive di punibilità
differiscono pertanto dall'evento del reato: solo quest'ultimo contribuisce a delineare il
nucleo di disvalore della fattispecie criminosa, condizionando la consumazione del reato.
Ne discende che il termine "evento" di cui all'art. 44 c.p. è utilizzato in senso atecnico,
come sinonimo di "avvenimento". Ciò trova conferma nell'art. 158, co. 2 c.p., in base al
quale "Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal veri carsi di una
condizione, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è
veri cata". La necessità di dettare un'apposita disciplina testimonia infatti che le condizioni
ex art. 44 c.p. sono considerate estranee al fatto di reato.
Non sempre è agevole quali care i singoli segmenti della fattispecie in termini di evento o
condizione obiettiva di punibilità. Una delle più controverse questioni in materia ha
riguardato l'esatta quali cazione della sentenza dichiarativa di fallimento nei reati di
bancarotta postfallimentare: di recente, la giurisp. di legittimità - in precedenza
graniticamente attestata sulla tesi della natura di elemento costitutivo del reato (a seconda
delle pronunce, condizione per l'integrazione del reato o vero e proprio evento dello
stesso) - ha talvolta aderito al prevalente orientamento dottrinale, secondo cui la
declaratoria di fallimento integra una mera condizione obiettiva di punibilità dei fatti di
bancarotta prefallimentare, non concorrendo in alcun modo ad esprimere il disvalore
stigmatizzato con l'incriminazione.
2.3. Il rapporto di causalità
Per attribuire la responsabilità penale di un fatto criminoso ad un soggetto, occorre
veri care la sussistenza di un legame causale fra la sua condotta ed un dato evento lesivo
(c.d. nesso causale). In tal modo il nesso causale concorre a garantire il rispetto del
principio di personalità della responsabilità penale (art. 27, co. 1, Cost.).
La causalità è regolata da due disposizioni del Codice penale:
1. l'art. 40, co. 1, secondo cui "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla
legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del
reato, non è conseguenza della sua azione od omissione";
2. l'art. 41, in forza del quale "il concorso di cause preesistenti o simultanee o
sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non
esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento", soggiungendo al
2° co. che "le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono da
sole suf cienti a determinare l'evento", e al 3º co. che "le disposizioni precedenti si
applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste
nel fatto illecito altrui”.
Sebbene il legislatore non fornisca una de nizione del nesso di causalità, è paci ca
l'adesione alla c.d. teoria della condicio sine qua non, o dell'equivalenza delle condizioni
(cd. teoria condizionalistica) secondo cui si considera causa dell'evento naturalistico ogni
condizione antec