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FRA IL LAVORATORE ED IL DATORE DI LAVORO - STATUS DI DIRITTO PUBBLICO O CONTRATTO DI DIRITTO PRIVATO – E’ IRRILEVANTE PER L' APPLICAZIONE DELL' ART. 48.
Anche ipotesi in cui il lavoratore ricavi un reddito inferiore al minimo vitale … purché non si tratti di prestazioni … per le quali non può parlarsi di vera attività di natura economica.
Anche il lavoro sportivo economicamente rilevante: ci sono state diverse cause famose di calciatori che rivendicavano il loro diritto come lavoratori comunitari di essere ammessi anche in squadre di calcio di un altro paese senza che venisse loro negato il diritto di circolare liberamente. Dalla causa Bosman in poi, decisa dalla Corte di Giustizia, è stato riconosciuto che non potevano essere limitati il numero di stranieri comunitari nelle squadre di calcio (rivoluzione nel mondo calcistico).
Gli stati possono introdurre un termine massimo ragionevole per la ricerca di lavoro. Decorso tale termine, il lavoratore può essere considerato un lavoratore autonomo.
termine,se ancora non si è trovato lavoro, si può essere allontanati. Si perde quindi il diritto di soggiornare. A suotempo c'era stata una controversia con la Gran Bretagna che aveva fissato un termine di 6 mesi. La Corte di Giustizia ha affermato che il termine massimo di 6 mesi, decorso il quale il lavoratore per il diritto di soggiornoe viene allontanato se non ha trovato lavoro, è ragionevole. Il lavoratore non viene allontanato se dimostra che:
- anche dopo i 6 mesi sta ancora cercando il lavoro
- e ha concrete possibilità di trovarlo → deve dimostrare una concreta offerta di lavoro.
Possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo”. Il termine è «ragionevole» quando:
- consente ai migranti di prendere conoscenza, sul territorio dello Stato membro delle offerte di lavoro corrispondenti alle loro qualifiche professionali e di adottare le misure necessarie
Per essere assunti. Però qualora, trascorso il termine di cui trattasi, il migrante provi che continua a cercare lavoro e ha effettive possibilità di essere assunto, l'interessato non può tuttavia essere obbligato a lasciare il territorio dello Stato membro ospitante.
Il diritto di libera circolazione spetta SOLO a chi sia CITTADINO di uno dei Paesi membri della Comunità. Deve trattarsi di un cittadino di un Paese comunitario che si sposti sul territorio di un ALTRO Paese della Comunità.
La disciplina è intesa nel senso di non riguardare situazioni puramente interne agli Stati membri e non può trovare applicazione nei rapporti fra il singolo lavoratore e lo Stato di cui egli abbia la cittadinanza (insegnante tedesco "comunista", perciò escluso dal secondo tirocinio per l'insegnamento in Germania. (non ha esercitato la "libera circolazione") (non può invocare l'art. 45 del Trattato)
Caso
particolare di un insegnante tedesco che non era stato ammesso a svolgere la sua attività in quanto iscritto al partito comunista. Ciò rappresenta un illegittimo diniego da parte dello stato per discriminazione in base alle convinzioni personali/politiche. Il lavoratore aveva pensato di tentare di ribaltare tale decisione affermando che in questo modo la Germania gli negava la libertà di lavorare e di circolare liberamente come lavoratore. Ha quindi agito in giudizio per la lesione del suo diritto alla libera circolazione, non per la discriminazione subita. La Corte di Giustizia ha chiarito che la libera circolazione è strettamente legata a quelle situazioni in cui un soggetto chiede di far ingresso/soggiornare a fini di lavoro in un altro paese membro. Non vi è tutela del trattato per le situazioni che invece non presentino il carattere di transnazionalità, ma siano situazioni meramente interne. Al lavoratore non è quindi stato riconosciuto
tale diritto. Ci sono state anche delle cause più recenti particolari: lavoratrici in gravidanza negli ultimi mesi avevano sospeso l'attività di lavoro o smesso di cercare lavoro. La Corte di Giustizia ha stabilito che la lavoratrice che abbia smesso di cercare lavoro/lavorare nelle ultime fasi della gravidanza resta lavoratrice ai fini del diritto del lavoro comunitario, purché entro un periodo dalla nascita del figlio torni economicamente attiva/a cercare lavoro. L'articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che una donna, che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e al periodo successivo al parto, conserva la qualità di "lavoratore" ai sensi di tale articolo, purché essa riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un ragionevole periodo di tempo dopo la nascita di suo figlio. A tutte le garanzie già analizzate, si aggiunge quella.di godere di un meccanismo di coordinamento in materia di sicurezza sociale che consenta il cumulo dei periodi di lavoro riconosciuti sulla base delle diverse legislazioni nazionali, nonché di ricevere il pagamento delle prestazioni nel luogo di residenza attuale, anche se i contributi previdenziali sono stati versati presso altri paesi membri.
DIVERSA NOZIONE DI LAVORATORE che emerge da altre direttive. A differenza dell'Italia in cui l'art. 2094 contiene un'unica definizione di lavoratore subordinato, a livello comunitario esistono diverse nozioni di lavoratore subordinato a seconda dei fini/delle finalità. Infatti, oltre alla nozione di lavoratore subordinato ai fini di libera circolazione, esistono altre nozioni di lavoratore subordinato che, per esempio, sono quelle prese in considerazione dalle direttive sul contratto a termine, part-time, sul trasferimento d'azienda e sui licenziamenti collettivi. Sono una serie di direttive di armonizzazione.
parziale che fanno riferimento allanozione di lavoro, ma in questo caso chiariscono che spetta agli stati membri definire chi è lavoratore. Non c'è una nozione unitaria/comunitaria in questi casi, ma lo Stato membro nel disciplinare tali materie definisce il lavoratore. Unico limite: queste direttive chiariscono che nel definire il lavoratore lo stato membro non può privare la direttiva del suo effetto utile. È fatto salvo l'effetto utile della direttiva: non può essere pregiudicato lo scopo utile della direttiva. Nel dare attuazione alle direttive gli stati non possono escludere dal campo di applicazione in modo arbitrario dei soggetti che dovrebbero avere accesso alle tutele di quella direttiva. Hanno diritto alla libera circolazione anche taluni familiari anche se extracomunitari del lavoratore cittadino comunitario che si sposta in un altro stato. Occorre che il lavoratore (cittadino UE) abbia precedentemente esercitato il diritto di libera.Ha diritto di lavorare/accesso al mercato del lavoro anche il familiare: è possibile
Per il datore assumere familiari di lavoratori comunitari che hanno fatto ingresso nello stato membro dell'UE per motivi di lavoro. Il diritto di soggiorno dei familiari extracomunitari non ha carattere autonomo, dipende dal lavoratore che ha esercitato il diritto di circolazione. Dopo che ha soggiornato per 1 anno, se anche sopravviene il decesso del cittadino dell'Unione, divorzio, annullamento del matrimonio o scioglimento dell'unione civile registrata, si tiene conservato il diritto da parte del familiare (direttiva 38 del 2004).
IL CONTENUTO dell'ARTICOLO 45, specificato dal regolamento 492 del 2011:
- Parità dell'accesso all'impiego: diritto di aver accesso in condizioni di parità con i cittadini nazionali.
- Uno stato non può stabilire delle quote, nulla osta, contingentamenti numerici, clausola di salvaguardia, permesso di lavoro, autorizzazioni per aver accesso al mercato del lavoro, liste di collocamento separate per i
Riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi (direttiva 2005/36/CE): prevede 3 sistemi diversi per il riconoscimento. Solo in certi casi (infermieri) è automatico, in altri ambiti (consulenti del lavoro) occorre effettuare un iter di riconoscimento.
Parità nelle condizioni di lavoro: diritto ad essere trattato alla pari nelle condizioni di lavoro rispetto ai cittadini nazionali. Rappresenta una specificazione del generale divieto di non discriminazione. Non solo per la retribuzione, ma per tutte le condizioni di lavoro, anche per i benefici collaterali che possono fare la differenza.
Parità di trattamento in materia di: accesso all'occupazione, condizioni di impiego e di lavoro, accesso ai vantaggi sociali, iscrizioni alle organizzazioni sindacali ed eleggibilità negli organi di rappresentanza dei lavoratori, accesso alla formazione, accesso
all'istruzione/all'apprendistato/alla formazione professionale per i figli dei lavoratori dell'unione, accesso all'alloggio, assistenza fornita dagli uffici di collocamento. La direttiva 54 del 2014 rende più effettivi questi diritti riconoscendo ai sindacati un ruolo di difesa dei diritti.