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1.7. BREVE STORIA DELLE CRISI DI GOVERNO

La crisi di Governo consiste nella presentazione delle dimissioni del Governo causate dalla rottura

del rapporto di fiducia tra il Governo e il Parlamento (o meglio la maggioranza). Tradizionalmente

si suole distinguere le crisi parlamentari dalle crisi extraparlamentari.

Le prime sono determinate dall’approvazione di una mozione di sfiducia, oppure da un voto

contrario sulla questione di fiducia posta dal Governo. In questo caso, il Governo è giuridicamente

obbligato a presentare le sue dimissioni al Capo dello Stato.

Le seconde, invece, si aprono a seguito delle dimissioni volontarie del Governo, causate da una

crisi politica all’interno della sua maggioranza. A queste ultimi sono assimilabili le crisi causate

dalle dimissioni del solo Presidente del Consiglio, che determinano la cessazione dalla carica

dell’intero Governo. Tali dimissioni possono essere espressione di una crisi politica o essere

ispirate da ragioni personali, come la presenza di un impedimento fisico.

Nella storia repubblicana non si è mai presentata una crisi di governo parlamentare dovuta

all’approvazione di una mozione di sfiducia. Solo in cinque casi ci sono state dimissioni del

Governo determinate dalla mancata concessione della fiducia iniziale (8° Governo De Gasperi nel

1953, 1° Governo Fanfani nel 1954, 1° Governo Andreotti nel 1972, 5° Governo Andreotti nel

1979, 6° Governo Fanfani). In due soli casi la crisi è stata determinata da un voto parlamentare

negativo sulla questione di fiducia posta dal Governo: Governo Prodi nel 98 e Governo Prodi nel

2008.

Le crisi extraparlamentari sono state pertanto la regola. Ciò è facilmente spiegabile dal punto di

vista politico: se le coalizioni e il Governo vengono formati a seguito di accordi conclusi tra i partiti

dopo le elezioni, il venir meno di tali accordi comporta la crisi della maggioranza politica con la

conseguenza che il Governo si trova privo del necessario sostegno parlamentare. Ciò non

impedisce che, per motivi personali o politici, uno o più ministri siano indotti alle “dimissioni

volontarie” e poi sostituiti, dando luogo ad un rimpasto ministeriale, senza che si apra una crisi di

governo (di solito si dà una comunicazione alle Camere, ma non segue un nuovo voto di fiducia).

Dal punto di vista costituzionale, le crisi extraparlamentari, sono da ritenere del tutto ammissibili e

non trovano un ostacolo nella disciplina posta dall’art 94. Infatti, quest’ultima mira a disciplinare i

modi in cui il Parlamento può cacciare il Governo, ma nessuno può impedire al Governo di

dimettersi quando lo ritenga opportuno.

La prassi delle crisi extraparlamentari ha posto però il problema di come far conoscere ai cittadini i

motivi della crisi, affinché questi possano valutare la responsabilità politica dei partiti e del

Governo. Per affrontare questo problema, i Presidenti della Repubblica hanno tentato la c.d.

parlamentarizzazione delle crisi nate fuori dal Parlamento. Essa consiste nell’invito rivolto al Capo

dello Stato al Governo dimissionario a presentarsi in una delle due Camere per esporre i motivi

della crisi ed aprire sugli stessi un dibattito parlamentare. Il dibattito non serve tanto a far

rientrare la crisi, ma a rendere pubbliche le ragioni della crisi medesima, nata all’interno dei

rapporti tra i partiti politici.

In ogni caso sono mancate prassi e convenzioni che assicurassero un certo grado di durata alle

coalizioni. Tutto ciò ha delle influenze sulla stabilità del Governo, cioè sul periodo di tempo in cui

resta in carica. In assenza di regole convenzionali di stabilizzazione della coalizione, il potere dei

partiti di recedere dagli accordi di maggioranza, ha determinato la notevole instabilità dei Governi

italiani, che in media hanno avuto vita inferiore all’anno. Nel 2011 il Governo Berlusconi si è

dimesso indipendentemente da una verifica della maggioranza in Parlamento.

L’art.94 prende in considerazione esclusivamente la sfiducia che riguarda l’intero Governo.

Nell’esperienza repubblicana, ci sono stati casi di mozione di sfiducia individuale, cioè presentata

nei confronti di un singolo ministro; i regolamenti parlamentari hanno riconosciuto questa figura,

estendendo ad essa la disciplina che la Cost. ha previsto per la sfiducia nei confronti dell’intero

Governo.

2. IL GOVERNO

2.1. DEFINIZIONI

Il Governo è un organo complesso, formato dal Presidente del Consiglio, dai Ministri e dall’organo

collegiale Consiglio dei Ministri. Esso esercita una notevole quota dell’attività di indirizzo politico,

delle potestà pubbliche della funzione esecutiva e importanti poteri normativi: ma la dimensione

effettiva del suo potere politico dipende dagli equilibri della complessiva forma di governo e dal

grado di attuazione dei principi del decentramento politico e dell’economia di mercato.

Il ruolo del Governo italiano, le modalità della sua formazione e del suo funzionamento risentono

degli equilibri assunti dalla forma di Governo, la quale per lungo tempo ha operato come

parlamentarismo compromissorio, e che, a partire dalla XII legislatura, ha avviato verso una

evoluzione del parlamentarismo maggioritario.

Altri aspetti che hanno condizionato ruolo ed operato del Governo sono:

1. maggiore decentramento politico, che ha privato il Governo di importanti attribuzioni a favore

di Regioni ed enti locali.

2. riduzione degli interventi in campo economico per favorire il mercato concorrenziale.

3. integrazione europea.

2.2. LE REGOLE GIURIDICHE SUL GOVERNO

Il Governo gode di una notevole elasticità della disciplina costituzionale che lo riguarda: essa pone

poche e semplici regole e rinvia il resto alle regole della prassi, alle convenzioni e alle leggi ed agli

atti di autorganizzazione dello stesso Governo.

• La sua formazione è disciplinata negli artt. 92.2, 93 e 94 Cost., che consacrano le seguenti

regole: 1. il Presidente della repubblica nomina il Presidente del Consiglio (art. 92.2 Cost).

2. i Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica ma sono proposti dal Presidente del

Consiglio.

3. i membri del Governo, prima di entrare in carica, devono giurare di fronte al Presidente delle

Repubblica (art. 93 Cost).

4. il Governo formato deve presentarsi entro 10 gg per ottenere la fiducia parlamentare (art.94.3).

5. tale fiducia è accordata e revocata tramite mozione motivata votata per appello nominale (art.

94.2).

• Per ciò che riguarda la struttura, l’art.92.1 si limita a citare gli organi governativi necessari, cioè

il Presidente del Consiglio ed i Ministri, che insieme formano l’organo collegiale del Consiglio dei

ministri. Questa elencazione stabilisce gli organi di cui necessariamente si compone il Governo, ma

non esclude che la legge ne individua altri, purché rispetti le competenze dei primi stabilite in

Costituzione. Infatti nell’esperienza repubblicana si è vista l’affermazione di altri organi, che

possono esserci o non esserci nella singola compagine governativa, trattandosi di organi

governativi non necessari (come il Vice presidente del Consiglio, i ministri senza portafoglio, i

sottosegretari di stato, i comitati interministeriali, il Consiglio di Gabinetto).

• Per quanto riguarda il funzionamento, l’art. 95 rinvia alla legge sull’ordinamento delle

Presidenza del Consiglio dei ministri per una puntuale disciplina dell’organizzazione e del

funzionamento del Governo; in attuazione della stessa è stato adottato il regolamento interno del

Consiglio dei ministri.

• Per quanto riguarda i rapporti con la pubblica amministrazione, le regole cost. sono fissate negli

art.95, 97 e 98.

2.3. UNITA’ E OMOGENEITA’ DEL GOVERNO

Per quanto concerne i rapporti tra gli organi necessari del Governo, l’art. 95 scarta tanto le

proposte, avanzate in Assemblea costituente, che volevano incentrare il potere di direzione

politica nel solo Presidente del Consiglio, quanto quelle che volevano porre sullo stesso piano

Presidente del Consiglio e Consiglio dei ministri. Tali proposte miravano ad affrontare il problema

riguardante l’unità ed omogeneità del Governo; quest’ultimo si configura come un organo

politicamente unitario, responsabile politicamente nella sua unità per l’indirizzo politico che segue

e capace di dare attuazione coerente a tale indirizzo, sia nella sua attività che nei rapporti con gli

altri organi costituzionali. Ovviamente, ciò è più difficile nei governi di coalizione, in quanto più i

membri del Governo sono espressione di partiti e gruppi differenti, tanto più si pone il problema di

ricondurli entro un indirizzo unitario, bloccando le tendenze centrifughe.

L’esperienza storica dimostra che, per raggiungere l’obiettivo dell’unità e omogeneità del

Governo, si è fatto leva ora sul ruolo unificante del Consiglio dei ministri, ora sulla prevalenza del

Primo Ministro, dotato della forza politica e degli strumenti giuridici per far prevalere un indirizzo

politico unitario e per bloccare le eventuali iniziative dei ministri divergenti da tale indirizzo.

Tuttavia le difficoltà nella formazione di un parlamentarismo maggioritario e la diffidenza con cui

si guardava ad un Governo forte, risultato dell’applicazione pratica di tali proposte, impedirono

che la Costituzione le accogliesse. Perciò l’art.95 si è limitato a prevedere che:

• il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.

• il Presidente del Consiglio mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo del Governo,

promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.

• i ministri rispondo collegialmente per gli atti del Consiglio dei ministri ed individualmente per gli

atti dei loro ministeri.

Se, quindi, il Presidente del Consiglio “dirige” la politica generale del Governo e mantiene l’unità di

indirizzo politico, a “determinare” tale politica generale, sarà un altro organo, cioè il Consiglio dei

ministri.

L’art. 95 consacra tre diversi principi che si sono affermati in momenti precisi della storia politica:

-- il principio della responsabilità politica di ciascun ministro, che per il nesso esistente tra

responsabilità e potere, comporta il riconoscimento dell’autonomia di ciascun ministro nella

direzione del suo ministero, cioè del ramo dell’amministrazione cui è preposto.

– il principio della responsabilità politica collegiale, incentrata nel Consiglio dei ministri.

– il principio della direzione politica monocratica, basata sui poteri del Presidente del Consiglio.

2.4. LA FORMAZIONE DEL GOVERNO

La formazione del Governo nelle democrazie

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
41 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher noemi.2001 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Sciortino Antonella.