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3. AZIENDA FRA CONCEZIONE ATOMISTICA E CONCEZIONE UNITARIA. AZIENDA
E UNIVERSITÀ DI BENI
Molto si è discusso sulla natura giuridica dell’azienda.
Le teorie unitarie la considerano come bene unico: un bene nuovo e distinto rispetto ai
- singoli beni che la compongono.
Così l’azienda è un bene immateriale, rappresentato dall’organizzazione stessa. Sempre nella stessa
prospettiva, l’azienda è stata qualificata come una università di beni. Si ritiene perciò che il titolare
dell’azienda possa avere un vero e proprio diritto di proprietà unitario, destinato a coesistere con
i diritti che vanta sui singoli beni. Potrebbe perciò tutelare il suo diritto sul complesso aziendale
anche con gli strumenti del diritto proprietà, anche se tale diritto non vanta su alcuni dei beni
aziendali.
La teoria atomistica concepisce l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro
- funzionalmente collegati su cui si può vantare diritti diversi (proprietà, diritti reali limitati,
diritti personali di godimento). Si esclude quindi che esiste un bene azienda formante
oggetto di autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale unitario.
Questo è un rompicapo storico della scienza del diritto, ma che va fortemente ridimensionato.
Innanzi tutto, l’azienda è concepibile come un nuovo bene sotto ogni profilo e a tutti gli effetti trova
un decisivo ostacolo nei dati normativi. Da questi emerge con chiarezza che l’unificazione giuridica
dei beni aziendali è solo relativa e funzionale, dato che per il trasferimento del complesso aziendale
devono essere stabilite le forme per il trasferimento dei singoli beni. L’assenza di una legge di
circolazione propria dell’azienda è sufficiente per negare la piena unità giuridica e la natura di
nuovo bene della stessa. La concezione atomistica si preferisce come scelta di base.
È indubbio però che l’unità funzionale dell’azienda trova significativo riconoscimento nella relativa
disciplina dell’art.2561, secondo cui l’usufruttario dell’azienda deve gestire la stessa senza
modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli
impianti e le normali dotazioni di scorte. L’azienda resta la stessa nonostante il mutare dei suoi
elementi costitutivi.
Si discute poi se l’azienda sia un’universalità di beni e, in effetti all’art.670 cod. proc. Civ., che
prevede il sequestro giudiziario di aziende o di altre universalità di beni, essa viene equiparata a
questa categoria. Considerare l’azienda come tale però non offre argomenti per concepire la stessa
come un bene nuovo ed unitario, ne consente alcuna sicura integrazione della disciplina
dell’azienda. Comunque non esistono altre norme che disciplinino direttamente le università di
beni.
Norme specifiche vengono dettate solo per le università di mobili, dettate dall’art.816 come
“pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”. Quindi,
è possibile applicare tale disciplina all’azienda?
L’applicabilità diretta ed integrale è certamente da escludere: l’azienda è di regola costituita da beni
eterogenei e può comprendere anche beni che non sono di proprietà dell’imprenditore. Ciò non
implica però che si debba ritenere preclusa l’applicazione per analogia, dato che sia l’azienda che le
università di mobili costituiscono aggregati di cose a destinazione unitaria e finalizzati alla
produzione di un’utilità complessiva nuova e diversa rispetto a quella offerta dalla semplice somma
dei singoli beni.
Al pari delle università di mobili quindi:
L’insieme dei beni mobili aziendali di proprietà dell’imprenditore sia sottratto
- all’applicazione della regola “possesso di buona fede vale titolo” valida per i singoli beni
mobili
Il complesso mobiliare aziendale possa essere acquistato per usucapione solo in virtù del
- possesso continuato per 20 anni (art. 1160), in luogo del termine di 10 per i singoli beni
mobili (art. 1161)
Il titolare di un’azienda possa avvalersi dell’azione di manutenzione anche per tutelare il
- possesso dell’insieme dei beni mobili aziendali
4. LA CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA. OGGETTO E FORMA 36
L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura (vendita. Conferimento in
società, donazione, costituzione di diritti reali e personali di godimento); è importante, perciò,
stabilire in concreto se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore sia da qualificare
come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali, dato che solo nel
primo caso potrà trovare applicazione la disciplina dettata per la circolazione di un complesso
aziendale.
La distinzione non è particolarmente agevole in pratica, soprattutto quando l’atto di disposizione
comprenda solo una parte di beni aziendali; può verificarsi inoltre che le parti ricorrano ad
espedienti, quale il frazionamento del trasferimento dell’azienda in più atti separati, per sottrarsi
agli effetti nei confronti dei terzi che ex lege conseguono al trasferimento di un’azienda
(subingresso nei contratti di lavoro e responsabilità per i debiti aziendali).
Dunque, il principio ormai consolidato è che la qualificazione come trasferimento di azienda o
trasferimento di singoli beni aziendali deve essere operata secondo criteri oggettivi: guardando al
risultato realmente perseguito e realizzato e non al nomen del contratto o dall’intenzione
soggettiva. Ciò perché il trasferimento di azienda produce effetti che incidono anche sulla posizione
di terzi.
Per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero
complesso aziendale, in particolare, la disciplina del trasferimento di azienda è applicabile anche
quando l’imprenditore trasferisca un ramo particolare della sua azienda, purché dotato di
organicità operativa. Infatti, è necessario ma al tempo stesso sufficiente, che sia trasferito un
insieme di beni potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata
attività di impresa, e ciò anche quando il nuovo titolare debba integrare il complesso con ulteriori
fattori produttivi per farlo funzionare. È però necessario che i beni esclusi dal trasferimento non
alterino l’unità economica e funzionale di quella data azienda, come qualora venga escluso dal
trasferimento il brevetto industriale su cui si fonda l’attività.
Quindi, se accertato con criteri oggettivi che si è in presenza di trasferimento di azienda, l’atto di
disposizione comprenderà tutti i beni presenti in quel dato momento nell’azienda, anche se
non specificatamente menzionati nel contratto. Il collegamento funzionale esistente fra i beni
aziendali legittima tale interpretazione della volontà e i vari beni passeranno all’acquirente nella
medesima situazione giuridica in cui si trovano presso il trasferente (proprietà, diritto reale o
personale di godimento).
Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’art. 2556: al riguardo è
operata una netta distinzione tra:
Forma necessaria per la validità del trasferimento: (disciplina identica per ogni tipo di
• azienda) i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione
in godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con l’osservanza “delle forme
stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la
particolare natura del contratto”. Manca quindi un’autonoma ed unitaria legge di
circolazione dell’azienda e il trasferimento di ciascun bene aziendale segue il regime dettato
in via generale.
Forma richiesta ai fini probatori: Per il trasferimento in proprietà all’acquirente degli
• immobili aziendali sarà necessaria la forma scritta a pena di nullità, e dovranno essere
rispettate le regole di forma previste per il particolare tipo di negozio traslativo posto in
essere.
Il conferimento dell’azienda in una società di capitali dovrà avvenire per atto pubblico (art. 2328).
Solo per le imprese soggette a registrazione, secondo il sistema originario del c.c., è poi previsto che
ogni atto di disposizione deve essere provato per iscritto. La scrittura è chiaramente richiesta solo
ab probationem e la sua mancanza comporterà come unico effetto che, in una eventuale
controversia giudiziaria, le parti (ma non i terzi) non potranno avvalersi della prova per testimoni
per dimostrare l’esistenza del contratto (art. 2725, co.1).
Forma richiesta per l’opponibilità ai terzi (pubblicità): Il contratto di trasferimento deve
• essere sempre redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve essere
depositato a cura del notaio per l’iscrizione, nel termine di trenta giorni. Solo l’iscrizione
nella sezione ordinaria produce gli effetti di pubblicità legale (per gli imprenditori agricoli
anche nella sezione speciale).
5. LA VENDITA DELL’AZIENDA. IL DIVIETO DI CONCORRENZA DELL’ALIENANTE
Oltre agli effetti dedotti in contratto, l’alienazione dell’azienda produce ex lege effetti ulteriori che
riguardano il divieto di concorrenza dell’alienante, i contratti, i crediti e i debiti aziendali. 37
Il divieto di concorrenza dell’alienante (art. 2557) prevede che chi aliena un’azienda commerciale
deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova
impresa che possa, “per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze”, sviare la clientela dell’azienda
ceduta; se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per le attività ad essa connesse e sempre che
rispetto a tali attività sia possibile sviamento della clientela.
La norma contempera due opposte esigenze: quella dell’acquirente dell’azienda di trattenere la
clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento soggettivo; quella dell’alienante a non
vedere compromessa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo
sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela.
Il divieto di concorrenza è derogabile ed ha carattere relativo. Le parti possono anche ampliare la
portata dell’obbligo di astensione, purché non sia impedita ogni attività professionale all’alienante