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AVVIAMENTO
L’avviamento è quel valore aggiuntivo dato dal considerare i beni aziendali come un
unico insieme ovvero l’attitudine del complesso aziendale di un’impresa a conseguire
profitto, in virtù di fattori oggettivo e/o soggetti che lo caratterizzano.
I fattori soggettivi sono quelli relativi alla persona dell’imprenditore di creare e
mantenere la clientela, ovvero dipende dal prestigio e dalla capacità personale
dell’imprenditore stesso. Il suo valore è rilevante ai fini della cessione dell’azienda.
Il fattore oggettivo è ricollegabile a fattori insiti nel coordinamento funzionale
esistente tra i diversi beni. Il suo valore è dato dalla somma algebrica dei suoi
elementi che compongono il patrimonio.
Mentre i fattori oggetti sono acquistati dall’imprenditore in sede di cessione
dell’azienda, i fattori soggettivi non possono essere oggetto dell’atto di vendita. Per far
emergere il fattore soggettivo è previsto che l’alienante si astenga dall’iniziare una
nuova impresa idonea a sviare la clientela.
TRASFERIMENTO DELL’AZIENDA
Ai fini del trasferimento è richiesto il trasferimento di un insieme di beni
potenzialmente idoneo ad essere usato per l’esercizio di una determinata attività,
ovvero è possibile il trasferimento di un ramo d’azienda il quale deve essere
autonomo, ovvero prescindere dall’inserimento della stessa nell’intero complesso
aziendale, ed organizzato che sta per il legame tra le attività di lavoratori di quella
parte tale da produrre prodotti specificamente individuabili. Inoltre, è richiesta la
forma ad probationem ai fini probatori, e la forma ad substantiam ai fini della validità
in base al regime del bene aziendale.
Effetto del trasferimento è l’effetto traslativo della proprietà dei beni
aziendali inclusi nell’atto di trasferimento dell’azienda, giacché è ben possibile che il
proprietario dell’azienda decida di trattenere a sé alcuni beni da escludere dal
trasferimento insieme all’azienda. Produce effetti ulteriori automatici ex lege.
Un effetto descritto dall’articolo 2557 è il divieto di concorrenza: chi
trasferisce l’azienda deve astenersi dall’iniziare un’attività che per oggetto o
ubicazione è idoneo a sviare la clientela per un massimo di cinque anni. Questo è un
divieto relativo e derogabile ovvero sussiste nel limite in cui non impedisce ogni
attività professionale e per il termine massimo di cinque anni. Due sono le esigenze
ottemperate ovvero quelle dell’alienante consistente nel non vedere compromessa la
propria libertà di iniziativa economica; e quella dell’acquirente consistente nel
trattenere la clientela e quindi di godere dell’avviamento soggettivo.
Controversa è la verifica della violazione del divieto. Ad esempio, nella divisione
ereditaria con assegnazione ad un erede oppure con lo scioglimento della società ed
assegnazione ad un socio della quota di liquidazione non si ha violazione in quanto
non c’è trasferimento di azienda ma è qualcosa di acquisito ex ante.
In definitiva, il divieto di concorrenza è violato ogni volta che è sviata la clientela
dell’azienda ceduta per fatto concorrenziale imputabile all’alienante.
Un ulteriore effetto è previsto dall’articolo 2558, ovvero quello relativo alla
successione dei contratti aziendali.
La posizione del terzo contraente subisce una deroga al diritto comune, in base al
quale è richiesto il consenso del contraente ceduto, mentre l’articolo 2558 prevede
un effetto successorio.
Ad esempio, nel caso del rapporto di lavoro, ciò continua ed il lavoratore conserva tutti
i diritti che ne derivano. Dato tale effetto automatico, il secondo comma consente al
terzo contraente il
diritto di recesso, ovvero il diritto di sciogliere il rapporto contrattuale entro tre mesi
qualora vi sia giusta causa, la quale va provata l’esistenza di una situazione
oggettiva che renda la controparte non affidabile. Il recesso ha effetti ex nunc, ovvero
non ritorna il contratto in testa all’alienante
ma determina l’estinzione dello stesso.
Non si applica questa disciplina nei contratti a carattere personale, dove sarà
necessaria una pattuizione ex novo. Distinguere quali siano contratti a carattere
personale o meno non è propriamente agevole; è però opinione prevalente che
contratti personali siano quei contratti nei quali l'identità e le qualità personali
dell'imprenditore alienante sono state in concreto determinanti del consenso del terzo
contraente. Punto questo da accertare caso per caso in base a criteri di
interpretazione oggettiva. In generale, quindi, la categoria dei contratti personali non
intuitu personae.
può farsi coincidere con quella dei contratti comunemente definiti
Anche l’articolo 2559, relativo alla cessione dei crediti aziendali, propone
una deroga rispetto al diritto comune.
Secondo il diritto comune ha effetto verso il debitore quando questo accetta o riceve
la notifica, ma per il mero trasferimento del credito non è necessario il suo consenso,
giacché se paga al vecchio creditore prima della verifica o accettazione è liberato dal
credito mentre se avviene dopo non è liberato. Secondo il diritto aziendale, invece,
ha effetto dall’iscrizione nel registro delle imprese a prescindere dal consenso o dalla
notifica. Ciò perché l’azienda, avendo numerosi crediti dovrebbe notificare uno per uno
ogni creditori, per cui se paga al vecchio creditore, in buona fede, è liberato
dall’obbligo, in quanto si ammette la limitata conoscibilità del registro delle imprese
dato che per pagare ogni debito si dovrebbe verificare se è avvenuta una cessione
d’azienda.
Relativamente, alla cessione del debito aziendale, ai sensi dell’articolo 2560,
l’alienante non è liberato dai debiti aziendali senza il consenso del creditore.
Ne risponde in solido anche l’acquirente se risultano dai libri contabili. Se sono
presenti irregolarità di sostanza (errore grafico), tuttavia, non ne risponde, mentre per
le irregolarità di forma - errore nell’applicazione della formalità del codice civile - ne
risponde invece. Ne risponde sempre per i debiti verso dipendenti e verso l'erario; ciò
è circoscritto al debito risultante dagli atti degli uffici dell'amministrazione finanziaria
alla data del trasferimento.
USUFRUTTO E AFFITTO DELL’AZIENDA
L'azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento. Può
essere costituita in usufrutto o può essere concessa in affitto.
L’usufrutto è il potere di godere delle cose altrui con l’obbligo di rispettarne la
destinazione economica.
L’articolo 2561 prevede particolari diritti e doveri in deroga alla disciplina generale
dell’usufrutto:
l’esercizio dell’attività sotto la ditta che la contraddistingue senza modificarne la
destinazione. In caso di violazione si ricorre all’articolo 1015 alla cessazione
dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario;
il diritto di godere dei beni aziendali e di disporre nei limiti segnati dall’esigenze
della gestione;
il diritto di acquistare ed immettere nuovi beni dato che al termine dell’usufrutto
potrebbe essere composta da beni diversi dall’originario.
Per quanto riguarda l’affitto si ripercorre la disciplina dell’usufrutto di azienda in
virtù del rinvio che ne fa all’articolo 2561. Si applicano la disciplina del divieto di
concorrenza e della successione nei contratti ma non quella relativa ai crediti e ai
debiti aziendali.
SEGNI DISTINTIVI
DITTA
La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore e lo individua come soggetto di
diritto nell’esercizio dell’attività di impresa.
Nella scelta della propria ditta, l’imprenditore incontra due limiti; limiti
rappresentati dal rispetto dei principi della verità e della novità.
Il principio della verità, ex articolo 2563, ha diverso contenuto a seconda che si
tratti di ditta originaria o di ditta derivata. La ditta originaria è quella formata
dall’imprenditore che la utilizza e deve contenere almeno il cognome o la sigla dello
stesso. È da tenere presente che questa è una verità dalla scarsa capacità distintiva
ma è comunque sufficiente. La ditta derivata è quella formata da un altro
imprenditore e successivamente trasferita ad un altro imprenditore. La verità, in tal
caso, si riduce ad una pura verità storica.
Secondo il principio della novità, ex articolo 2564, la ditta non deve essere uguale
o simile a quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l'oggetto
dell'impresa o per il luogo in cui questa è esercitata. Il principio della novità opera
anche nei rapporti fra la ditta e altri segni distintivi. Infatti, in virtù del principio di
unitarietà dei segni distintivi è fatto divieto di adottare come ditta il marchio altrui,
se sussiste pericolo di confusione tra segni.
Per le imprese commerciali trova applicazione il criterio della priorità d'iscrizione
nel registro delle imprese e non il criterio di priorità d'uso per cui l'obbligo di
integrare o modificare la ditta spetta che a chi ha iscritto successivamente la propria
ditta nel registro delle imprese. Chi ha adottato per primo una certa ditta ha diritto,
perciò, all'uso esclusivo della stessa. Il diritto all'uso esclusivo della ditta ed il
corrispondente obbligo di differenziazione sussistono però solo se i due imprenditori
sono in rapporto concorrenziale tra loro, tale da determinare una confusione per
l'oggetto dell'impresa e per il luogo esercitata. Il diritto all'uso esclusivo è quindi diritto
relativo. La giurisprudenza peraltro è propensa a concepire con una certa larghezza
l'esistenza del rapporto concorrenziale. Si ritiene che la confondibilità per l'oggetto
deve essere valutata tenendo conto anche dell'attitudine dell'impresa ed espandersi in
attività complementari, similari o affini.
La ditta può essere oggetto di trasferimento ai sensi dell’articolo 2565 in
base al quale si impone il divieto di separazione tra ditta e azienda. Ciò perché
consente di valorizzare l’avviamento connesso all’azienda e tutela tutti coloro che
hanno avuto un rapporto con l’originario imprenditore e i consumatori contro un
eventuale improprio mutamento delle caratteristiche oggettive dei