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Non sono menzionati dall’articolo 38 dello Statuto della CIG: gli atti giuridici unilaterali
sono manifestazione di volontà da parte di un soggetto alle quali il diritto internazionale
ricollega effetti giuridici corrispondenti alla volontà manifestata. Esistono delle norme
internazionali di natura pattizia o consuetudinaria che ricollegano ad alcune manifestazioni
unilaterali di volontà degli effetti giuridici. Atti unilaterali tipici sono: la dichiarazione di
guerra, il riconoscimento, la rinuncia, le denuncia e il recesso, la notifica o la protesta. Ad
essi si aggiunge anche la promessa, che merita un discorso a parte. Tutti questi atti danno non
origine a nuove norme giuridiche ma hanno comunque degli effetti giuridici che sono
contemplati da norme di diritto internazionale.
● La protesta è una dichiarazione unilaterale con la quale si manifesta opposizione a un
atto di un altro Stato. La conseguenza è il non riconoscimento da parte dello Stato che
ha sollevato la protesta dell’atto dell’altro Stato;
● Il riconoscimento è un atto unilaterale con cui si considera legittima una determinata
situazione e ciò implica l’impedimento di una contestazione successiva;
● La rinuncia è l’abbandono volontario di un diritto e deve essere espresso in forma
chiara e volontaria (anche tacita);
● La notifica è l’atto con cui uno Stato informa un altro Stato che una certa azione è
stata compiuta; ciò implica che gli altri Stati non possano comportarsi come se tale
azione non fosse stata notificata;
La promessa unilaterale è l’unico atto da cui discendono obblighi internazionali in senso
proprio. È una dichiarazione con cui uno Stato si impegna ad adottare un certo
comportamento, indipendentemente dalla condotta di altri Stati. I requisiti sono che: sia fatta
da un soggetto competente ad esprimere la volontà dello Stato; sia contenuta in una
dichiarazione pubblica; sia espressione della volontà di assumere un obbligo;
Le fonti previste da accordi sono trattati che istituiscono procedimenti di produzione
giuridica. Sono regole vincolanti per i membri dell’organizzazione e con voto normalmente a
maggioranza
➔ Un esempio sono i regolamenti, le direttive e le decisioni dell’Unione Europea.
La soft law è costituita da parametri, impegni, dichiarazioni congiunte, dichiarazioni d’intenti
o politiche, risoluzioni di OI che non sono vincolanti. Indicano e costituiscono tendenze
emergenti nella comunità internazionale, nuovi interessi di quest’ultima e sono propedeutiche
alla formazione di norme consuetudinarie o alla stipulazione di trattati. Talvolta si tratta
anche di strumenti interpretativi o indici dell’esistenza di una norma consuetudinaria.
Le norme di ius cogens sono norme fondamentali dell’ordinamento internazionale,
inderogabili. Sono “norme internazionali così essenziali per la tutela degli interessi
fondamentali della comunità internazionale che la loro violazione è riconosciuta come un
crimine dalla comunità internazionale nel suo complesso”. Questa nozione fu già tratteggiata
da alcuni studiosi già nel XVIII secolo, come ius naturae o ius necessarium. Fu promossa
negli anni ‘60 da Paesi in via di sviluppo, come argine al colonialismo, e paesi del blocco
socialista, come strumento per rafforzare la coesistenza tra Est e Ovest. Fu recepita nella
Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969, cristallizzandosi nel diritto
consuetudinario. Nella disciplina della Convenzione di Vienna, è definito come norma
accettata e riconosciuta come inderogabile dalla comunità degli Stati nel suo complesso. È
modificabile solo da norma successiva della stessa natura e nuovi trattati contrari a una norma
di ius cogens sono nulli (la nullità è invocabile solo da Stati che siano parte del trattato in
questione). In caso emerga una nuova forma di ius cogens, i trattati contrari a essa divengono
nulli e si estinguono. Si ha giurisdizione obbligatoria della CIG (salvo arbitrato) per le
controversie sull’esistenza e l'interpretazione di norme di ius cogens.
La disciplina consuetudinaria però, a differenza di quella convenzionale, è applicabile anche
a Stati che non abbiano ratificato la Convenzione di Vienna. La nullità di un nuovo trattato è
invocabile anche da Stati che non sono parte del trattato in questione ed è possibile che sia
dichiarata la nullità delle sole disposizioni contrarie allo ius cogens, lasciando intatto il resto
del trattato. Non si ha giurisdizione obbligatoria della CIG in caso di controversie.
Una norma di ius cogens è accettata e riconosciuta come norma imperativa dalla comunità
internazionale nel suo complesso, e in tal caso si ha scarsa rilevanza del fattore dell’usus.
Tuttavia, nessuna fonte contiene un elenco esaustivo delle norme di ius cogens esistenti e si
ha la mancanza di una prassi giurisprudenziale sulla nullità di un trattato per contrarietà a
norme di ius cogens. Sono tradizionalmente considerati norme di ius cogens:
- Divieto dell’uso della forza armata;
- Proibizione della tortura;
- Principi fondamentali del diritto internazionale umanitario;
- Diritto di accesso alla giustizia;
Parlando di ius cogens, quindi, abbiamo parlato di una mancata applicazione come causa di
nullità dei trattati, ma quest’ultimo funge comunque da guida: in negativo con funzione
deterrente e preventiva, in positivo come parametro dell’ordine pubblico internazionale. In
materie diverse dalla nullità dei trattati si ha:
➢ Divieto di procedere al riconoscimento di nuovi Stati formatisi in violazione di norme
di ius cogens.
➢ Inammissibilità di riserve ai trattati che siano contrarie a norme cogenti;
➢ Divieto di procedere all’adempimento di un trattato se tale adempimento comporta la
violazione di una norma di ius cogens.
➢ Limite alla discrezionalità del CdS delle Nazioni Unite;
➢ Limite all’immunità degli Stati dalla giurisdizione estera;
➢ Attribuzione della giurisdizione penale universale per la repressione di crimini
internazionali, giacché proibiti da norme cogenti;
➢ Nullità delle norme domestiche contrarie a norme di ius cogens.
La consuetudine internazionale e la sua codificazione
“La consuetudine può definirsi come la ripetizione di un comportamento da parte degli Stati,
accompagnato dalla convinzione che tale comportamento sia conforme al diritto”. Si tratta
una fonte di norme non scritte, di una fonte - fatto, cioè di un fatto idoneo a produrre norme
giuridiche. Sono norme di formazione spontanea e diretta espressione della società
internazionale. È menzionata dall’articolo 38 dello Statuto della CIG come “Prova di una
pratica generale accettata come Diritto”. Sta fuori da un processo formalizzato:
- Effetto secondario della condotta degli Stati nelle relazioni internazionali;
- Creazione inconsapevole e involontaria secondo Kelsen;
- Formazione spontanea secondo la Scuola italiana;
Secondo la Teoria volontaristica, in passato la consuetudine era come un accordo tacito tra le
parti: era prassi come prova dell’esistenza della volontà inespressa. Questo concetto era
basato sull’idea che una norma giuridica debba necessariamente discendere dalla volontà di
uno o più soggetti, ma il problema è che sarebbe rimasto comunque difficile provare
l’universalità della consuetudine.
La consuetudine richiede la presenza di due elementi:
1. Elemento oggettivo o materiale: esistenza di una prassi generalizzata e diffusa. In
particolare si fa riferimento al comportamento degli Stati interessati dalla norma.
Comportamenti difformi possono addirittura confermarne l'esistenza, se percepiti
come violazioni della norma o accompagnati da giustificazioni. È determinante
laddove esistono interessi contrastanti.
2. Elemento soggettivo o psicologico: convenzione da parte degli Stati che quella prassi
corrisponda a diritto o sia dettata da necessità sociali. All’inizio il comportamento è
percepito come doveroso per esigenze politiche, economiche o sociali.
Successivamente, in assenza di significative opposizioni, tale prassi è percepita come
imposta dall’esistenza di un obbligo giuridico => formazione della norma
consuetudinaria. È determinante laddove esistono esigenze logiche o morali.
➔ D’altro canto, è piuttosto artificioso distinguere i due elementi, che spesso sono
strettamente legati tra di loro.
Si tratta della cosiddetta dottrina dei due elementi. La sua ambizione è spiegare come si
forma la consuetudine internazionale. In realtà di tratta di un metodo utile alla rilevazione e
all’identificazione della consuetudine. Si tratta di un metodo euristico, che ha un valore più
pedagogico che non rigorosamente scientifico.
Per quanto riguarda il fattore tempo, non è per forza necessario che ne passi molto: è
importante la densità e la frequenza della prassi. Tanto più breve sarà il tempo, quanto più
diffusa e uniforme dovrà essere una certa prassi.
Possibili elementi di prova dell’esistenza di una consuetudine sono:
- Qualsiasi comportamento dello Stato;
- Documenti diplomatici degli Stati;
- Posizioni espresse dagli Stati in seno a conferenze multilaterali;
- Interventi volontari degli Stati;
- Giurisprudenza internazionale;
- Legislazione e giurisprudenza nazionali;
- Trattati internazionali;
La Teoria dell’obiettore persistente andava a individuare uno Stato che, sin dall’inizio, si
oppone in maniera persistente e inequivocabile alla formazione della norma consuetudinaria.
È una teoria ad oggi superata siccome la consuetudine vincola tutti i soggetti, inclusi quelli
che non abbiano partecipato alla sua formazione, e perché sarebbe impraticabile esaminare
l’atteggiamento di tutti gli Stati. Le consuetudini locali o particolari sono operanti solo nei
rapporti reciproci tra Stati di una determinata area geografica. Può esserci anche solo tra due
Stati e deve essere accettata da tutte le parti interessate. L’onere della prova della sua
esistenza è in capo allo Stato che la invoca.
La perdurante importanza della consuetudine si trova soprattutto nelle aree in cui si delineano
nuovi interessi economici (Diritto del mare), o in settori in cui vi sono marcati conflitti
politici e istituzionali. Si tratta di una fonte di produzione giuridica che consente l’esistenza
di un quadro normativo unitario per l’ordinamento giuridico internazionale.
La Codificazione è la messa per iscritto delle norme che per natura sono non scritte. Ci sono
tre tipi di codificazione:
1. La codificazione scientifica (o dottrinale): un aut