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L'art. 133 c.p. e la valutazione della colpevolezza

L'art. 133 c.p. è coerente con questi principi e, infatti, richiede al giudice di valutare "l'intensità del dolo" e "il grado della colpa" nel momento di commisurazione della pena. Secondo parte della dottrina questi parametri dovrebbero considerarsi prevalenti, tanto da escludere per la valutazione della gravità del reato qualsiasi elemento incolpevole del fatto (escludendo quindi la configurabilità di una responsabilità oggettiva). Addirittura, secondo la c.d. teoria gradualistica la determinazione quantitativa della pena dovrebbe tener conto del solo parametro della colpevolezza. Tale tesi non sembra tuttavia accettabile, in quanto il legislatore richiede al giudice di valutare la capacità a delinquere del reo e questo presuppone un giudizio prognostico volto ad accertare la possibilità di una ricaduta nell'illecito (rischio specifico di recidiva) imponendo di adeguare il quantum di pena alla.

natura. Inoltre, la finalità di prevenzione generale può essere considerata come una forma di punizione anticipata, in quanto si basa sulla presunzione che il reo possa commettere nuovi reati in futuro. Questo potrebbe portare a una violazione del principio di presunzione di innocenza, in quanto si punisce una persona per qualcosa che potrebbe fare, anziché per ciò che ha effettivamente fatto. D'altra parte, alcuni sostenitori della finalità di prevenzione generale sostengono che sia necessaria per proteggere la società e prevenire la commissione di ulteriori reati. Ritengono che il giudice debba tenere conto non solo della colpevolezza dell'autore, ma anche delle conseguenze sociali del suo comportamento. In questo modo, si cerca di dissuadere non solo il reo, ma anche gli altri membri della società, dall'intraprendere comportamenti criminali simili. In conclusione, la questione della finalità di prevenzione generale nel sistema penale è ancora oggetto di dibattito e controversia. Mentre alcuni la considerano necessaria per proteggere la società, altri la criticano per le possibili violazioni dei principi fondamentali del diritto penale. Spetta al legislatore e al giudice trovare un equilibrio tra la punizione del reo e la protezione della società.

funzione di limite. Infatti, è proprio questo il legame sussistente tra colpevolezza e gli altri criteri finalistici perseguibili dal giudice, che dovrebbe essere valorizzato.

2. La nozione di discrezionalità giudiziale e i suoi limiti

La discrezionalità consiste nella libertà di scelta che il legislatore attribuisce al giudice, affinché questo possa garantire realmente la giustizia del caso concreto. Tale obbiettivo non sarebbe raggiungibile laddove il giudice fosse vincolato a comminare una pena in misura fissa.

Per evitare che la libertà di scelta si trasformi in un esercizio arbitrario del potere giudiziario, nel nostro ordinamento viene accolta una concezione di discrezionalità di tipo vincolato, che impone al giudice di confrontarsi con limiti ben precisi. Questi, secondo parte della dottrina, potrebbero identificarsi in limiti esterni (cornice edittale) e interni (art. 133 c.p.); fattuali (elementi di fatto che caratterizzano il caso concreto,

da coordinare con i criteri finalistici) o di carattere processuale (obbligo di motivazione, che può essere oggetto di censura da parte del giudice superiore). In particolare, in base all'art. 133 c.p., nella sua opera di commisurazione della pena, il giudice deve avere riguardo alla: 1) gravità del reato, che è desunta da: - le modalità dell'azione: il giudice deve prendere in considerazione ogni circostanza di fatto che sia tale da incrementare il concreto disvalore dell'azione, sia in relazione alla sua pericolosità che alla sua oggettiva riprovevolezza (es: mezzi usati, luogo di commissione e le condizioni della vittima); - la gravità dell'offesa: il giudice deve prendere in considerazione la lesione effettiva o potenziale del bene giuridico protetto (ad es. il danno o pericolo cagionato alla persona offesa); - l'intensità del dolo e grado della colpa: il quantum di rappresentazione.

E di volontà del fatto, unitamente ad alcuni valori oggettivi (ad es. il discostamento del comportamento dalla regola cautelare) e soggettivi (ad es. la misura della prevedibilità ed evitabilità dell'evento), utili per misurare la colpevolezza del reo.

Capacità a delinquere, da intendersi come la possibilità che il condannato compia ulteriori reati, desunta da:

Una parte della dottrina rileva che l'obiettivo di prevenzione generale sia una prerogativa del legislatore nel solo momento di formazione della norma incriminatrice, con particolare riferimento alla fissazione del minimo edittale. Altra dottrina (in specie tedesca), ritiene che sarebbe una contraddizione ritenere principio cardine della previsione legislativa la prevenzione generale se questa poi non trova seguito nella fase di commisurazione della pena.

La norma, secondo la dottrina prevalente, contiene un'elencazione connotata da valore esemplificativo, e non tassativo.

  • I motivi a delinquere, gli impulsi e le ragioni interne che hanno spinto il reo ad agire (da non confondere con lo scopo finale perseguito dall'autore del reato);
  • Il carattere del reo, le sue caratteristiche originarie o l'indole del soggetto, che può essere o meno propensa ad una ribellione all'ordinamento;
  • I precedenti penali e giudiziari e la condotta e la vita antecedenti al reato, ogni precedente esperienza giudiziale che si sia conclusa con una sentenza di condanna o di proscioglimento, nonché ogni esperienza di vita che sia sintomatica della capacità a delinquere del reo;
  • La condotta contemporanea e susseguente al reato stesso (ad es. la condotta processuale assunta dal reo o il fatto di essersi adoperato per riparare le conseguenze del reato);
  • Le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
L'art. 133 bis c.p. prevede poi che per la commisurazione della pena pecuniaria il giudice deve.tenere conto delle seguenti modalità di pagamento: - dilazionare il pagamento della multa o dell'ammenda in più rate, nel rispetto delle possibilità economiche del condannato; - consentire al condannato di svolgere lavori di pubblica utilità o di prestare servizi alla comunità come forma di compensazione economica; - valutare la possibilità di sostituire la multa o l'ammenda con altre misure alternative, come ad esempio la sospensione della pena o l'affidamento in prova al servizio sociale. Tutte queste decisioni devono essere prese dal giudice tenendo conto della gravità del reato commesso, delle condizioni personali ed economiche del condannato e dell'obiettivo di garantire una giusta sanzione e una reale possibilità di rieducazione.

consentire una dilazione del pagamento rateizzando il versamento dellapena pecuniaria dovuta. Rimane ferma la possibilità per il condannato di estinguere il debito interamentein qualsiasi momento (art. 133-ter c.p.).

3. Dalla commisurazione della pena in senso stretto alla commisurazione in senso latoOltre alla commisurazione in senso stretto (specie e quantità della pena), il giudice deve effettuare ancheuna commisurazione in senso lato. Si tratta dell’applicazione di circostanze attenuanti o aggravanti, dipene sostitutive alle pene detentive brevi, di misure alternative alla detenzione o dell'applicabilità della3causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto .Anche per la commisurazione in senso lato, i criteri che orientano il giudice sono quelli previsti dall'art.133 c.p., ma questi non devono essere considerati cumulativamente dall’organo giurisdizionale nelmomento dell'esecuzione della pena.La Cassazione ha

affermato che il giudizio di particolare tenuità del fatto deve essere effettuato prendendo in considerazione le modalità della condotta, l'esiguità del danno e la non abitualità del comportamento, i primi due elementi da valutare secondo i criteri di cui all'art. 133. Si tratta quindi di una valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione. 4. L'obbligo di motivazione All'esito dell'iter di commisurazione della pena, l'art. 132 c.p. impone al giudice un obbligo di motivazione, che può ritenersi soddisfatto qualora consenta di mostrare il percorso logico e argomentativo seguito per giungere alla decisione assunta. Esso risulta finalizzato a mantenere un parametro valutativo sul suo operato e, naturalmente, sulla corretta applicazione dei criteri stabiliti dall'art. 133 c.p. nell'esercizio del potere discrezionale. Nonostante l'importanza assunta dalla norma laLa sua corretta applicazione non è stata tuttavia sempregarantita dalla giurisprudenza. Infatti, secondo un consolidato orientamento, andrebbe tenuta distintal'ipotesi in cui il giudice debba motivare la comminatoria di una pena vicino al massimo edittale, daquella relativa ad una pena prossima al minimo. Mentre nel primo caso si rende necessaria unaargomentazione dettagliata e specifica (c.d. motivazione "rafforzata"); nel secondo caso risultaammissibile l'utilizzo di formule standard o il generico richiamo alla gravità del reato e alla capacità a4delinquere del reo, elevando tale prassi ad una sorta di regola tacita (c.d. motivazione "sintetica") .Tale approdo interpretativo è fortemente criticato in dottrina, perché la norma impone al giudice didichiarare espressamente le ragioni che hanno condotto a quella decisione, senza distinguere né inrelazione alla specie né in relazione al quantum di pena.concretamente inflitta al reo. Sulla base di questi presupposti, l'indirizzo giurisprudenziale in questione sembrerebbe non soltanto essere privo di un reale fondamento normativo, ma violare lo stesso principio di legalità. Anche sul versante della ragionevolezza, non convince la vaga giustificazione a tale approccio giurisprudenziale riferito al favor rei, perché anche la scelta di una motivazione adeguata riguardo al quantum di pena fissata verso il minimo edittale deve, allo stesso modo di quella rivolta al massimo, rispondere a criteri di certezza giuridica che esulino dalla risoluzione del caso specifico e dettare regole valevoli per sempre ed in ciascuna circostanza. Importanti contrasti giurisprudenziali risultano anche riguardo all'obbligo di motivazione in tema di determinazione della pena nel reato continuato, con particolare riferimento alla motivazione per gli aumenti relativi ai c.d. reati satellite. Si afferma infatti una prassi volta a stabilire cheè finalizzato a garantire la trasparenza e la giustificazione delle decisioni giudiziarie) impone di specificare le ragioni che hanno portato alla scelta di una determinata pena base. Inoltre, la motivazione della pena base è fondamentale per consentire al condannato di comprendere le ragioni della sua condanna e per permettere al giudice di controllo di verificare la correttezza della decisione.
Dettagli
A.A. 2022-2023
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SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher yamato.sakaida di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Penale I e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Mezzetti Enrico.