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LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Di fronte ad agitazioni vissute in gran parte della Francia, una larga coalizione
sociale che andava dalla borghesia alla nobiltà chiese alla convocazione degli “
Stati Generali” (cioè del Parlamento) per risolvere i problemi del paese. Il primo
ministro del re, aderì alla richiesta del “terzo stato” (la borghesia) di avere negli
Stati Generali un numero di rappresentanti, eletti con un suffragio molto
esteso. Da qui il riconoscimento della preminenza politica della borghesia, che
rifiutò il sistema tradizionale delle riunioni e dei voti separati dei singoli stati.
Gli “Stati generali” si autoproclamarono invece un'unica “assemblea
nazionale”, che si assegnò il compito da dare una nuova Costituzione al
paese. La monarchia assoluta finì così travolta da una rivoluzione parlamentare
“La
e da una sommossa popolare. L'assemblea Nazionale approvò
dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino” con cui sanciva che scopo
fondamentale dello Stato doveva essere quello di conservare i diritti naturali
dell'uomo, l'eguaglianza di fronte alla legge, che poneva fine agli antichi
privilegi nobiliari, la limitazione del potere tramite il principio della divisione dei
poteri. Tutti elementi ritenuti utili nell’affermazione di un ordine politico
coerente con gli interessi e le esigenze della classe borghese.
In INGHILTERRA l'affermazione dello Stato liberale fu più graduale, ma anche
più stabile. Carlo I si trovò a fronteggiare L'opposizione parlamentare
nell'ambito della “Camera dei comuni”, la cui base sociale era rappresentata
dall'alleanza tra la nobiltà di campagna (gentry) ed i ricchi mercanti della città.
Queste forze consideravano il Common Law come fondamenta e garanzia della
loro Indipendenza, per cui lo stesso re doveva ritenersi sottoposto al diritto. In
questa prospettiva il parlamento negava che il re potesse imporre nuovi tributi
senza il suo consenso e riteneva illegittimi gli arresti arbitrari e l'alloggio
forzato di truppe presso i privati.
Diverso ancora è stato il caso AMERICANO. La società americana era stata
formata dai migranti, che la società americana era stata formata dai migranti
che si erano volontariamente avventurati nel nuovo continente per fuggire da
un qualche regime oppressivo, oppure da contadini, artigiani, operai che
cercavano nuove opportunità economiche a seguito delle difficoltà che
incontravano in patria. Di contro l'Inghilterra si rivolgeva alle colonie americane
con lo scopo di rimpinguare le case provate dalla guerra, imponendo nuove
tasse senza il consenso delle assemblee legislative locali. Gli americani
risposero invocavano il principio, ben saldo nel costituzionalismo inglese,
secondo cui era da considerarsi illegittima qualsiasi tassazione che non fosse
approvata dal loro rappresentanti eletti. A seguito del radicalizzarsi del conflitto
si giunse alla dichiarazione d'indipendenza: questo documento fissava i principi
politico costituzionali da porre affondamento della nuova nazione americana,
“Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per sé
nei seguenti termini:
stesse evidenti, che tutti gli uomini siano stati creati eguali, che si sono stati
dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili, fra i quali la vita, la libertà e
la ricerca della felicità”
La guerra d'indipendenza durò sette anni. Si pervenne così alla convocazione di
una convenzione federale a Philadelphia dove si riunirono i delegati dei 13 stati
americani che approvarono la “Costituzione americana” la quale entrò in
vigore nel 1788.
LA COSTITUZIONE AMERICANA
Il documento Originariamente costava solamente di sei articoli. L'obiettivo
fondamentale era quello di creare un governo forte e autorevole, espressione
diretta, e dal contempo di porre robusti argini costituzionali all'abuso del
potere. Quest'ultimo obiettivo veniva perseguito attraverso la divisione
“orizzontale” del potere e la divisione “verticale” nel potere tra distinti livelli
territoriali di governo.
STATO LIBERALE ED ECONOMIA DI MERCATO
Un altro fattore importante che ha contribuito all’organizzazione del potere
politico dello Stato liberale è stato l’avvento dell’economia di mercato,
basata sul libero incontro tra domanda ed offerta di un determinato bene, in cui
gli interessi tra l’offerente e l’acquirente sono divergenti perché l’uno vuole
vendere al prezzo più alto e l’altro vuole acquistare al prezzo più basso.
Storicamente l’economia di mercato si è accoppiata al modo di produzione
capitalistico basata sulla distinzione tra i soggetti proprietari dei mezzi di
produzione ed i soggetti che vendono ai primi la loro forza lavoro (i cd.
Salariati).
Lo Stato assoluto ostacolava la nuova economia. L’economia di mercato e
capitalistica presupponeva la certezza del diritto di proprietà sia dei venditori
che dei compratori, la libertà contrattuale, l’eguaglianza formale dei contraenti
le cui volontà incontrandosi dovevano determinare le condizioni dello scambio
economico, l’abolizione dei privilegi, dei monopoli pubblici e di tutte le
restrizioni alla libera circolazione delle merci. Pertanto, le nuove modalità di
produzione della ricchezza e l’esigenza di garanzia di libertà contro le
tentazioni assolutistiche condussero all’affermazione di una società civile
distinta e separata dallo Stato, capace di autoregolarsi e di sviluppare
autonomamente i propri interessi.
In questa prospettiva si spiega il collegamento tra due tendenze giuridiche
tipiche dello Stato liberale: le codificazioni costituzionali (per consacrare in
un unico documento costituzionale i principi sulla titolarità e sull’esercizio del
potere politico) e le codificazioni civili e penali tese a racchiudere in un
codice le regole sui rapporti tra privati, dotate dei requisiti di generalità,
astrattezza e certezza.
I CARATTERI DELLO STATO LIBERALE
In definitiva, lo “Stato liberale” è caratterizzato dai seguenti tratti essenziali:
Da una finalità politico costituzionale garantistica. Lo Stato è
considerato uno strumento per la tutela delle libertà e dei diritti degli
individui, in primis del diritto di proprietà.
Dalla concezione dello Stato minimo. Se lo scopo dello Stato liberale è
quello di garantire i diritti, allora deve trattarsi di uno Stato titolare
esclusivamente di funzioni giurisdizionali, di tutela dell’ordine pubblico, di
politica estera e di emissione di moneta. Uno Stato quindi che si astiene
dall’intervenire nella sfera economica, affidata alle relazioni ed alle
autoregolazioni tra privati.
Dal principio di libertà individuale. Lo Stato riconosce e tutela la
libertà personale, la proprietà privata, la libertà contrattuale, la libertà di
pensiero e di stampa, la libertà religiosa, la libertà di domicilio, ma si
tratta di libertà riferite esclusivamente all’individuo.
Dalla separazione dei poteri che consiste nella suddivisione del potere
politico tra soggetti istituzionali diversi che si controllano reciprocamente.
Dal principio di legalità secondo cui la tutela dei diritti è affidata alla
legge. Più in particolare diremo che la sua caratterizzazione come Stato
di diritto significa che ogni limitazione della sfera di libertà riconosciuta a
ciascun individuo deve avvenire per mezzo della legge. Inoltre tutta
l’attività dei pubblici poteri deve essere prevista dalla legge. Questa
funzione garantistica si basa su due premesse: 1) La legge deve avere i
caratteri della generalità e dell’astrattezza, contrariamente sarebbe un
formata dai
mero strumento di arbitrio; 2) La legge deve essere
rappresentanti della Nazione, a cui membri stessi essa si applica. Lo
Stato liberale, perciò, si basa sul principio rappresentativo.
Dal principio rappresentativo. In forza di tale principio, le assemblee
legislative dello Stato liberale rappresentano l’intera “Nazione” o l’intero
“popolo”, mentre invece nello Stato assoluto venivano rappresentati solo
gli appartenenti a determinati ceti sociali (nobiltà, clero). I rappresentanti
vengono comunque eletti da un corpo elettorale assai ristretto,
essenzialmente circoscritto alla classe borghese. In conclusione, lo Stato
liberale, proprio per questa sua peculiarità viene qualificato come Stato
monoclasse.
Spesso Stato liberale e Stato di diritto sono due espressioni che si confondono:
essi infatti sono nati assieme figli della stessa ideologia. Lo STATO DI DIRITTO
(la
però è concetto più giuridico: esso si basa su alcuni pilastri necessari
separazione dei poteri, il principio di legalità, la tutela giurisdizionale dei diritti,
il principio di uguaglianza, indipendenza dei giudici) i quali possono adattarsi
anche ad uno stato che non aderisce alla ideologia liberale.
STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA : Lo stato di democrazia
pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello
Stato liberale, che porta all'allargamento della sua base sociale. lo Stato
monoclasse si trasforma così in stato pluriclasse, e si fonda sul riconoscimento
e sulla garanzia della pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei valori
che possono confrontarsi nella società ed esprimere la loro voce nei
parlamenti. L’elemento determinante per l'approdo a questa forma di Stato è
da ravvisare nel processo di allargamento dell’elettorato attivo che è culminato
nel suffragio universale.
LA PROGRESSIVA ESTENSIONE DEL DIRITTO DI VOTO
Il diritto di voto, che nello stato liberale era limitato a pochi, Sulla base del
centro e della cultura, è stato esteso progressivamente, attraverso una serie di
tappe intermedie. In Italia un primo incremento notevole dell’elettorato si
realizzò con la riforma del 1882, ma fu solo nel 1912 che si introdusse il
suffragio “quasi universale”, perché il diritto di voto era accordato a tutti i
cittadini maschi che avessero compiuto 21 anni e sapessero leggere e scrivere,
o avessero prestato servizio militare per un certo tempo. Bisognò aspettare il
1946 per estendere il diritto di voto anche alle donne, mentre nel 1975 l'età al
raggiungimento della quale il diritto di voto viene attribuito è stato abbassato
da 21 a 18 anni.
Ciò che conta è che l'ampliamento “quantitativo” della base elettorale ne
pr