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SEZ. I: DILIGENZA, OBBEDIENZA, FEDELTÀ

1. Diligenza

L’obbligazione principale del lavoratore consiste nello svolgimento dell’attività dedotta in contratto in base alle direttive

ricevute nell’ambito dell’orario di lavoro concordato, che misura il quantum della prestazione dovuta.

prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della

Ai sensi dell’Art. 2104, co.1 c.c., “il

prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa, e quello superiore della produzione nazionale”.

La diligenza rappresenta il criterio di misurazione della prestazione dovuta dal lavoratore, in quanto oggetto

dell’obbligazione lavorativa è la prestazione diligente; dall’altro lato, è indice dell’esattezza dell’adempimento della

stessa.

Il parametro alla cui stregua va valutata la diligenza è la natura della prestazione dovuta, incoerenza con quanto

disposto dall’Art. 1176, co.2 c.c, in base al quale, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività

professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.

Va condotto un giudizio di conformità della concreta prestazione svolta al modello astratto della prestazione dovuta

secondo le regole del settore tecnico-scienti co e specialistico che viene in considerazione, ma anche tenendo conto

delle variabili del contesto lavorativo in cui l’attività è svolta.

L’art. 2104, co. 1 c.c., quale parametro della prestazione dovuta e dell’esatto adempimento, fa riferimento anche

all’interesse dell’impresa e a quello superiore della produzione nazionale. Il riferimento all’interesse superiore della

produzione nazionale è da ritenersi abrogato con il venir meno del regime corporativo fascista, essendo congeniale al

controllo statuale dell’attività economica tipico di quell’ordinamento e incompatibile con la libertà di iniziativa

economica privata tipica dell’attuale ordinamento costituzionale.

Più controverso è il riferimento all’interesse dell’impresa, ed in particolare se, ancora una volta, essa sia da ritenere

collegato con le regole dell’ordinamento corporativo, quasi che evocasse un interesse dell’impresa come organizzazioni

istituzionale e dunque distinto rispetto all’interesse dell’imprenditore. Depurato delle sue scorie corporative, esso non è

stato ritenuto ultroneo, perché servirebbe a rendere speci co il parametro della diligenza, correlando ad una concreta

organizzazione e quindi al concreto interesse del creditore.

2. Il dovere di obbedienza

L’art. 2104 co. 2 c.c., sancisce che “il prestatore di lavoro deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la

disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

Il dovere di obbedienza, desunto da questa proposizione normativa, non costituisce un obbligo a sé, ma è conseguente

della posizione di soggezione giuridica del lavoratore (subordinazione chiusa a fronte del potere direttivo, previsto dallo

stesso articolo 2104 ed implicito della stessa de nizione di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., di cui è titolare il datore

di lavoro.

Secondo l’interpretazione prevalente, il dovere di obbedienza rappresenterebbe, insieme all’obbligo di diligenza, misura

della prestazione dovuta e criterio per valutare la correttezza dell’adempimento del prestatore di lavoro.

3. L’obbligo di fedeltà

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il prestatore di lavoro “ non deve trattare a ari, per conto

Art. 2105 c.c., che porta la rubrica “ obbligo di fedeltà”,

proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi

di produzione dell’impresa, o farne usi in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

La questione classica posta da questa norma dipende dalla sfasatura tra la rubrica della stessa, e il suo testo, che

prevede, non una generica e ampia disposizione obbligatoria di fedeltà, bensì due obblighi:

- obbligo di non concorrenza

- E obbligo di riservatezza.

Tali obblighi, secondo l’impostazione tradizionale, costituiscono speci cazione delle generali direttive della correttezza e

buona fede.

La dottrina prevalenti identi ca l’oggetto dell’obbligo di fedeltà nelle condotte contemplate dall’articolo 2105,

escludendo che condotte diverse possano essere ricondotte alla norma. Per contro, per la giurisprudenza, il richiamo

agli obblighi di non concorrenza e riservatezza sarebbe meramente esempli cativo di tutti quei comportamenti che, per

la loro natura e le loro conseguenze, contrastano con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura o

nell’organizzazione d’impresa o creano situazioni di con itto con le nalità e gli interessi dell’impresa. Di conseguenza,

anche condotte diverse da quelle indicate nell’articolo rientrerebbero nel contenuto dell’obbligo (ad es. L’esercizio da

parte del lavoratore del diritto di critica che, superando i limiti del rispetto della verità oggettiva, il decoro dell’impresa;

lo svolgimento di attività legale che comporti la cura, in sede giudiziaria o extra giudiziaria, di interessi di terzi in con itto

con quelli del datore di lavoro …)

L’obbligo di non concorrenza è più ampio del divieto di concorrenza sleale —> nel divieto di cui all’articolo 2105

sono ricomprese anche condotte concorrenziali perfettamente leali del lavoratore. Rientrano anche tra le

condotte vietate, pure quelle che sono produttive di danni anche solo solo potenziali.

L’obbligo di non concorrenza sussiste nel corso del rapporto di lavoro, venendo cessare al termine dello stesso.

È valido il patto di non concorrenza relativa a un periodo successivo alla cessazione del rapporto qualora esso risulti ad

atto scritto, sia pattuito un corrispettivo a favore del prestatore dei lavoro e il vincolo sia contenuto entro determinati

limiti di oggetto, tempo e luogo. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni se si tratta di dirigenti e a

tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce alla misura indicata.

L’altro obbligo sancito dall’articolo è di non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di

produzione dell’impresa, o farne usi in modo da poter recare ad essa pregiudizio —> obbligo di riservatezza.

Il problema fondamentale concerne la distinzione tra le informazioni di cui viene in possesso i lavoratori nello

svolgimento della prestazione lavorativa e che possono ritenersi integrare il suo patrimonio professionale, come tali

liberamente utilizzabili, e quelle oggetto del divieto di cui alla norma.

Si ritiene che le informazioni di cui all’articolo 2105 siano quelle di carattere tecnico-produttivo apprese dal lavoratore in

ragione del suo inserimento nell’azienda (ad es., notizie concernenti scoperte o invenzioni, le caratteristiche tecniche di

rendimento dei macchinari, i progetti di modi cazione e un rinnovamento degli impianti, le deliberazioni dei consigli di

amministrazione, la corrispondenza, i rapporti con l’autorità amministrative o con gli enti pubblici) e non a fronte della

particolare mansione svolta. il divieto opera per le notizie attinenti ai rapporti commerciali dell’impresa.

SEZ II. IL TEMPO DI LAVORO

Se, dal punto di vista qualitativo, l’oggetto del contratto di lavoro è individuato dalle mansioni che il lavoratore si obbliga

dal punto di vista quantitativo esso è individuato dall’orario di lavoro, che il lavoratore si obbliga ad

a svolgere,

osservare.

Esso è de nito come “ qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e

nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”

È de nito invece periodo di riposo “ qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.

In mancanza di diverse indicazione nel contratto individuale, si deve intendere quale orario normale quello di cui all’. 3

d.lgvo 66/2003, vale a dire 40 ore settimanali, ovvero il minor orario ssato dai contratti collettivi.

Nel caso in cui il lavoratore non osserva l’orario di lavoro e da considerare inadempiente ai suoi obblighi contrattuali.

Per le prestazioni di lavoro rese oltre l’orario convenuto si usa il termine lavoro straordinario, per lo svolgimento del

quale è necessario l’accordo tra le parti, trattandosi di modi cazione contrattuale.

Si discute se, nel caso in cui i contratti collettivi prevedono come obbligatorio una certa quota di lavoro straordinario,

come talora avviene, il lavoratore sia vincolato e dunque non possa sottrarsi adesso senza essere considerato

inadempiente ai suoi obblighi. Sin dagli anni 60 del secolo scorso è prevalsa la tesi a ermativa, sicché il datore di lavoro

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può pretendere dal lavoratore lo svolgimento di lavoro straordinario, senza necessità del suo consenso e l’eventuale

ri uto del lavoratore costituisce inadempimento contrattuale.

Laddove i contratti collettivi impongono l’e ettuazione di lavoro straordinario, trova comunque l’applicazione

della durata massima dell’orario di lavoro, ai sensi del quale la durata media dell’orario di lavoro non può

superare, per ogni periodo di sette giorni, le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario.

In difetto di disciplina collettiva applicabile, il lavoro straordinario è ammesso “ soltanto previo accordo tra datore di

lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore annuali”. Si prevede che, salva diversa disposizione dei

contratti collettivi, il ricorso al lavoro straordinario è consentito in relazione a casi di eccezionali esigenze tecnico-

produttive, di forza maggiore, o per eventi particolari collegati alle attività produttive.

Nel caso di lavoro straordinario è dovuta al lavoratore, in considerazione della maggiore penosità della prestazione

lavorativa, una maggiorazione retributiva, che è determinata dai contratti collettivi. Questi ultimi possono anche

prevedere che i lavoratori, in alternativa o in aggiunta alla maggiorazione retributiva, usufruiscano di riposi

compensativi: in simili casi, il lavoro straordinario è compensato non in denaro, ma in natura, ovvero sia mediante una

quota aggiuntiva di riposi.

La particolare tecnica normativa utilizzata dal d.lgvo 66/2003, al ne di valorizzare la contrattazione collettiva, fa

permanere un margine di incertezza sull’esistenza del diritto alla maggiorazione e sulla sua entità nell’ipotesi di

mancanza di contratti collettivi applicabili al rapporto di lavoro. Sebbene prevalga la tesi

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
134 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bettinialice di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Topo Adriana.