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L’AZIENDA E LA SUA DISCIPLINA
La legge si occupa di questo profilo di disciplina al fine di consentire che questa
possa essere oggetto di vicende circolatorie (concessione di diritti di godimento
o trasferimento a terzi).
Nel trinomio imprenditore (referente soggettivo), impresa (referente oggettivo)
azienda, l’azienda lo completa perché è l’apparato strumentale organizzato
dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività di impresa.
L’AZIENDA
“L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per
Art 2555
l'esercizio dell'impresa”
Questa è una norma definitoria e la nozione che si trova riproduce il trinomio
con una sintassi normativa che fa riecheggiare qualche elemento di contatto
con la definizione generale dell’impressa perché l’azienda presuppone
un’organizzazione. La norma rende evidente che l’azienda costituisce il
precipitato oggettivo di quell’attività organizzativa (ne è il riflesso sul piano
giuridico-materiale). Questa prospettiva rende evidente che l’azienda assume
una sua valenza autonoma sul piano giuridico rispetto alla figura
dell’imprenditore, tanto che quest’ultimo può trasferirla.
I momenti di contatto con la definizione generale sono anche altri poiché la
presenza di una organizzazione rievoca il profilo della professionalità e
l’azienda viene in rilievo anche in una prospettiva di inizio e fine dell’attività di
impresa.
Si deve segnalare che questa dimensione, secondo cui l’azienda sia il risultato
sul piano materiale giuridico dell’attività organizzativa, impone un
apprezzamento unitario della stessa; l’azienda acquisisce un proprio valore
nella misura in cui questa esprima un valore produttivo tale che l’insieme dei
beni (complesso produttivo) possano avere un valore aggiuntivo rispetto ai beni
singoli (valore di avviamento). La dialettica gioca intorno al concetto di
organizzazione; quei beni sono reperiti, allestiti e funzionalizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività produttiva. Questa attività
produttiva dipende quindi anche dalle capacità dell’imprenditore.
La nozione di azienda. La definizione ci permette di affermare che è un
complesso di beni a carattere eterogeneo e variabile in termini di consistenza.
Il complesso di beni è a carattere eterogeneo perché il legislatore si limita ad
usare il termine “beni” senza dire il titolo giuridico in virtù del quale
l’imprenditore si avvale di questi beni, che rapporto giuridico intercorre tra
imprenditore e beni e nemmeno dicendo di che natura di beni debba trattarsi;
l’espressione è volutamente generale quindi sul piano giuridico i beni possono
essere o no di proprietà dell’imprenditore e sul piano materiale i beni possono
avere natura diversa.
Sono a carattere variabile perché la consistenza dell’apparato strumentale può
mutare nel tempo quindi nuovi beni possono entrare a far parte dell’azienda
ma possono anche cessare di farne parte. La variabilità è fisiologica, basta non
arrivare ad un punto di disgregazione dell’azienda.
Si pone il dubbio se la nozione di bene debba essere intesa in senso tecnico ai
sensi dell’art. 810 cc (beni come cose che possono formare oggetto di diritto) o
se gli si possa dare una definizione atecnica includendo anche rapporti
contrattuali come debiti o crediti.
È certo che non possa essere considerato bene dell’azienda l’avviamento che
invece è una qualità dell’azienda ed è tanto più alto quanto più l’azienda è
capace di generare ricavi. L’avviamento può avere anche un valore negativo
quando l’azienda produce perdite.
Teorie per dare una adeguata concezione dell’azienda. Ci sono 2 teorie di base;
le teorie unitarie e le teorie atomistiche. Bisogna chiedersi fino a che punto
possa essere spinto l’apprezzamento in chiave unitaria dell’azienda perché
questa presenta una compresenza tra una dimensione unitaria e una
dimensione plurale.
Si è posto l’interrogativo se la prospettiva di unitarietà può spingersi fino al
punto di immaginare che l’azienda sia a tutti gli effetti un bene autonomo e
diverso rispetto ai beni che la compongono; se così fosse, l’azienda può essere
oggetto di un regime giuridico analogo a quello di un altro bene giuridico fino al
punto di generare una fattispecie acquisitiva come l’usucapione. Laddove si
immagini che l’azienda non sia un bene unitario, può essere oggetto di
trattamento unitario solo quando la legge lo dica. L’ostacolo che si è posto
dinnanzi a chi abbia provato a prospettare una concezione unitaria è sempre
stato quello del fondamento positivo. La legge consente un regime di
circolazione a carattere unitario dell’azienda che comunque non disconosce la
dimensione plurale.
Una norma interessante è l’art. 816 sull’universalità di beni; siamo in presenza
di una
fattispecie in cui una pluralità di beni, in virtù di un vincolo di destinazione,
acquisiscono dimensione unitaria. C’è un duplice ostacolo; 1)la norma è
declinata nella fattispecie dei beni mobili mentre l’azienda può essere
composta anche da beni immobili 2)l’universalità presuppone la proprietà,
ovvero che le cose siano di titolarità mentre l’azienda è una universalità
eterogenea sia sul piano materiale (anche composta da beni immobili) sia sul
piano giuridico (beni non necessariamente devono appartenere
all’imprenditore). C’è stato un tentativo da parte della dottrina di superare
l’ostacolo immaginando che il legislatore avrebbe disciplinato come fattispecie
specifica l’universalità di mobili, ma sul piano teorico sarebbe possibile
costruire una fattispecie più generale di universalità di cose che ricomprenda
ma non si esaurisca rispetto all’universalità di beni mobili.
I fautori della concezione unitaria hanno anche tentato di immaginare l’azienda
come bene immateriale.
Ci sono alcune disposizione che a volte si prestano a qualche appiglio
normativo come ad esempio l’art 670 cpc che regola il sequestro giudiziario
(provvedimento cautelare); laddove si disputi sulla proprietà o sul possesso di
una cosa, è possibile chiedere ed ottenere in via anticipatoria rispetto al
giudizio di merito, un sequestro della cosa. La norma è interessante perché si
acconsente la richiesta del sequestro giudiziario anche dell’azienda.
Ad oggi prevale l’idea di aderire ad una concezione atomistica dell’azienda
(unitarietà dell’azienda ma sul piano giuridico si sostanzia in una pluralità di
beni autonomi). La conseguenza è quella di escludere che l’azienda possa
costituire oggetto di vicende giuridiche laddove non sia espressamente
previsto.
In questo scenario ha fatto ingresso un importante sentenza della cassazione a
sezioni unite del 2014 intervenendo nel dibattito con una soluzione
eclettica/pragmatica nella prospettiva di superare il dibattito stesso. La vicenda
riguardava 2 fratelli che si contendevano la farmacia di famiglia perché uno era
l’intestatario formale e l’altro assumeva di essere il donatario da parte del
padre defunto. Il fratello intenta la causa contestando la nullità della donazione
e la sorella si difende dicendo che nel caso la donazione fosse riconosciuta,
avrebbe condotto l’attività per più di 20 anni acquistandola (usucapione). La
cassazione giunge alla soluzione secondo cui nel nostro ordinamento non resti
altra opzione che accedere ad una concezione atomistica dell’azienda, inoltre i
giudici fanno notare come la tesi atomistica non precluda la possibilità di
immaginare che possa esservi un riconoscimento dell’unità economica
dell’azienda sul piano giuridico. Si ritiene pienamente valida quell’indicazione
secondo cui il riconoscimento giuridico dell’unità economica dell’azienda
importa implicito riconoscimento di tutte le soluzioni unitarie che non siano
escluse da una disciplina espressa contraria.
Rapporto tra titolarità ed esercizio dell’azienda. L’espressione “Titolarità” va
intesa in senso atecnico quindi si riferisce al potere di sfruttamento
dell’azienda che non coincide necessariamente con la proprietà dei beni.
Questo rapporto è importante perché anche se i termini possono apparire
vincolati tra loro, in realtà alla titolarità di un soggetto non sempre si
accompagna l’esercizio.
- Titolare non esercente = soggetto che organizza l’azienda senza
intenzione di esercitarla.
- Titolarità soggettivamente disgiunta dall’esercizio = il titolare è
diverso dall’esercente. In questo caso il titolare concede un diritto di
sfruttamento ad un terzo (affitto d’azienda). Si pone un problema di
individuazione di chi sia il soggetto-imprenditore; l’imprenditore è
l’esercente. La qualifica di imprenditore, quindi, non presuppone la
titolarità ma l’esercizio dell’attività.
- Contitolarità = la contitolarità si ha, per esempio, nell’ipotesi di
acquisto dell’azienda da parte di più soggetti. In questo caso ci sono 3
eventualità; contitolari non esercenti, solo uno o alcuni contitolari
esercenti e contitolari coesercenti (esercizio collettivo dell’attività di
impresa=società).
LA DISCIPLINA DELLA CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA
Il legislatore affronta una cornice generale tesa a consentire che il titolare
dell’azienda possa disporne trasferendone la titolarità (vicenda circolatoria a
carattere pieno) o possa concedere dei diritti di sfruttamento della stessa. Il
legislatore prende a riferimento anche dei paradigmi contrattuali perché da un
lato detta la disciplina del trasferimento dell’azienda e dall’altro le vicende
circolatorie minori (usufrutto, affitto). Queste non esauriscono lo spettro del
possibile oggetto di negozi che riguardano l’azienda.
Anche se il legislatore detta un novero aperto di ipotesi, dedica principale
attenzione alla vicenda circolatoria piena (trasferimento) relegando poi ad
alcune disposizioni le vicende circolatorie minori. La finalità della disciplina
resta comunque quella di agevolare la circolazione unitaria del complesso dei
beni organizzati che formano l’impresa.
Bisogna ricordare che l’esistenza di u