L’OGGETTO SOCIALE CO ME LIMITE INTERNO
Un’altra questione riguarda gli atti estranei all’oggetto sociale, cioè atti che non rientrano nelle finalità per
cui la società è stata costituita (es. una SRL che, invece di vendere prodotti, concede prestiti).
In linea di principio, anche se un atto è estraneo all’oggetto sociale, la società ne è comunque vincolata,
salvo che si dimostri che:
il terzo sapeva che l’atto era estraneo,
il terzo era consapevole del danno che l’atto avrebbe causato alla società.
Questo perché, come prima, il legislatore vuole evitare che i terzi debbano controllare il contenuto
dell’oggetto sociale ogni volta che concludono un affare.
Quindi, anche l’oggetto sociale, pur essendo un limite all’attività degli amministratori, ha rilevanza
interna: serve a regolare i rapporti dentro la società, ma non può essere opposto ai terzi se non in caso di
mala fede o collusione.
I RAPPORTI TRA POTER E GESTORIO E POTERE DELIBERATIVO
Un’ulteriore questione che si presenta frequentemente riguarda il caso in cui la rappresentanza degli
amministratori sia subordinata a una preventiva decisione di un altro organo sociale, come accade per
esempio in presenza di clausole che condizionano l’efficacia dell’atto alla previa delibera assembleare o
consiliare. È il caso a cui si riferisce il comma 2° dell’art. 2384 c.c., quando parla della «decisione degli organi
competenti».
In particolare, possono sorgere i seguenti problemi: 164
la volontà manifestata all’esterno dal rappresentante non corrisponde a quanto
effettivamente deliberato dal consiglio;
la delibera manca del tutto, oppure è viziata (ad esempio è nulla o annullabile);
l’atto è stato compiuto violando una clausola statutaria che subordinava quell’operazione
all’autorizzazione dell’assemblea (es. art. 2364, n. 5, c.c. per gli acquisti, alienazioni, ecc.).
In queste ipotesi si verifica una dissociazione tra potere gestorio e potere deliberativo. Di conseguenza, ci
si interroga se anche questi limiti gestori – cioè riferiti alla validità interna della decisione gestionale –
rientrino nella regola dell’inopponibilità ai terzi, al pari dei limiti alla rappresentanza.
INOPPONIBILITÀ AI TE RZI DEI LIMITI GESTO RI
La soluzione prevalente è affermativa. Anche quando l’amministratore non ha rispettato i limiti gestori
(cioè ha agito in assenza o in contrasto con una delibera del consiglio o dell’assemblea), l’atto vincola
comunque la società nei confronti dei terzi in buona fede.
Questa soluzione si fonda sull’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi, i quali non possono essere tenuti
a verificare se ogni atto di un rappresentante sia stato preceduto da una valida e conforme delibera
interna. Si ammette dunque che la dissociazione tra potere gestorio e potere deliberativo non può essere
opposta al terzo, salvo che quest’ultimo abbia agito in mala fede, con collusione dolosa.
In sostegno a questa tesi:
l’art. 2388, ultimo comma, c.c., che salva i diritti dei terzi in buona fede anche nel caso di
delibere consiliari invalide;
l’art. 2391, comma 3, c.c., che protegge i terzi anche quando la delibera è stata assunta in
conflitto d’interessi da parte di un amministratore.
La salvezza dei diritti dei terzi si estende quindi non solo agli atti rappresentativi, ma anche agli atti di
gestione eseguiti senza la preventiva autorizzazione formalmente richiesta.
I LIMITI DI LEGGE: O PPONIBILI O INOPPONI BILI?
Più complessa e controversa è la questione se siano opponibili ai terzi i limiti alla gestione che derivano non
da statuto, ma direttamente dalla legge.
Si pensi a:
atti di gestione riservati per legge all’assemblea (come certe operazioni straordinarie);
atti compiuti dopo lo scioglimento della società (art. 2486 c.c.);
contratti conclusi in conflitto di interessi (art. 1394 c.c.);
acquisti pericolosi senza delibera (art. 2343-bis c.c.);
rinuncia all’azione di responsabilità senza autorizzazione assembleare (art. 2393, ultimo
comma, c.c.).
Due le posizioni a confronto:
1. Tesi dell’inopponibilità: anche in questi casi, prevale la tutela del terzo in buona fede, poiché
si tratterebbe sempre di limiti al potere di gestione e non di rappresentanza, che resterebbe
comunque generale e pieno.
2. Tesi dell’opponibilità: in questi casi, si tratta di limiti imposti direttamente dalla legge, che
quindi devono essere rispettati e sono opponibili, a prescindere dalla buona fede del terzo.
UN CASO PARTICOLARE: LA PARTECIPAZIONE “DI FATTO” DI UNA SOCI ETÀ DI
CAPITALI A UNA SOCIE TÀ DI PERSONE 165
Anche su questo tema si è discusso se sia opponibile ai terzi la mancanza della delibera assembleare
richiesta dall’art. 2361, comma 2, c.c., per la partecipazione di una società per azioni a una società con
responsabilità illimitata (come una SNC o una SAS).
La soluzione che prevale in dottrina e giurisprudenza è positiva: se manca la delibera assembleare richiesta,
la partecipazione è invalida e opponibile ai terzi, perché non si tratterebbe di una semplice violazione
interna delle competenze, ma di una lesione dell’equilibrio dei poteri societari previsto dalla legge.
In altre parole, si considera che questa mancanza non possa essere sanata con il semplice principio
dell’inopponibilità, perché è troppo grave da ledere la stessa struttura legale di funzionamento della
società.
5. LE DELIBERAZIONI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
IL RUOLO DEL PRESIDE NTE DEL CONSIGLIO
Il presidente del consiglio di amministrazione ha il compito di:
convocare le riunioni del consiglio,
stabilire l’ordine del giorno,
coordinare i lavori,
e garantire che tutti i consiglieri siano informati sugli argomenti da trattare.
Queste attività servono ad assicurare il principio di collegialità, cioè il confronto e la discussione tra i
consiglieri. Il dialogo consente di approfondire i temi e di prendere decisioni consapevoli nell’interesse
della società.
MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DELLE RIUNIONI
Il consiglio può riunirsi solo se è presente almeno la maggioranza degli amministratori in carica, salvo che
lo statuto preveda quorum più elevati (art. 2388, comma 1, c.c.). Alla riunione partecipa anche il collegio
sindacale.
Le riunioni possono avvenire anche a distanza, cioè mediante mezzi di telecomunicazione
(videoconferenza, collegamento audio), purché siano rispettati i seguenti requisiti:
ogni consigliere deve poter essere identificato,
deve poter seguire e intervenire in tempo reale nella discussione,
deve poter votare.
LE REGOLE SUL VOTO
Durante la riunione, gli amministratori non possono farsi rappresentare da altri: devono votare
personalmente.
Le decisioni vengono adottate a maggioranza assoluta dei presenti, calcolata per teste e escludendo:
gli amministratori assenti,
e quelli che si trovano in conflitto d’interessi.
Lo statuto può comunque prevedere quorum deliberativi diversi, sia più alti che più bassi (art. 2388,
comma 2, c.c.).
IL VERBALE
Il verbale della riunione del consiglio non è sempre obbligatorio. Diventa necessario solo quando il consiglio
esercita poteri delegati su materie di competenza dell’assemblea. Negli altri casi, la dottrina è divisa, anche
166
se prevale l’orientamento favorevole alla redazione del verbale, per esigenze di trasparenza, controllo e
documentazione delle decisioni adottate.
FREQUENZA MINIMA DEL LE RIUNIONI
Il consiglio di amministrazione deve riunirsi almeno una volta all’anno per approvare il progetto di bilancio,
che sarà poi sottoposto all’assemblea ordinaria. Se nella società operano organi delegati (come
amministratori delegati o comitati), è necessaria almeno una seconda riunione annuale.
Infatti, l’art. 2381, comma 5, c.c. stabilisce che gli organi delegati devono riferire almeno ogni sei mesi:
sull’andamento della gestione,
sulla sua evoluzione prevista,
sulle operazioni più rilevanti effettuate dalla società o dalle controllate.
L’ANNULLABILITÀ DELL E DELIBERAZIONI
L’art. 2388, comma 4, c.c. stabilisce che le deliberazioni del consiglio di amministrazione possono essere
impugnate in tribunale se non sono conformi alla legge o allo statuto.
Possono proporre l’impugnazione:
il collegio sindacale (come organo, non i singoli sindaci),
gli amministratori assenti o dissenzienti,
i soci, ma solo in determinate condizioni.
Il termine per l’impugnazione è di novanta giorni dalla data della delibera.
Le cause di annullabilità comprendono:
la violazione delle regole sul funzionamento del consiglio (es. irregolare convocazione, quorum
non rispettati, incompetenza),
la violazione delle regole di contenuto, come l’illiceità dell’oggetto.
L’IMPUGNAZIONE DA PA RTE DEGLI AMMINISTRA TORI E DEI SINDACI
Se l’impugnazione è proposta da amministratori o sindaci, si applica – in quanto compatibile – la stessa
disciplina prevista per l’impugnazione delle delibere assembleari (art. 2378 c.c.).
Ciò significa che:
il procedimento segue le stesse regole dell’impugnazione delle delibere dell’assemblea,
ma con gli opportuni adattamenti al fatto che si tratta di un organo diverso (il consiglio, non
l’assemblea).
L’IMPUGNAZIONE DA PA RTE DEI SOCI
I soci possono impugnare le delibere del consiglio solo se esse ledono direttamente i loro diritti individuali.
Esempi: un’illegittima esclusione del socio in mora nei conferimenti,
un diniego arbitrario del gradimento per il trasferimento delle azioni (se lo statuto prevede il
c.d. placet del consiglio),
una violazione del diritto di opzione (art. 2441 c.c.).
In questo caso, si applicano:
sia le regole di procedura previste per l’impugnazione delle delibere assembleari (art. 2378
c.c.), 167
sia le condizioni sostanziali previste per l’annullamento (art. 2377 c.c.).
Ciò significa che:
i soci devono possedere una partecipazione minima,
non sono ammesse azioni pretestuose fondate su vizi formali irrilevanti, che non hanno inciso
sull’esito della deliberazione (art. 2377, comma 5, c.c.).
TUTELA DEI TERZI IN BUONA FEDE
A tutela della certezza nei traffici giuridici, l’ultimo comma dell’art. 2388 c.c. stabilisce che i diritti acquistati
dai terzi in buona fede son
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