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CAPITOLO III - MERCATO DEL LAVORO E COSTITUZIONE DEL RAPPORTO
A) Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro
1. L’evoluzione della normativa: dal vincolismo alla liberalizzazione
In Italia, fino agli anni 1996-1997 l’intervento pubblico sul mercato del lavoro si è tradotto in un’attività
di collocamento della manodopera, cioè di mediazione fra domanda e offerta di lavoro, gestita in modo
accentrato, burocratico e inefficiente; con l’affacciarsi del terzo millennio, il legislatore ha compiuto un
cambio di rotta e l’intervento pubblico si è spostato dal mero collocamento ai cosiddetti servizi per
l’impiego, intendendosi per tali oltre alla mera attività di mediazione anche le politiche attive. Vi è una
duplice tendenza evolutiva: la prima, incentrata sul monopolio pubblico e statale, e successivamente
basata sulla liberalizzazione e sul decentramento. Nella fase pre corporativa l’attività di mediazione fra
domanda e offerta di lavoro svolta contemporaneamente da agenzie private con finalità lucrativa,
associazioni sindacali, strutture statali e comunali. Nella fase successiva, quella corporativa, venne
istituito in Italia il monopolio pubblico del collocamento con il conseguente divieto di mediazione 10
 privata anche se gratuita; l’attività di collocamento, cui fu attribuita la natura di funzione pubblica,
poteva essere esercitata solo da organi periferici dello Stato corporativo.
Il legislatore repubblicano si pose nello stesso solco tracciato nel periodo fascista: la legge Fanfani si
fondava, infatti, su tre pilastri, rimasti in piedi fino agli anni 1996-1997: monopolio pubblico (era
ammesso solo l’intervento pubblico nel mercato del lavoro con l’esclusione di soggetti privati); gestione
statale accentrata (la gestione dell’attività era svolta unicamente dagli uffici periferici del ministero del
lavoro senza la partecipazione di regioni, province e comuni); natura vincolistica (per l’assunzione di
manodopera inoccupata o disoccupata era obbligatoria l’iscrizione dei lavoratori nelle liste di
collocamento all’uopo previste, nonché la richiesta da parte del datore di lavoro all’ufficio competente
dell’avvio di un certo numero di lavoratori, la chiamata numerica, iscritti nelle predette liste e in
possesso di determinati requisiti professionali). La rigidità di tale legge e la moltiplicazione dei
collegamenti speciali hanno col tempo portato il legislatore a ripensare le regole e gli strumenti di
gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Da allora, molte riforme si sono succedute in
questa materia e a destabilizzare il sistema tradizionale contribuì, dapprima, la generalizzazione della
regola della chiamata nominativa e, successivamente, l’introduzione della regola dell’assunzione diretta
con la definitiva eliminazione del vincolismo nelle modalità di assunzione. Tuttavia, fino alla prima
metà del 1997, restarono formalmente in vigore gli altri due pilastri del sistema tradizionale del
collocamento: il monopolio pubblico e la gestione statale accentrata, il cui smantellamento avvenne ad
opera del decreto Montecchi delle 1997. Due nuovi principi si sostituirono i pilastri tradizionali: quello
del decentramento amministrativo di funzioni e compiti dello Stato alle regioni, applicazione del
principio di sussidiarietà verticale e quello della liberalizzazione controllata dell’attività di mediazione
tra domanda e offerta di lavoro, in un’ottica di sussidiarietà orizzontale. Si verificò un profondo
cambiamento nella struttura organizzativa del mercato del lavoro, tale da permettere una forte dose di
decentramento e di semplificazione dei procedimenti, una delegificazione e destandardizzazione delle
regole.
Nel nuovo millennio l’intervento pubblico della mediazione tra domanda e offerta di lavoro resta
comunque molto importante pur avendo perso la sua connotazione di attività amministrativa
autoritativa, essendosi trasformato in un servizio comportante l’esercizio di poteri giuridici. La
definitiva consacrazione del decentramento del principio di sussidiarietà verticale è avvenuto a seguito
della riforma del titolo V, parte II della Costituzione. Il testo novellato dell’art. 117 Cost. comporta
l’attribuzione alle regioni di potestà legislativa concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
Delle ipotesi in dottrina, la dominante è stata quella minimalista tesa a ridimensionare l’impatto sul
diritto del lavoro della potestà legislativa delle regioni, accolta dal CNEL ed è stata prescelta anche dalla
corte costituzionale per respingere quasi tutte le censure di costituzionalità sollevate dalle regioni. A
fronte di una frammentazione regionale, la garanzia di uniformità di prestazioni a livello nazionale
prevista dalle norme che attribuiscono allo Stato sia la determinazione dei principi fondamentali nelle
materie di legislazione concorrente delle regioni l’azione esclusiva nella determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale; nonché dal potere sostitutivo del governo nei confronti delle regioni e degli enti
locali esercitabile nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
La riforma Fornero si occupa di servizi per l’impiego e politica attiva per il lavoro, da un lato,
implementando livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti dalle regioni degli altri
enti territoriali per chi cerca un impiego; dall’altro, promuovendo un completo scambio delle
informazioni tra INPS e centri per l’impiego al fine di effettuare un costante monitoraggio di quanto
accade nel mercato del lavoro, cioè di potenziare in modo mirato le politiche attive e l’azione dei servizi
per l’impiego.
Il governo Renzi rivoluzionò in senso importante l’organizzazione e la disciplina del mercato del lavoro
operando un accentramento delle competenze in capo al ministero del lavoro, valorizzando relazione
con i soggetti privati accreditati comprimendo le competenze e le funzioni delle regioni e province
autonomi di Trento e Bolzano. Tuttavia, l’attuazione del nuovo assetto normativo ha subito una battuta
d’arresto a seguito dell’esito negativo del referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale
(la c.d. Renzi-Boschi), che collocava, tra le competenze esclusive statali, la tutela e sicurezza del lavoro
nonché le politiche attive del lavoro.
2. L’intervento pubblico nel mercato del lavoro
La logica che ha mosso il legislatore dalla fine del secolo scorso è stata quella di una rinnovazione di una
complessa struttura dell’organizzazione amministrativa volta all’erogazione di un servizio qualificato in
favore dei datori di lavoro e dei lavoratori, puntando sul decentramento nella gestione e ammettendo i
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 privati ad operare non solo in concorrenza ma anche in collaborazione con le strutture pubbliche per
creare degli efficienti “servizi per l’impiego”.
Il d.lgs. 468/1997 ha conferito alle Regioni e alle Province funzioni e compiti relativi al collocamento
e alle politiche attive del lavoro, imponendo la creazione di un sistema di servizi regionali/provinciali
per l’impiego —> è venuto meno il pilastro della natura pubblico-statale della gestione del
collocamento.
L’intervento pubblico nei mercati del lavoro locali si è tradotto in una duplice presenza
caratterizzata, da un lato, da un ruolo di regia, coordinamento e programmazione svolto dalle regioni in
materia di politica attiva del lavoro, dall’altro, da un ruolo di gestione ed erogazione dei servizi per
l’impiego e delle funzioni burocratiche ricoperto dalle Province, da esercitarsi per il tramite delle loro
articolazioni periferiche sparasse sul territorio, i “centri per l’impiego”.
La riforma Biagi del 2003 ha poi inciso sull’organizzazione del mercato del lavoro; da un lato,
introducendo un unico regime di autorizzazione per i soggetti privati che svolgono attività di
somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla
ricollocazione professionale e, dall’altro, stabilendo i principi generali per la definizione dei regimi di
accreditamento regionali degli operatori pubblici e privati che forniscono servizi al lavoro nell’ambito
dei sistemi territoriali di riferimento. Inoltre, la riforma ha definito principi e criteri direttivi per la
realizzazione di una “borsa continua del lavoro”, portare liberamente accessibile da parte dei
lavoratori delle imprese e consultabile da un qualunque punto della rete, in cui gli operatori pubblici e
privati hanno l’obbligo di conferire dati acquisiti.
Con la c.d. riforma Fornero del mercato del lavoro, l.n. 92 del 2012, interviene sull’art. 3 del d.Lgs.
N. 181/2000 al fine di individuare i livelli essenziali delle prestazioni che i centri per l’impiego e gli altri
soggetti autorizzati accreditati devono garantire a tutti disoccupati su tutto il territorio dello Stato, al
fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
L’aumentata sfiducia verso le capacità delle regioni di intervenire adeguatamente nei mercati di lavoro
locali al fine di favorire l’incontro tra domanda offerta, di realizzare misure di politica attiva del lavoro e
di incentivare l’inserimento dei disoccupati di soggetti svantaggiati nel mercato, conducono il governo
Renzi ad una inversione di marcia, con la sostanziale acquiescenza delle regioni, che hanno
sostanzialmente approvato il disegno di decreto legislativo poi promulgato il 14 settembre 2015 con
il n. 150 —> decreto che crea non pochi problemi nella concreta organizzazione disciplina del mercato
del lavoro nelle more del passaggio da un paradigma ad un altro e rimette al centro dell’organizzazione
del mercato del lavoro il ministero del lavoro, con funzioni di indirizzo politico, monitoraggio e
valutazione della gestione dei servizi per impiego e delle misure di politica attiva svolti da regioni privati
accreditati, nonché determinazione dei livelli essenziali su molti aspetti. Per una lunga serie di altri
compiti il ministero si avvale di un soggetto dotato di personalità giuridica, denominata “agenzia
nazionale per le politiche attive del lavoro” (ANPAL), cui vengono affidati molti compiti e
funzioni che in passato competevano alle regioni e alle province. Il ruolo delle regioni e delle PATB
diventa variabile: esse devono stipulare con il Ministero del Lavoro delle convenzioni finalizzate a
regolare i relativi rapporti e obblighi in relazione alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche
attive del lavoro nel territorio della regione o provincia autonoma, potendo anche prevedere che una
serie di compiti vengono gestit