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Il senato. Evoluzione e composizione Già si è detto come il potere dell'antico rex latino-sabino fosse in qualche modo
condizionato dalla presenza di una assemblea ristretta composta dai patres delle familiae più potenti che oltre a
rappresentare il suo consilium ne doveva in qualche modo limitare i poteri finendo con l'essere intesa come la
depositaria originaria del potere di governo sulla civitas, che ritornava a essa alla morte del re. È probabile che la scelta
di chi dovesse sedere all'interno di questo consesso spettasse al monarca, ma avvenne peraltro in un contesto
caratterizzato dall'autonomia dei gruppi famigliari.
Con l'avvento dei turannoi etruschi il senato subì un sostanziale svuotamento delle funzioni e una marginalizzazione del
ruolo. Al suo interno, su nomina regia, erano inseriti in numero significativo, gli amici del turannos. Con la instaurazione
della repubblica e il riaffiorare del potere degli esponenti delle più antiche e potenti gentes, dovette spettare il controllo
sulla civitas. Vi doveva essere infatti un organismo che rappresentasse e garantisse la continuità dei valori repubblicani
e dunque incarnasse la identità stessa della città-stato.
La scelta dei membri di questo consesso, "senato", spettò ai consoli sino al plebiscito Ovinio del 312 a.C., che la
attribuì definitivamente ai censori. Si individuò un criterio che era espresso dal principio "ex omni ordine optimus
quisque".
Tre elementi emergono: la discrezionalità della scelta; il principio della eccellenza intesa sia come possesso di qualità
morali che di capacità ed esperienza; l'ammissibilità dei plebei al senato. A un certo punto il consesso fu definito con il
sintagma di patres conscripti, dove conscripti erano i membri di origine plebea che si erano andati aggiungendo. La
competenza dei censori si spiega con riferimento al regimen morum. La scelta avveniva ogni cinque anni e
l'appartenenza era normalmente vitalizia. Questo meccanismo esprime il carattere aristocratico della res publica.
A un certo punto il criterio dell'optimus quisque venne ravvisato in colui che avesse già rivestito una magistratura,
inizialmente patrizia (curule). Questo proprio per il fatto che si presumeva che un magistrato avesse particolare capacità
ed esperienza. Si determinò una sorta di graduatoria di importanza che andava in ordine discendente dagli ex censori,
agli ex consoli, agli ex pretori per finire con gli ex edili curuli e quindi con gli ex questori.
Il presidente del senato (princeps senatus) era il più anziano ex censore patrizio. Gli ex magistrati potevano partecipare
alle sedute prendendo la parola, ma senza diritto di voto. A partire dal 102 a.C. vennero ammessi anche i tribuni della
plebe.
Questa trasformazione dei meccanismi di scelta dei senatori era destinata da una parte a togliere discrezionalità ai
censori, dall'altra doveva evitare la dispersione di quel patrimonio di esperienze e di competenze, arricchendo il vertice
della repubblica di coloro che l'avevano governata nel corso degli anni.
Nei fatti il senato evolvette verso una sorta di camera composta dai rappresentanti del popolo, evoluzione che sarà poi
consapevolmente teorizzata da Cicerone nel suo progetto di riforma istituzionale contenuto nel de legibus.
Il senato. Competenze La necessità di garantire la continuità dell'indirizzo politico della res publica fece sì che nel
senato si concentrassero funzioni di direzione e di coordinamento delle politiche di governo, che si andarono
accentuando nel corso degli anni.
Il senato ebbe poi anche più specifiche attribuzioni. Alcune di queste erano riservate ai senatori di origine patrizia. Così
fu per l'interregnum e l'autoritas. Quanto al primo si trattava della riesumazione di un istituto che aveva avuto particolare
rilievo in età regia. Più frequente era invece il ricorso all'autoritas patrum, necessaria, inizialmente, ai fini dell'entrata in
vigore di una legge già approvata dal popolo; in seguito, nel 339 a.C., una lex Publilia Philonis stabili che l'autoritas
dovesse essere preventiva, posta cioè direttamente nei confronti della rogatio del magistrato. Nel contempo un'altra lex
Publilia Philonis, disponeva che i patres potessero rendere vincolanti per tutti i cittadini i plebisciti, integrando la delibera
votata nei concilii della plebe con la prestazione della auctoritas. Fra le competenze proprie di tutto il senato si deve
ricordare innanzitutto la consultiva. Era consuetudine per i magistrati adottare le loro decisioni dopo aver consultato il
senato.
In tali circostanze l'assemblea emanava un senatoconsulto che non era né obbligatorio né vincolante, sul piano
giuridico; ma sul piano politico si, i magistrati tendevano a non prescindere mai dalla competenza del senato. La prassi
di consultare tale consesso, fini comunque con il legittimare anche un intervento autonomo del senato.
Sempre con senatoconsulto, si stimolarono i magistrati dotati di imperium a reprimere certi fatti considerati pericolosi
per la salute della repubblica. Collegato a questa prassi era il senatus consultum ultimum che era emanato in momenti
di grave pericolo interno e comportava la sospensione delle garanzie costituzionali e della provocatio, invitando i consoli
a ristabilire a qualsiasi costo l'ordine pubblico violato. Connessa con questa prerogativa era la dichiarazione nei
confronti di un singolo cittadino di hostis rei publicae.
Infine i senatoconsulti avevano un particolare rilievo e vennero anche utilizzati con grande frequenza nel settore della
amministrazione pubblica, si trattasse di istruzioni date ai magistrati ai fini di specifici atti di gestione da compiere o
addirittura di direttive di portata generale. Anche in siffatto caso, in cui il senato sembrava esercitare una sorta di potere
regolamentare, i suoi provvedimenti avevano pur sempre la forma del "consiglio", che difficilmente però, in base a
quanto già spiegato, sarebbe stato disatteso.
Dalla partecipazione al procedimento legislativo il senato fini con il ritagliarsi la concessione di deroghe alla applicazione
di una legge (senza che sussistessero ragioni d'urgenza e senza bisogno della ratifica con legge della deroga e la
competenza a emettere un giudizio di legittimità sulle leggi votate cercando di ripristinare quel potere di giudizio
conclusivo sulle leggi che il senato aveva perduto dacché l'autoritas era stata resa preventiva. Il senato acquisi il potere
di conferire ai magistrati la prorogatio imperii e dunque la decisione se un magistrato dotato di imperium dovesse
continuare, scaduto l'anno di carica, ad esercitare funzioni di governo nell'ambito di una provincia.
In materia militare spettava al senato la decisione politica di dichiarare guerra, di concludere un trattato di pace cosi
come di stipulare una alleanza. Dichiarata la guerra, era il senato che vigilava sulla condotta delle operazioni tramite
propri legati e, alla fine, decideva se premiare o meno con il trionfo il generale vittorioso. In materia di politica estera
molto ampie erano le competenze del senato che inviava commissioni e propri legati, riceveva e accreditava
ambasciatori. In campo finanziario, il magistrato competente era vincolato al preventivo assenso del senato.
Infine in campo giudiziario, a commissioni composte da senatori (quaestiones) costituite ad hoc, su invito del senato,
spettò, il giudizio su alcuni reati. Nel sistema romano la centralità del senato, la sua indipendenza, la sua autorevolezza
e la sua funzione di controllo sugli organi di governo erano sentite come garanzia della libertà della repubblica.
Il senato era convocato e presieduto da un magistrato dotato di ius agendi cum patribus, essenzialmente consoli e
pretori o comunque magistrati dotati di imperium. Il senato aveva un luogo per le riunioni che era di norma la Curia
Hostilia. Il magistrato teneva la sua relatio, cui seguivano le operazioni di voto, con o senza dibattito. Tra le modalità di
votazione, da segnalare quella per per discessionem, vale a dire spostandosi da un settore
all'altro dell'aula.
Il parere votato dal senato prendeva il nome di senatoconsulto: veniva redatto dal magistrato che aveva fatto la relatio,
assistito da un gruppo di senatori. Nel senato operava l'iniziativa dei singoli senatori che esprimevano pareri e facevano
proposte liberamente. Non vi era limite alla facoltà di parlare.
Gli organi sacerdotali Anche in età repubblicana i sacerdoti svolgevano funzioni pubbliche. Particolarmente delicate e
importanti erano quelle dei pontefici e degli auguri dal momento che incidevano direttamente sulla produzione del
diritto, sulla sfera di attività dei magistrati e sul funzionamento dello stato. Gli auguri potevano bloccare la presentazione
di proposte di legge o la elezione di un magistrato.
Le cariche sacerdotali erano vitalizie e si acquistavano per cooptazione degli altri membri del collegio. Inizialmente a
composizione solo patrizia, i collegi pontificale e augurale furono resi accessibili anche ai plebei per disposizione della
lex Ogulnia del 300, la quale a tale scopo estese il numero dei componenti, che passarono per i pontefici da cinque a
otto e successivamente a nove e per gli auguri da quattro a nove. Il processo di democratizzazione dei sacerdozi si acuì
nei tempi successivi. Si ricordi anche la proposta del democratico Clodio, che da tribuno cercò di abrogare la
obnuntiatio.
La plebe. Origine di plebe e patriziato Già si è visto, come all'indomani della cacciata dei Tarquini le gentes
protagoniste della liberazione della civitas abbiano finito con il riprendere il controllo della città. I patres e i loro
discendenti, i patricii, appunto, si chiudono ora a difesa del proprio potere, che non è solo politico, ma anche
economico, comprendendo lo sfruttamento esclusivo dell'ager publicus. Di fronte a costoro stavano i plebei, che
combattevano e pagavano i tributi e tuttavia erano esclusi dalla direzione della repubblica, dalle opportunità
economiche, dalla possibilità di contrarre con loro nozze giuridicamente valide.
Per reagire contro tale stato di cose, questa massa composita, si coalizzò attorno al culto di Cerere, Libero e Libera,
divinità originariamente estranee al Pantheon quiritario, dando vita a una autonoma e parallela organizzazione. Si tratto
di una sorta di comunità nella comunità, che minacciò di diventare indipendente mediante un'arma potente, la
secessione. Essa implica una visione contrattuale della civitas, alla cui base è ravvisata una libera adesione dei singoli in
vista di un bene comune, che non può essere dunque sacrificato. In questa ottica lo stato risulta uno strumento, non un
fine. I plebei si rifiutano in questo contesto di prestare il servizio militare e di pagare i tributi.
Gli organi di governo della plebe Proprio il carattere militare della rivolta ple