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SULLA FORMAZIONE DEI TRATTATI
Bisogna distinguere tra le conseguenze tra invalidità ed inesistenza.
INVALIDITÀ: si ha quando un accordo, sempre imputabile ad uno stato, è stato concluso da organi interni che lo hanno concluso al di fuori delle proprie competenze.
INESISTENZA: in tal caso la condotta dei soggetti che lo hanno stipulato non è neanche imputabile allo stato, perché lo straripamento di competenze è grave e manifesto.
Quindi un trattato stipulato in violazione di norme interne è valido o no?
SCHEMA COSTITUZIONALISTA: questa ricostruzione fa dipendere la validità internazionale del trattato alla validità interna degli atti che hanno portato alla sua conclusione. Allora il trattato è invalido se la sua conclusione non è conforme a quanto previsto in costituzione.
SCHEMA INTERNAZIONALISTA: solo la violazione di procedure di formazione stabilite a livello internazionale può portare
all'invalidità del trattato. Si accentua il carattere di autonomia dell'ord. internazionale. Per l'art.46 della CONVENZIONE DI VIENNA: solo una violazione evidente di regole interne di carattere fondamentale potrà dar luogo all'invalidità di un trattato. La violazione è manifesta se è obiettivamente evidente a qualsiasi altro stato che si comporti secondo buona fede e la pratica abituale (criterio di normale diligenza). La prassi conferma che un trattato concluso in violazione della normativa interna, ma conforme alla costituzione effettiva, non è invalido. Questa soluzione è pienamente in sintonia con il modo di essere del diritto internazionale, che predilige il dato effettivo a quello formale. Se applichiamo tutto ciò all'Italia, vediamo come l'art.80 impone una procedura formale di previa autorizzazione del parlamento, e quindi se teniamo solo conto del fatto che questa norma sia fondamentale, allora iTrattati divergenti dovrebbero essere invalidi. Ma se guardiamo ai fatti, all'apprassi, notiamo che non solo il parlamento non ha mai fatto valere tale prerogativa quando usurpata, ma ha anche ratificato successivamente l'operato del governo. Quindi tali trattati sono ritenuti in via di fatto validi.
SEZIONE II
GLI EFFETTI DEI TRATTATTI RISPETTO A STATI TERZI
1. IL PRINCIPIO "PACTA TERTIIS NEQUE NOCET NEQUE PROSUNT"
Nella classica concezione consensualista non è possibile che un trattato produca effetti nei confronti di uno stato che non ne è parte. La convenzione di Vienna:
Art. 34 Norma generale riguardante gli Stati terzi
Un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il consenso di quest'ultimo. È diffusa l'opinione che questa sia una norma di diritto generale. Questa regola però non impedisce agli stati parte di un trattato di prevedere disposizioni che determinano benefici o gravami a carico di uno
stato terzo, ma titolari di queste situazioni saranno solo gli stati parte del trattato. Solo le parti potranno quindi esercitare le prerogative derivanti. Se un trattato prevede un diritto di passaggio a favore di un stato terzo, non si crea per questo una posizione soggettiva, infatti questo sarà un mero beneficiario della disposizione convenzionale la cui applicazione andrà a suo favore. Idem per trattati che impongono obblighi: ad esempio, un trattato che impone anche a stati terzi l'obbligo di non fare qualcosa: in tal caso la condotta dello stato terzo è oggetto di una promessa scambiata fra le parti, e ciascuna delle parti dovrà assicurare che lo stato terzo tenga questa condotta. 2. ART. 35, 36, 37 CONVENZIONE DI VIENNA Art. 35 Trattati che prevedono degli obblighi per gli Stati terzi Da una disposizione di un trattato nasce un obbligo per uno Stato terzo quando le parti del trattato stesso intendano con quelle disposizioni creare tale obbligo e quando loStato terzo accetti esplicitamente per iscritto tale obbligo.
Art. 36 Trattati che prevedono dei diritti per gli Stati terzi
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Un diritto per uno Stato terzo nasce da una disposizione di un trattato quando le parti di tale trattato intendano, con tale disposizione, conferire tale diritto sia allo Stato terzo sia ad un gruppo di Stati al quale esso appartenga, che a tutti gli Stati, e quando lo Stato terzo acconsente. Si presume che vi sia consenso fintanto che non esista una contraria indicazione, a meno che il trattato non preveda altrimenti.
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Uno Stato che eserciti un diritto in base al paragrafo 1, è tenuto a rispettare, per quanto riguarda l'esercizio del diritto stesso, le condizioni che sono previste dal trattato o che sono accertate in base alle disposizioni di questo.
Il regime degli articoli è distinto, ma nella prassi è comune che diritti e obblighi siano collegati: quando si attribuisce un diritto di regola vi è anche un obbligo e viceversa.
Art. 37
Revoca o modifica di obblighi o diritti di Stati terzi
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Nel caso in cui sia nato per uno Stato terzo un obbligo in base all'articolo 35, detto obbligo non può essere revocato o modificato che con il consenso delle parti del trattato e dello Stato terzo, ameno che non sia accertato che essi avevano convenuto diversamente.
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Nel caso in cui per uno Stato terzo sia nato un diritto in base all'articolo 36, tale diritto non potrà essere revocato o modificato dalle parti se non sarà stato accertato che detto diritto non avrebbe potuto essere revocato o modificato senza il consenso dello Stato terzo.
Quindi se si tratta di un diritto questo può essere revocato, eccetto che sia pattuita l'irrevocabilità.
Questo regime opera solo per gli stati terzi, mentre se il trattato intende produrre effetti per gli individui, il loro consenso non è necessario.
3. EFFETTI DI TRATTATI RISPETTO A STATI TERZI E SITUAZIONI OBIETTIVE
Art. 38 Norme di un
tra<ato che divengono obbligatorie per StaT terzi a seguito della creazione diuna consuetudine internazionale
Nessuna delle disposizioni contenute negli arTcoli da 34 a 37 vieta che una norma sancita da untra<ato divenT obbligatoria per uno Stato terzo in quanto norma consuetudinaria di diri<ointernazionale riconosciuta come tale.
Questa disposizione fa sì che staT terzi al tra<ato possano essere vincolaT dalle disposizioni sequeste esprimono regole di diri<o consuetudinario: sia che la consuetudine esistesse già almomento della so<oscrizione sia che si sia creata dopo. In entrambi i casi i terzi sono vincolaT nonin virtù del consenso, ma poiché si tra<a di un a regola generale (che vincola tuY per definizione).
Il fenomeno della trasformazione di una regola convenzionale in consuetudinaria è frequente. Cisono accordi che sono per loro natura direY a vincolare tu<a la comunità internazionale, ES.ACCORDO SUI CONFINI:
tecnicamente vincola solo gli stati parte (e di confine) ma tu<a la comunità internazionale dovrà prendere a<o del mutamento dei confini. Alcuni giurisT parlano di TRATTATO-LEGGE: le parT vi perseguono non interessi individuali, ma dicara<ere pubblicista. TRATTATO DI WASHINGTON DEL 1959: gli stati parte hanno sospeso tu<e le pretese di sovranità eaYvità militare sull'AntarTde, però il tra<ato è espressamente dire<o a produrre i suoi effeY oltre le parT, ponendo regole di validità generale. I fa<ori dai quali può derivare l'obbligatorietà per stati terzi di un tra<ato sono: - l'autorevolezza degli stati parte - la loro capacità in via di fa<o di imporre il rispe<o della disciplina convenzionale - la realizzazione di un equilibrio di interessi acce<abile da tu<a la comunità internazionale 4. SITUAZIONI OBIETTIVE E VICENDE DEI TRATTATI Se un tra<ato è in gradodi vincolare stati terzi indipendentemente dal loro consenso, allora dovrebbe anche limitare la capacità degli stati parte di sottrarsi all'osservanza della disciplina. Esempio sono i TRATTATI SUI DIRITTI DELL'UOMO: l'idea di base è che questi trattati non creano solo obblighi per gli stati parte, ma creano uno status giuridico per gli individui presenti in un dato territorio: ciò giustificherebbe la successione automatica nei diritti e obblighi di un trattato per lo stato che succede al governo di una data sfera territoriale. Recentemente si tende a negare la possibilità di recedere da questi accordi e anche da strumenti convenzionali di controllo delle armi di distruzione di massa. Es. TRATTATO SULLA NON PROLIFERAZIONE NUCLEARE: questa vicenda sembra evidenziare l'esistenza di trattati la cui osservanza si impone a prescindere dal consenso (divieto di recesso per la Corea del Nord). Art. 75 Caso di uno Stato aggressore Le disposizioni dellapresente convenzione non pregiudicano in alcun modo gli obblighi relativi ad un trattato che potrebbero nascere per uno Stato aggressore in seguito alle misure adottate in conformità della Carta delle Nazioni Unite riguardo all'aggressione compiuta da tale Stato. Questa disposizione sembra dirci che il principio del consenso trova il suo limite nella necessità di mantenere la pace, che viene perseguita dall'ONU. SEZIONE II LE RISERVE 1. NOZIONE DI RISERVA E IL SUO RILIEVO NELLA PRASSI INTERNAZIONALE La CONVENZIONE DI VIENNA ART.2 ci dice che: - il termine "riserva" indica una dichiarazione unilaterale, quale che sia la sua formulazione o indicazione, fatta da uno Stato al momento in cui firma, ratifica, accede, approva un trattato o vi aderisce, mediante la quale mira ad escludere o a modificare l'effetto giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione a tale Stato. Questo istituto consente quindi ad uno stato diPer formattare il testo fornito utilizzando tag HTML, puoi seguire le seguenti indicazioni: ```aderire ad un tra<ato, alle proprie condizioni equindi di facilitare l’adesione degli staT a tra<aT mulTlaterali. Spesso viene uTlizzata per a<enuarel’effe<o vincolante di un tra<ato, es. determinando il contenuto di un obbligo in base a quantoprevisto dal proprio ordinamento interno, oppure far dipendere il contenuto di un obbligo dalladeterminazione di organi interni.È necessario che vi siano dei limiT all’uso di tale isTtuto, per evitarne gli abusi e che quindi unostato aderisca ad un tra<ato senza assumere il nucleo centrale dei suoi obblighi.
Diverse dalle riserve sono le DICHIARAZIONI INTERPRETATIVE: con le quali uno stato chiarisce lapropria interpretazione di una certa disposizione, e non rendono vincolante sudde<ainterpretazione, quindi non è necessaria l’acce<azione degli altri staT. Quindi queste dichiarazionidi regola non dovrebbero neanche vincolare l’interpretazione dei giudici, anche setendenzialmente
``` In questo modo, il testo verrà visualizzato come paragrafi separati. I caratteri speciali come `<` e `’` verranno interpretati correttamente.Quest tendono a dare rilevanza alle interpretazioni dell'esecutivo.
2. LA DISCIPLINA CLASSICA
La disciplina classica è caratterizzata da un approccio rigoroso e strutturato. Si basa su principi e regole ben definiti, che vengono applicati in modo uniforme e coerente. Gli esecutori devono seguire le istruzioni e le procedure stabilite, senza deviare o interpretare in modo personale. L'obiettivo principale è garantire l'efficienza e l'efficacia dell'esecuzione delle attività.