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CASI DI DIRITTO INTERNAZIONALE

L'immunità internazionale dalla giurisdizione di Stati stranieri

a) Cass. penale 28 giugno 1985 n. 1981 (Arafat e Salah)

La vicenda trae origine dal mandato di cattura emesso nel settembre 1984 dal giudice istruttore

del Tribunale di Venezia nei confronti di Yasser Arafat (in qualità di presidente del comitato

esecutivo dell’OLP) e di Kalef Salah (preposto ai servizi di sicurezza della fazione maggioritaria

Al Fatah) imputati di alcuni reati previsti dalle norme penali italiane per avere preso contatti

con le Brigate rosse approvando un comune programma di collaborazione e avere autorizzato la

fornitura di ingenti quantitativi di armi e munizioni provenienti dal Libano e poi introdotte in

Italia da Mario Moretti e altri esponenti delle Brigate rosse, in seguito detenute dalla colonna

veneta della medesima organizzazione che le aveva infine messe a disposizione, in territorio

italiano, dell’OLP. Il ricorso alla Suprema Corte riguarda, 10 PARTE I I, § 1.3. con riferimento

ad Arafat, la pretesa violazione dell’art. 3 c.p. in quanto il mandato sarebbe lesivo

dell’inviolabilità personale, quale attributo della immunità dall’esercizio della giurisdizione

italiana, che spetterebbe all’imputato trattandosi di presidente di un ente avente soggettività di

diritto internazionale. La Corte, nel negare tale immunità, ha ritenuto di delineare i caratteri

dell’OLP in relazione al diritto internazionale.

Ora è noto che il diritto internazionale riconosce come Stati soltanto quegli enti che, in piena

indipendenza, esercitano il proprio potere di governo effettivo nei confronti di una comunità

stanziata su di un territorio, onde è da ritenersi principio acquisito che la sintesi statutaria debba

essere espressa dalla triade popolo-governo territorio e che richieda, quindi, necessariamente che

la componente della popolazione e l’apparato di governo da essa espressa ricadano su un luogo

di esercizio di tale governo e dell’attività dei soggetti. Da ciò resta escluso che l’OLP possa

costituire un’organizzazione sovrana, che equivalga al tipo statuale, perché […] nella stessa

difetta il requisito della sovranità territoriale, non surrogato da forme di controllo sui campi

profughi, che si esercitano pur sempre con il consenso e sotto la sovranità dello Stato che li

ospita. D’altronde, come è pressoché unanimemente riconosciuto dalla dottrina e come

testimoniato dalla prassi degli Stati, i “movimenti di liberazione nazionali” – tra cui è ricompresa

l’OLP – godono di una limitata soggettività internazionale. Agli stessi è riconosciuto un locus

standi all’interno della comunità internazionale al fine limitato di discutere su basi di perfetta

parità con gli Stati territoriali i modi e i tempi dell’autodeterminazione dei popoli da loro

politicamente controllati, in applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, ritenuto

norma consuetudinaria a carattere cogente. Così si spiega l’ammissione dell’OLP ai lavori in

seno alle Nazioni Unite, certamente non in qualità di membro, ma neppure di semplice

osservatore, bensì per trattare appunto questioni inerenti l’autodeterminazione del popolo

palestinese negli organismi a ciò deputati. La limitata soggettività internazionale trova conferme

anche nelle informazioni acquisite presso il Ministero degli Affari esteri circa i rapporti tenuti

dalla Repubblica italiana con l’organizzazione in argomento, dalle quali risulta: a) che tali

rapporti, sebbene siano regolari ed abbiano raggiunto i più alti livelli – in quanto il presidente

dell’OLP è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica e si è intrattenuto con il Presidente del

Consiglio e, in più occasioni, con il Ministro degli Affari esteri – mantengono un “carattere

formale diverso da quello di normali rapporti tra Stati”; b) che l’OLP “pur essendo un’entità

largamente rappresentativa delle istanze del popolo palestinese, non riveste (almeno nella fase

attuale) le caratteristiche proprie di una organizzazione statuale; caratteristiche che sono

generalmente richieste ai fini di un riconoscimento formale”; c) che all’ufficio dell’OLP

costituito in Roma dal 1974 “non è riconosciuto uno status diplomatico in senso stretto, ma, in

pratica, si è fatto in modo che i direttori dell’ufficio fossero ammessi a godere di tale status

consentendo che essi fossero accreditati da parte di una della ambasciate arabe presenti nella

capitale tra i membri del proprio personale”. Quest’ultimo dato, confermando che l’OLP non ha

nei confronti dello Stato italiano il diritto di legazione attivo e passivo, né in forza del diritto

internazionale generale, né in base ad una norma di diritto internazionale pattizio, è

particolarmente significativo ai fini del presente ricorso, data la generale corrispondenza

nell’ordinamento dello Stato accreditatario tra l’immunità dell’agente diplomatico e quella

(storicamente modellata sulla prima) del capo dello Stato estero accreditato. Inconferente a tal

riguardo è poi il richiamo ad un riconoscimento, sia esso de iure o de facto, di tale

organizzazione concesso da qualche governo statale. È da negare, infatti, al riconoscimento del

valore costitutivo della personalità internazionale, appartenendo esso alla sfera della politica e

risultando quindi privo di conseguenze sul piano giuridico. Accertato che l’OLP non presenta,

almeno nella fase attuale, le caratteristiche proprie di uno Stato per cui a favore del suo capo non

può essere invocata la norma internazionale consuetudinaria che assicura ai capi di Stato

l’inviolabilità personale e l’immunità dalla giurisdizione penale, resta da accertare se i privilegi

assicurati ai capi di Stato possano attribuirsi ad Arafat in virtù della particolare soggettività

internazionale riconosciuta all’OLP. La risposta non può che essere negativa. (omissis) La

garanzia delle immunità a favore dei capi di Stato e di governo stranieri è, infatti, conseguente

esclusivamente alla personalità internazionale completa dell’ente rappresentato.

b) Cass. penale 17 settembre 2004 n. 49666 (Djukanovic)

Milo Djukanovic, in quel momento Presidente del consiglio dei ministri della Repubblica di

Montenegro, veniva indagato per i reati di associazione a delinquere finalizzata

all’importazione ed al traffico di tabacchi lavorati esteri di contrabbando e di concorso in più

episodi di contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Nei suoi confronti, il pubblico ministero

presso il Tribunale di Napoli chiedeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in

carcere. Il giudice per le indagini preliminari rigettava detta richiesta con la motivazione che

l’indagato godeva dell’immunità dalla giurisdizione penale in quanto capo di governo del

Montenegro. Il Tribunale di Napoli confermava la decisione del giudice per le indagini

preliminari, riconoscendo alla Repubblica di Montenegro, Stato membro dello Stato unione di

Serbia e Montenegro, una piena autonomia governativa, in considerazione del fatto che

ciascuno dei governi degli Stati membri dello Stato unione poteva stipulare separatamente

alcuni accordi internazionali, mentre non ravvisava la sussistenza delle esigenze cautelari. Nel

ricorso per cassazione, il pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli escludeva che il

Djukanovic potesse godere dell’immunità dalla giurisdizione in quanto il Montenegro non

poteva essere qualificato come Stato sovrano e indipendente, dal momento che solo lo Stato

unione possedeva la personalità giuridica internazionale. Il pubblico ministero deduceva come

secondo motivo di ricorso l’esistenza di esigenze cautelari in virtù dei pericoli di reiterazione

delle condotte contestate, di persistenza dell’attività criminale e di inquinamento probatorio,

nonché in considerazione della peculiare posizione istituzionale dell’indagato. La Corte, per

decidere del primo motivo di ricorso che è qui rilevante, ha dovuto in via preliminare verificare

il rispetto dei requisiti costitutivi della soggettività internazionale da parte del Montenegro.

È pacifica l’esistenza di una norma di diritto internazionale che assicura ai Capi di Stato, ai Capi

di Governo ed ai Ministri degli Esteri di uno Stato sovrano la inviolabilità personale, ossia la

sottrazione a tutti i provvedimenti limitativi della libertà personale, nonché la immunità dalla

giurisdizione penale per qualsiasi attività essi pongano in essere, nell’esercizio o meno delle loro

funzioni. La ratio di tale norma viene individuata nella considerazione che tali misure

costituirebbero un impedimento a svolgere le funzioni ufficiali, dato che queste necessariamente

comportano frequenti viaggi ufficiali all’estero. La inviolabilità e l’immunità, peraltro, spettano

anche nella ipotesi in cui i suddetti organi istituzionali si trovino nel territorio del proprio Stato e

non in quello dello Stato estero che emana l’atto autoritativo. La norma internazionale prevede

tuttavia che la inviolabilità e la immunità si applichino sempre che l’ente sia qualificabile come

organizzazione sovrana, equivalente, per requisiti di struttura, componenti personali e spaziali e

per connotati di effettività, al tipo statuale. Si richiede cioè che sia presente la triade popolo-

governo-territorio e, quindi, necessariamente che la componente della popolazione e l’apparato

di governo da essa espresso ricadano su un luogo di esercizio di tale governo e della attività dei

soggetti (Sez. I, 28 giugno 1985, Yasser Arafat, m. 170.210). La norma internazionale in

questione è una norma di fonte consuetudinaria, e quindi, trattandosi di una norma di diritto

internazionale generale, entra a far parte automaticamente dell’ordinamento giuridico italiano ed

è in esso immediatamente efficace in forza del rinvio disposto dall’art. 10, primo comma, Cost. e

rende operante, per i casi da essa previsti, la deroga alla sottoposizione alla legge penale italiana

stabilita dall’art. 3 cod. pen. Secondo una risalente decisione di questa Suprema Corte, in gran

parte condivisa dalla dottrina, perché un ente di diritto internazionale possa poi dirsi sovrano, con

la conseguenza della immunità dalla giurisdizione penale per i suoi vertici istituzionali e per il

suo ministro degli esteri, occorre che esso abbia la cosiddetta capacità giuridica internazionale,

cioè sia riconosciuto dagli altri Stati come pari e indipendente, sia titolare di un potere di

disposizione relativamente ai prop

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A.A. 2024-2025
19 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher NicoRF045 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Mainetti Vittorio.