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CAPITOLO 7 “LE FONTI DELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
Caratteri generali.
L’ordinamento giuridico dell’unione è riconducibile ad una pluralità di fonti. In posizione primaria si pongono il
trattato sull’Unione Europea e il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, i quali hanno il medesimo
valore giuridico. Sullo stesso piano di fonte primaria del diritto dell’unione si collocano i protocolli e gli allegati
ai trattati i quali “ne costituiscono parte integrante“.
Le dichiarazioni allegate ai trattati hanno, invece, valore essenzialmente interpretativo. Come la corte ha
riaffermato costituiscono inoltre disposizioni di diritto primario quelle contenute negli accordi di adesione con
nuovi membri, nonché le disposizioni contenute nei relativi atti di adesione. Gli stessi trattati, in particolare il
trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, prevedono, inoltre, un sistema di fonti, rappresentate dagli atti
obbligatori che le istituzioni europee hanno il potere di emanare; tali fonti, (regolamenti, direttive, decisioni)
sono dette di diritto derivato, o secondario, dell’unione e danno vita alla cosiddetta legislazione dell’unione.
Fra i trattati e le fonti di diritto derivato dell’unione sussiste un sicuro rapporto gerarchico, nel senso che le
seconde sono subordinate ai primi. Questa subordinazione deriva anzitutto dai principi generali concernenti i
rapporti fra i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali e le fonti da essi previste; questi fonti, di regola,
non possono modificare o abrogare le disposizioni contenute nei trattati istitutivi. Riguardo all’Unione Europea
la subordinazione delle fonti di diritto derivato risulta espressamente dall’art. 263, secondo comma, TFUE, il
quale pone tra le cause di invalidità degli atti dell’unione, suscettibili di determinare il loro annullamento, la
“violazione dei trattati“. È evidente, quindi, la validità e l’efficacia degli atti dell’unione, costituenti fonti di diritto
derivato, sono subordinate al rispetto dei trattati e che questi si pongono a un rango gerarchicamente
sovraordinato nei confronti di tali atti. Alla luce della giurisprudenza della corte di giustizia è da ritenere che il
rango subordinato degli atti europei comporti un dovere di interpretarli in armonia con i trattati e, in
particolare, con i diritti fondamentali e principi generali del diritto dell’unione.
Meno nitido è il quadro generale del sistema delle fonti dell’ordinamento dell’unione. Anzitutto, infatti, non
esiste, di regola, una gerarchia tra le fonti di diritto derivato, salvo il caso di atti delegati di portata generale e
di atti che siano esecutivi di un altro, i quali sono subordinati, rispettivamente, all’atto legislativo contenente la
delega e all’atto vincolante attributivo alla commissione (o al consiglio) della competenza di esecuzione. Così
non è possibile rinvenire alcun rapporto gerarchico tra gli atti tipici dell’unione (regolamenti, direttive,
decisioni), i quali vanno posti sul medesimo piano.
Parimenti i trattati non consentono di operare alcuna distinzione, quanto alla loro forza giuridica, tra atti
adottati con la procedura legislativa ordinaria, atti adottati con procedure legislative speciali e atti emanati dal
consiglio senza neppure l’obbligo di consultare il parlamento europeo.
In secondo luogo, il sistema del diritto dell’unione si arricchisce con una serie di altre fonti, quali gli accordi
conclusi dall’unione con stati terzi o organizzazioni internazionali, il diritto internazionale generale e i principi
generali del diritto dell’Unione . È compito dell’interprete individuare il loro rango all’interno dell’ordinamento
dell’unione e si tratta di un compito non agevole.
I trattati sull’Unione europea e sul funzionamento dell’Unione europea.
Riguardo ai trattati essi, da un punto di vista formale, sono accordi internazionali soggetti, in principio, alle
regole di diritto internazionale generale concernenti la conclusione, la validità, l’efficacia, l’interpretazione dei
trattati. È frequente, tuttavia, nella giurisprudenza della corte di giustizia l’affermazione secondo la quale tali
trattati rappresentano la “costituzione“ dell’unione. Il carattere costituzionale dei trattati relativi all’Unione
Europea, peraltro, è accentuato perché, come la corte ha affermato sin dalla celebre sentenza del 5 febbraio
1963, causa Van Gend en Loos, essi hanno dato vita a un ente sopranazionale a favore del quale gli Stati
membri hanno rinunciato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani e il cui ordinamento giuridico
riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini.
I caratteri propri dei suddetti trattati si riflettono principalmente sulle regole interpretative degli stessi.
Abbiamo già osservato, anzitutto, che nella giurisprudenza della corte di giustizia si è imposta
un’interpretazione particolarmente ampia per quanto attiene ai poteri dell’unione. Si deve aggiungere che la
corte ha affermato anche un metodo storico, o evolutivo, di interpretazione, dichiarando che le norme
appartenenti al diritto dell’unione vanno interpretate tenendo conto dello stadio di evoluzione di tale diritto.
Sul piano interpretativo va ricordato, inoltre, che il diritto dell’unione deve essere interpretato in maniera
uniforme, nell’intera area europea e autonoma, rispetto al significato che una sua disposizione potrebbe avere
nel diritto di uno Stato membro.
Nel quadro di una concezione costituzionale dei trattati è stata adombrata la possibilità di individuare taluni
principi “super costituzionali“, i quali non sarebbero modificabili neppure mediante il procedimento di cui
all’articolo 48 TUE.
Alla luce di tali pronunce i “valori” di cui all’attuale art. 2 TUE e i principi sulle competenze della corte di
giustizia dell’Unione Europea vengono a collocarsi in una posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto al
complesso delle disposizioni dei trattati. Questa posizione avrebbe la conseguenza di precludere, da un lato,
ogni modifica dei trattati, dall’altro, l’applicazione di accordi internazionali preesistenti, che possano
pregiudicare i valori e i principi in questione.
Si deve aggiungere che, quale che sia l’opinione in merito al riconoscimento di principi “supercostituzionali“,
non vi è dubbio che, nella misura in cui coincidessero con norme inderogabili del diritto internazionale
generale (ius cogens), essi non sarebbero in alcun modo modificabili, pena la nullità delle disposizioni
eventualmente adottate mediante tali procedimenti.
L’efficacia diretta delle disposizioni dei trattati.
Dalla configurazione, dei trattati come istitutivi di un ordinamento giuridico che riconosce quali soggetti anche
gli individui discende che le loro disposizioni sono idonee ad attribuire a questi ultimi diritti soggettivi. Qualora
tali disposizioni abbiano un contenuto chiaro, preciso e incondizionato esse sono munite di efficacia diretta (o
di effetti diretti, come pure si usa dire nella giurisprudenza e in dottrina). Tale efficacia implica che le suddette
disposizioni attribuiscano agli individui diritti che essi possono esercitare nell’ambito dell’ordinamento degli
Stati membri e per la cui tutela possono agire in via giudiziaria dinanzi ai tribunali statali. L’attribuzione di
questi diritti avviene in maniera diretta e automatica, a prescindere dalla volontà dello Stato membro
interessato.
L’attribuzione diretta e immediata diritti, esercitabile, se necessario, dinanzi ai giudici nazionali, fu riconosciuta
per la prima volta nel citato caso Van Gend en Loos. In quel caso si poneva la questione se l’articolo 12 del
trattato sulla comunità economica europea, comportante il divieto di introdurre nuovi dazi doganali o tasse di
effetto equivalente nel commercio tra gli Stati membri e di aumentarli, attribuisse ai singoli dei diritti
soggettivi che il giudice nazionale avesse il dovere di tutelare.
La corte respinse, l’argomento secondo il quale, in caso di violazione di un obbligo derivante dai trattati da
parte di uno Stato membro, si sarebbe dovuta esperire la procedura di infrazione dinanzi alla corte di giustizia
da parte della commissione o di un altro Stato membro, non già un’azione giudiziaria dei singoli dinanzi ai
giudici statali.
Come si vede, l’efficacia diretta rappresenta non solo un mezzo per rafforzare la tutela dei singoli, i quali non
sono legittimati a promuovere un giudizio di infrazione a livello giudiziario europeo, in caso di violazione dei
propri diritti da parte degli Stati membri; ma anche uno strumento ulteriore di garanzia di rispetto del diritto
dell’unione, nell’interesse della stessa unione europea.
La giurisprudenza successiva si è costantemente conformata al fondamentale indirizzo segnato dalla sentenza
esaminata.
È appena il caso di precisare che l’efficacia diretta può essere riconosciuta non solo alle disposizioni dei
trattati, formalmente intesi, ma anche a quelle degli atti a essi equiparati, a cominciare dalla carta dei diritti
fondamentali.
Naturalmente, determinare se una disposizione dei trattati abbia efficacia diretta è questione interpretativa,
che riguarda non solo il contenuto chiaro, preciso e incondizionato della disposizione, ma anzitutto la sua
idoneità a conferire diritti soggettivi dei singoli. Sotto questo profilo, peraltro sin dalla sentenza Van Gend en
Loos la corte ha più volte chiarito che il fatto che una disposizione si diriga formalmente agli Stati membri,
imponendo loro un obbligo, non esclude affatto che essa attribuisca un corrispondente diritto ai singoli.
L’efficacia diretta che, alle condizioni di un contenuto chiaro, preciso e incondizionato, va riconosciuta alle
disposizioni dei trattati merita di essere tenuta distinta da un altro concetto giuridico proprio del diritto
dell’unione: quello di applicabilità diretta. Quest’ultima esprime il carattere, proprio di numerose disposizioni
dei trattati, di essere applicabili all’interno degli Stati membri senza bisogno di alcun atto statale di esecuzione
o di adattamento. Anche essa dipende dal contenuto “autosufficiente“ della disposizione, dalla circostanza,
cioè, che essa abbia un contenuto chiaro, preciso e incondizionato, ma tende a mettere in luce una qualità
della norma, la non necessità, cioè, di un provvedimento statale di attuazione. L’efficacia diretta, invece, pone
in evidenza il profilo soggettivo, concernente il diritto dei singoli nascente da una norma siffatta e la sua
azionabilità immediata dinanzi ai giudici nazionali.
L’efficacia diretta di una disposizione dei trattati opera anzitutto nei rapporti tra i singoli e gli Stati membri