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IL CONFLITTO D’INTERESSI IN ASSEMBLEA E L’ABUSO DEL DIRITTO DI VOTO
IL CONFLITTO D’INTERESSI
L’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni, costituisce espressione di un diritto di
partecipazione del singolo ed è pertanto rimesso in linea di principio al libero apprezzamento del
socio. In caso d’impugnazione delle deliberazioni assembleari, l’autorità giudiziaria non può
sindacare il merito della deliberazione, ma verificare solamente se la delibera presenta profili di
illegittimità.
Il voto dell’azionista incontra nell’interesse sociale un limite esterno, tracciato dalla disciplina del
conflitto d’interessi. L’art.2373, costituisce attuazione di una regola generale dei procedimenti
collegiali: quella per cui il componente dell’organo, che si trovi in conflitto d’interessi con l’ente,
dovrebbe astenersi dalla partecipazione a votazioni sulla materia oggetto del conflitto.
Un tale conflitto si verifica quando l’interesse personale del socio sia contrapposto a quello della
società. La giurisprudenza ritiene che l’interesse personale rilevi solo se attuale e concreto ed è
orientata ad applicare la norma solamente rispetto a singoli atti e non contrasto fra attività nel loro
insieme.
Conflitto d’interessi può essere anche indiretto.
Il legislatore dispone che il voto dell’azionista costituisce causa di annullabilità della deliberazione
solamente quando sia stato determinante (c.d. prova di resistenza) o abbia contribuito
all’approvazione di una deliberazione idonea a danneggiare la società.
La disciplina rimette al socio la decisione se astenersi o votare e il presidente dell’assemblea non
può estrometterlo dalla riunione altrimenti si corre il rischio di annullamento della deliberazione se
il voto viene esercitato in direzione contraria all’interesse della società.
Ciò che rileva è che la decisione sia oggettivamente conforme con l’interesse sociale e non con
l’interesse esterno del socio.
Nel caso in cui il socio voti e la proposta venga rigettata a causa del suo voto (negativo)
determinante, si ritiene che la delibera negativa possa essere impugnata ed annullata (con
conseguente obbligo per gli amministratori di riconvocare l’assemblea).
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L’art.2373 impedisce di ritenere che il presidente dell’assemblea (e poi l’autorità giudiziaria)
possano dichiarare approvata una deliberazione rigettata con il voto determinante del socio in
conflitto.
L’annullamento (o la sospensione) della delibera comporterà l’obbligo degli amministratori di
riattivare il procedimento, aggravando la posizione del socio in conflitto in termini di responsabilità,
nel caso di rinnovata partecipazione al procedimento deliberativo.
L’idoneità a danneggiare la società intesa in senso oggettivo non va confusa con la circostanza che
l’azionista, attraverso l’atto deliberativo, realizzi anche propri interessi personali, la giurisprudenza
ritiene che le delibere di nomina a cariche sociali siano valide, anche nel caso in cui determinati
azionisti abbiano votato per se stessi e che valga per le delibere di determinazione dei compensi
degli amministratori, assunte con il voto determinante degli interessati, se la misura dei compensi
stessi non sia irragionevole e pregiudizievole per la società.
L’unica ipotesi in cui il codice vieta in via preventiva ed assoluta il voto, è quella dell’art.2373 per i
soci-amministratori nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. In tali ipotesi, il socio è
privo della legittimazione al voto, per cui il presidente dell’assemblea ha il dovere di escluderlo
dalla votazione (il socio-amministratore presente alla seduta va però computato nel quorum
costitutivo).
L’ABUSO DI MAGGIORANZA E L’ABUSO DI MINORANZA
Si ha quando una deliberazione viene assunta dalla maggioranza per danneggiare non la società, ma
i soci di minoranza; ipotesi qualificata come abuso di maggioranza.
Sia in giurisprudenza che in dottrina si reputa che la deliberazione assembleare deve rispettare il
principio di buona fede ed è pertanto annullabile per non conformità alla legge in caso di
violazione.
Il dovere di correttezza funge da limite esterno alla insindacabile libertà di esercizio del diritto di
voto da parte dell’azionista.
La sanzione consiste nell’annullamento della delibera, ma anche ove la rimozione dell’atto non
basti, nel risarcimento del danno a carico dell’azionista e a favore dei soci danneggiati.
Nell’abuso di minoranza l’adozione della delibera è impedita dal comportamento ostruzionistico di
alcuni soci, finalizzato al raggiungimento di interessi extrasociali (ad es., attività imprenditoriali in
concorrenza con la società). Rispetto a tali situazioni, deve certamente riconoscersi la responsabilità
civile dell’azionista che abbia tenuto una condotta abusiva.
L'INVALIDITÀ DELLE DELIBERAZIONI ASSEMBLEARI
Le deliberazioni assembleari possono essere viziate dalla violazione di norme che disciplinano le
varie fasi del procedimento deliberativo, o che attengono invece al contenuto della delibera,
determinandone l’invalidità.
Come nella disciplina dei contratti, il codice non regola unitariamente il fenomeno dell’invalidità,
ma prevede due diverse figure: l’annullabilità e la nullità.
Nella disciplina societaria la categoria generale e residuale, e cioè quella che si applica per tutte le
violazioni non espressamente assistite da una sanzione tipica, è quella dell’annullabilità. Si
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determina quando vien e violata una norma imperativa, ma anche quando viene violata una norma
dispositiva o una clausola statutaria.
La nullità, si determina solamente quando ricorre una delle tre cause tipiche previste dall’art.2379,
la liceità o impossibilità dell’oggetto, la mancanza di convocazione e la mancanza di
verbalizzazione.
Il legislatore detta una disciplina apposita ed autonoma rispetto alle disposizioni sui contratti,
cercando di assicurare un adeguato livello di tutela all’esigenza di stabilità degli atti societari.
INESISTENZA E INEFFICACIA DELLA DELIBERA
L’inesistenza si riferisce al caso in cui la deliberazione sia solo apparente e manchi dei requisiti
essenziali della fattispecie, si tratta di accertare (con legittimazione da parte di chiunque vi abbia
interesse e senza limiti di tempo) l’assenza in concreto di qualsivoglia atto qualificabile come
deliberazione di una certa assemblea.
Per l’inesistenza materiale la sanzione si applica quando contemporaneamente siano mancanti sia la
convocazione che la verbalizzazione.
L’inefficacia è invece un vizio derivante dalla carenza di legittimazione rispetto al potere
deliberativo dell’assemblea.
L'ANNULLABILITÀ
L’art. 2377 prevede due tipologie di cause di annullabilità. La difformità della delibera dalla legge o
dallo statuto può determinarsi per la violazione di norme sostanziali o procedimentali.
Vizi di contenuto se consistenti nella violazione di norme imperative, ovvero non derogabili dallo
statuto.
L’annullabilità per vizi di procedimento, deriva dalla violazione di norme aventi fonte legale.
L’art. 2377.5, prevede poi delle ipotesi specifiche di annullabilità, per il quale è previsto che il vizio
superi una determinata soglia di rilevanza sostanziale:
La partecipazione all’assemblea di persone non legittimate è causa di annullamento solo se,
a seguito della c.d. prova di resistenza, la partecipazione sia risultata determinante per il
raggiungimento del quorum costitutivo;
Lo stesso vale per l’invalidità dei singoli voti (vizio della volontà)
L’incompletezza o l’inesattezza del verbale sono invece cause di annullamento solo quando
impediscono l’accertamento del contenuto, degli effetti o della validità della delibera.
La legittimazione ad impugnare spetta ai soci assenti, dissenzienti, o astenuti (ai soli soci che
avevano diritto di voto sulle materie oggetto della deliberazione).
Art.2352 stabilisce che i diritti amministrativi diversi al voto (impugnazione) spettano sia al socio,
sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; mentre nel caso di sequestro delle azioni, spettano
unicamente al custode. 158
La legittimazione ad impugnare spetta solo a minoranze qualificate, che detengano il cinque per
cento del capitale sociale, ridotto all’uno per mille nelle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio.
I soci che non sono legittimati a impugnare hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato
dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto”.
A legittimazione all’azione di annullamento è data pure agli amministratori (intesi come organo, e
pertanto previa deliberazione del consiglio di amministrazione) ed al collegio sindacale (nonché al
consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico). L’impugnativa attribuita agli organi della società è
oggetto di un potere/dovere, e deve essere esercitata, valutando la questione in termini di concreta
possibilità di pregiudizio per l’interesse sociale.
La legittimazione spetta anche, al rappresentante comune degli azionisti di risparmio nonché, alla
Consob (per le società quotate), alla Banca d’Italia (per le banche).
Termine per l’impugnativa è di novanta giorni e decorre dalla data della deliberazione, o
dall’iscrizione nel registro delle imprese, o ancora dalla data del deposito nel registro se la delibera
è soggetta solo a tale obbligo.
Con riferimento al procedimento di impugnazione, l’azione si propone mediante atto di citazione
notificato alla società dinanzi al tribunale del luogo in cui è stabilita la sede legale.
La proposizione dell’azione non sospende l’esecuzione della delibera da parte degli amministratori;
ma la sospensione cautelare può essere disposta dal tribunale su richiesta degli attori, previa
comparizione in tribunale degli amministratori e dei sindaci. Il giudice dovrà valutare
comparativamente il pregiudizio che riceverebbe la società dall’eventuale sospensione cautelare con
il pregiudizio che riceverebbe il ricorrente dall’esecuzione della delibera.
L’art. 2377.8, prevede una procedura di sanatoria, attraverso “apposita” sostituzione della delibera
impugnata con altra presa in conformità alla legge o allo statuto. Sanatoria che ha effetto retroattivo.
Se la deliberazione è annullata (o sospesa) l’annullamento ha effetto rispetto a tutti i soci ed