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LA RETRIBUZIONE

Sez. A: L’obbligazione retributiva. La retribuzione minima sufficiente

1. L’obbligazione retributiva. La c.d. busta paga

L’art. 2094 c.c. individua nella retribuzione l’oggetto dell’obbligazione corrispettiva o sinallagmatica del datore di lavoro. La disciplina specifica

dell’obbligazione retributiva è invece contenuta nell’art. 2099 c.c. il quale regola anche i modi di determinazione della retribuzione. La retribuzione è

una tipica obbligazione corrispettiva, da comprendere tra le obbligazioni pecuniarie aventi ad oggetto una somma di denaro.

Per ciò che concerne la corresponsione della retribuzione, il datore di lavoro è sottoposto alle regole generali degli artt. 1176 e 1182 del c.c.

(comportamento secondo la normale diligenza del buon padre di famiglia; obbligo del risarcimento del danno in caso di ritardo o inadempimento

imputabile) per adempiere esattamente l’obbligo della prestazione retributiva. Più specificamente, l’art. 2099 c.c. stabilisce che i termini e le modalità del

pagamento devono essere quelli in uso nel luogo ove il lavoro viene eseguito. È una precisazione importante perché l’imprenditore può esigere la

prestazione del lavoro in una sede differente da quella dell’impresa e perciò il legislatore ha voluto stabilire che le modalità e i termini siano desunti dagli

usi del luogo in cui si lavoro e non da quelli del luogo in cui ha sede l’impresa. La retribuzione viene corrisposta nella sede di lavoro. La deroga al

principio generale secondo cui l’obbligazione pecuniaria deve essere adempiuta al domicilio del creditore è più apparente che reale, posto che la sede

dell’impresa coincide di regola con il luogo di lavoro.

Una legge speciale impone al datore di accompagnare la corresponsione della retribuzione con la consegna di un prospetto paga analitico delle diverse

voci che la compongono. L’obbligo può essere assolto mediante la consegna di una copia delle scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro.

Il termine per la corresponsione della retribuzione è quello stabilito dai contratti collettivi o in mancanza dagli usi. Di solito la retribuzione viene pagata a

settimana o a mese e comunque dopo che il lavoro viene eseguito. È questa la regola detta della post-numerazione, in forza della quale il pagamento

della retribuzione viene posticipato rispetto all’erogazione della prestazione lavorativa.

2. L’orario di lavoro come criterio di commisurazione della retribuzione

L’ammontare della retribuzione deve essere determinato commisurandolo al quantum della prestazione lavorativa e perciò attraverso la misura del

tempo lavorato: da qui la ricordata regola della post-numerazione. Nel contratto di lavoro, la post-numerazione è effetto naturale del contratto. Secondo

l’art. 2099 c.c., la retribuzione va commisurata alla quantità della prestazione di lavoro e tale quantità si determina, direttamente, sulla base del tempo

impiegato per l’erogazione della forza- lavoro offerta dal prestatore, oppure, indirettamente, sulla base del risultato produttivo ottenuto mediante

l’erogazione della stessa forza-lavoro (cottimo). In entrambi i casi è la quantificazione dell’orario di lavoro che funge da base per la determinazione della

commisurazione della controprestazione retributiva.

Nel caso del cottimo la distinzione tra risultato e tempo dell’attività lavorativa non è rilevante ai fini dell’incidenza del rischio dell’utilità del lavoro (e

dunque dell’alternativa tra lavoro autonomo o subordinato), ma piuttosto ai fini del computo della retribuzione. In altre parole, la nozione di risultato

produttivo è la stessa tanto nel lavoro autonomo che nel lavoro subordinato a cottimo; invece è diversa la sua rilevanza come criterio per l’ imputazione

del rischio del lavoro nel primo caso e per il calcolo della retribuzione a cottimo nel secondo caso.

Il tempo è anzitutto un elemento del programma negoziale e del contenuto del contratto di lavoro, onde la previsione della durata rileva sotto il profilo

della continuità del vincolo ad effettuare una prestazione idonea a soddisfare il bisogno; pertanto il tempo funge da strumento per la determinazione

quantitativa della prestazione dovuta per la determinazione del suo corrispettivo (la retribuzione).

La regola della post-numerazione sottolinea l’importanza dell’orario di lavoro come criterio di determinazione della durata e della quantità della

prestazione lavorativa ed insieme come criterio di commisurazione della obbligazione retributiva. Da questo punto di vista, la determinazione dell’ orario

normale di lavoro, funzionale a quella della retribuzione normale minima è di competenza dell’autonomia privata collettiva o individuale.

Quest’ultima, peraltro, interviene solo eccezionalmente, in mancanza della prima oppure in sua deroga, per la determinazione di prestazioni di lavoro

eventualmente convenute a tempo ridotto o inferiore all’orario normale.

3. Retribuzione minima, contratti collettivi e art. 36 Cost.

L’art. 2099 c.c. attribuisce in via primaria ai contratti collettivi la funzione di stabilire la misura della prestazione dovuta dal datore di lavoro.

In virtù di tale rinvio, la legge demanda all’autonomia collettiva privata la determinazione di taluni effetti del contratto individuale e precisamente dei

criteri per la determinazione della retribuzione. La funzione fondamentale del contratto collettivo è, infatti, quella tariffaria: la fissazione delle regole o

norme comuni relative alla determinazione della retribuzione corrisponde ad un interesse non individuale, ma riflette quello collettivo di tutto il gruppo

professionale. Tale interesse collettivo è realizzato attraverso la fissazione dei minimi, mentre i c.d. superminimi (= ciò che supera le tariffe collettive)

sono lasciati all’autonomia contrattuale individuale. La fissazione della misura minima della retribuzione è stata la funzione primaria ed originaria della

contrattazione collettiva dalla quale poi si sono sviluppate tutte le altre.

La legge tuttavia non si disinteressa della misura della retribuzione. Infatti, il rinvio legislativo alla fonte di derivazione contrattuale non è assoluto e la

misura della retribuzione non è demandata alla competenza esclusiva dell’autonomia collettiva. A questa disposizione fa riscontro la norma dell’art. 36

Cost., in virtù della quale è riconosciuto al lavoratore, nella sua qualità di cittadino prima ancora che di soggetto contraente del rapporto di lavoro, il

diritto soggettivo alla retribuzione minima sufficiente; “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a

sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. 28

Scaricato da Alexandra Asofiei (alexandra.asofiei@community.unipa.it)

lOMoARcPSD|8084789

L’art. 36 Cost. adotta una formulazione generica indicando nei criteri della proporzionalità e della sufficienza i requisiti essenziali per la

determinazione della retribuzione.

Si tratta di una norma-principio perché il riferimento ai requisiti, senza essere specifico, non è tuttavia indeterminato. Infatti l’art. 36 Cost. non lascia uno

spazio da riempire attraverso l’apprezzamento discrezionale ed in definitiva equitativo del giudice per la determinazione della retribuzione nel caso

concreto. Il costituente indica direttamente nei requisiti i parametri ai quali il giudice è tenuto a conformarsi per valutare secondo criteri oggettivi,

l’adeguatezza dello scambio tra la prestazione e la retribuzione del lavoro. In virtù del requisito della proporzionalità, infatti, la retribuzione deve essere

determinata secondo il criterio oggettivo di equivalenza alla quantità ed alla qualità del lavoro. Pertanto la sua commisurazione dipende non solo dalla

durata e dall’intensità del lavoro, ma anche dal tipo di mansioni espletate e dalle loro caratteristiche. Viene così riconosciuto il principio della

differenziazione salariale in relazione alle mansioni svolte ed alla classificazione professionale assegnata al prestatore di lavoro.

Il secondo requisito, quello della sufficienza, è più importante: per esso la misura minima della retribuzione deve andare oltre il minimo vitale o di

sussistenza, in modo da garantire un livello di vita sufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignitosa non solo per il lavoratore come singolo, ma

anche per la sua famiglia, realizzando la garanzia di una retribuzione adeguata alle esigenze sociali, oltre che ai bisogni immediati del lavoratore. Qui

sono palesi le relazioni con i due concetti di libertà e dignità della persona. In tal modo viene temperato il rigido criterio proporzionalistico: la

proporzionalità tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro, cioè, deve essere contenuta in ogni caso nei limiti necessari a garantire la sufficienza della

retribuzione stessa.

Il requisito prevalente è quello della sufficienza, mentre quello della proporzionalità assume una posizione successiva. La retribuzione minima

sufficiente, dunque, non è un autonomo diritto personale del lavoratore, ma è un connotato essenziale del suo diritto di credito all’interno del rapporto di

lavoro al quale, proprio in virtù del principio sancito dall’art. 36 Cost., l’ordinamento assegna una funzione di sostentamento del lavoratore e non

soltanto di corrispettivo della sua prestazione. Soprattutto, si comprende perché il principio della retribuzione minima sufficiente funge da limite

all’autonomia contrattuale delle parti nella determinazione del contenuto del contratto di lavoro.

4. L’applicazione giurisprudenziale dell’art. 36 Cost.

L’importanza dell’art. 36 Cost. è soprattutto nella sua applicazione giurisprudenziale. La norma ha un contenuto programmatico e, al pari delle altre

norme costituzionali, è vincolante nei confronti del potere legislativo (c.d. norma-direttiva). In questa prospettiva, l’attuazione del principio della

retribuzione minima sufficiente è demandata all’intervento del legislatore. Questa è una tendenza riscontrabile nella maggior parte dei paesi

industrializzati, nel cui ordinamento accanto alla contrattazione collettiva esiste una legislazione sul salario minimo.

Tuttavia, nel nostro ordinamento, in assenza di una legislazione determinatrice dei salari minimi, è merito della giurisprudenza avere individuato,

estraendola dal contenuto programmatico dell’art. 36 Cost., accanto alla funzione direttiva del principio della retribuzione sufficiente, una sua funzione

precettiva e perciò direttamente vincolante nei confronti dell’autonomia privata. Tale giurisprudenza si è sviluppata e si è definitivamente consolidata

fino a formare una vera e propria area di diritto vivente giurisprudenziale.

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
105 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Alex4ndr4 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Bologna Silvio.