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LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE
La liquidazione giudiziale sostituisce il fallimento. Nel Codice della crisi, essa viene considerata
come l’extrema ratio, cui far ricorso solo quando non risultino percorribili strade alternative.
Tuttavia, nella realtà è la procedura più utilizzata, nonché la più normata.
Avendo carattere universale, poiché riguarda tutti i beni iscritti all’attivo e coinvolge numerosi
creditori, la liquidazione giudiziale comporta elevati costi che possono essere sopportati
solamente da imprese dotate di una struttura patrimoniale rilevante. Inoltre, l’impresa che chiede
la liquidazione giudiziale deve pagare da sé il curatore nominato, trattandosi di un libero
professionista; per questi motivi, la procedura è aperta soltanto agli imprenditori commerciali
individuali e collettivi, qualunque sia l’attività esercitata.
L’esclusione è prevista per le imprese minori definite dall’art. 2, comma 1, lettera d), ossia quelle
che rispettano congiuntamente questi requisiti:
1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila
nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione
giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore;
2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore
ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura
della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore;
3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti
valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della
giustizia adottato a norma dell'articolo 348.
Sono escluse anche alcune categorie di imprese commerciali (enti pubblici, imprese soggette a
L.C.A., grandi imprese, start-up), assieme alle imprese agricole di cui all’art. 2135: il legislatore
ha ritenuto di estrometterle dalla possibilità di richiedere la liquidazione giudiziale in quanto,
dovendo sopportare un rischio d’impresa maggiore rispetto alle imprese commerciali, non
possono conseguentemente fallire (il “fallimento” viene cioè inteso nel senso etimologico del
termine, ma dal punto di vista giuridico questa interpretazione è piuttosto dubbia).
Presupposti della Liquidazione giudiziale
Definiti gli imprenditori soggetti a liquidazione giudiziale, la procedura può aprirsi quando ricorrono
due presupposti oggettivi:
→ lo stato di insolvenza, per tale intendendosi l’impossibilità non transitoria, in cui venga a trovarsi
l’imprenditore, di soddisfare regolarmente (cioè puntualmente e con mezzi normali di pagamento)
le proprie obbligazioni (art.2, comma 1, lett. b)
→ un’esposizione debitoria deve essere complessivamente pari o superiore a 30.000 € per i debiti
scaduti e non pagati (art. 49, comma 5).
Dei due presupposti, quello certamente più importante è lo stato di insolvenza, per tale
intendendosi l’impossibilità non transitoria, in cui venga a trovarsi l’imprenditore, di soddisfare
regolarmente (cioè puntualmente e con mezzi normali di pagamento) le proprie obbligazioni (art.2,
comma 1, lett. b).
Questa definizione anzitutto implica che la sua applicazione si limiti alle fattispecie del CCI.
Lo stato di insolvenza non deve confondersi con l’inadempimento del Codice civile (art. 1218): può
esserci insolvenza anche se l’imprenditore sia finora riuscito a pagare tutti i propri debiti (es.,
ottenendo liquidità attraverso operazioni disastrose, pagando con mezzi anormali, ecc.);
viceversa, l’imprenditore può essere solvibile pur non adempiendo alle obbligazioni cui è tenuto.
Invero, lo stato di insolvenza è una situazione generale e non momentanea tale per cui il debitore
non è in grado di far fronte ai propri debiti. L’insolvenza si può mostrare con l’inadempimento, ma
anche tramite “altri fatti esteriori” (es. fuga o irreperibilità del debitore, la chiusura dei locali,
l’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali) che dimostrino che il debitore “non è più
in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
Inoltre, lo stato di insolvenza è connotato dalla non transitorietà, ben diversa dalla temporanea
difficoltà ad adempiere, per la quale il Codice della crisi prevede misure più leggere che
concedono all’impresa la possibilità di operare nel continuo (es. concordato preventivo).
La liquidazione giudiziale, quindi, è pensata per aprirsi nel momento in cui l’imprenditore si trova in
una situazione di illiquidità irreversibile, che si verifica quando la crisi non è lieve ma nemmeno
troppo profonda. I presupposti della liquidazione giudiziale prevedono, infatti, che venga garantita
una maggior soddisfazione della massa dei creditori e un minor sacrificio da parte loro: pertanto,
la procedura non si apre quando il patrimonio del debitore è già incapiente (passivo > attivo),
bensì in una situazione nella quale la liquidità a disposizione non è sufficiente per soddisfare le
scadenze delle diverse obbligazioni (e il relativo trend economico è irreversibile), ma la
liquidazione dell’attivo permette ancora una buona soddisfazione dei creditori.
Tuttavia, nella realtà spesso la procedura viene avviata solamente quando l’impresa è incapiente.
Ciò accade perché alcuni fatti criminosi (elencati negli artt. 322-328) compiuti prima della
liquidazione giudiziale costituiscono reato solo se dopo si va in liquidazione giudiziale. Ad
esempio, per bancarotta semplice (art. 323), l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale è
punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Per questo motivo, la legge intende incentivare l’emersione della crisi ampliando il novero degli
strumenti alternativi alla liquidazione giudiziale, ma il risultato ottenuto è che, per quanto questi
strumenti siano più “leggeri” della liquidazione giudiziale e possano essere attivati in una
situazione in cui la crisi è lieve, l’imprenditore tende lo stesso a ritardarne l’utilizzo (oppure a
ricorrere direttamente alla liquidazione giudiziale quando la situazione è compromessa). Infatti,
l’attivazione degli strumenti alternativi costringe l’impresa a lavorare sotto rigidi paletti definiti dagli
accordi, limitando notevolmente l’azione imprenditoriale.
Fasi e organi della Liquidazione giudiziale
L’iniziativa per la liquidazione giudiziale è regolata dall’art. 37. La domanda di accesso può essere
proposta direttamente dal debitore (comma 1), venendo conseguentemente iscritta nel Registro
delle Imprese. Inoltre, la domanda può essere proposta anche (comma 2):
• dagli organi sociali di controllo interno (es. collegio sindacale o collegio sindacale);
• dalle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa;
• da uno o più creditori;
• dal pubblico ministero, in tutti i casi in cui ha notizia dell’esistenza dello stato di insolvenza
(art. 38, comma 1),
• l’autorità giudiziaria non può procedere d’ufficio, ma se rileva l’insolvenza nel corso del
procedimento, lo segnala al pubblico ministero per le iniziative di sua competenza (art. 38,
comma 2).
L’istituto della liquidazione giudiziale è pensato per soddisfare quanti più creditori possibile al
posto delle soluzioni individuali previste dal Codice civile, poco ordinate e fruttuose. Non a caso,
se è il debitore a fare domanda, dalla data di pubblicazione nel Registro delle Imprese tutti gli altri
creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul suo patrimonio o sui
beni e diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa (art. 54, comma 2). Inoltre, è previsto
l’intervento da parte dello Stato (nella figura del Pubblico Ministero) se non dovessero agire i
creditori, in quanto la crisi è una fattispecie meritevole di tutela per la collettività.
La procedura per l’accesso alla liquidazione giudiziale si trova nell’art. 40, ed è comune a quella
prevista per gli altri strumenti di regolazione della crisi: il procedimento si svolge dinnanzi al
Tribunale in composizione collegiale (comma 1), il ricorso deve indicare l'ufficio giudiziario,
l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni (comma 2), e la domanda del debitore, entro il
giorno successivo al deposito, viene comunicata al registro delle imprese dal cancelliere (c. 3).
In esito al processo, il Tribunale accerta l’insolvenza e dichiara con sentenza l’apertura della
liquidazione giudiziale (art. 49, comma 1), che può avvenire anche nei casi in cui il concordato
preventivo venga revocato o non omologato (art. 49, comma 2).
A seguito di detta sentenza, il Tribunale (art. 49, comma 3):
a) nomina il giudice delegato per la procedura;
b) nomina il curatore e, se utile, uno o più esperti per l'esecuzione di compiti specifici in luogo
del curatore;
c) ordina al debitore il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali
obbligatorie;
d) stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'udienza in cui si procederà all'esame dello stato
passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della
sentenza, ovvero centocinquanta giorni in caso di particolare complessità della procedura;
e) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del
debitore, il termine perentorio di trenta giorni prima dell'udienza di cui alla lettera d) per la
presentazione delle domande di insinuazione;
f) autorizza il curatore a effettuare una serie di azioni di cui agli artt. 155 quater, quinquies
e sexies delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile.
La sentenza produce i propri effetti dalla data di deposito in cancelleria, mentre produce effetti nei
confronti di terzi solo dalla data di pubblicazione nel Registro delle Imprese (art. 49, comma 4).
Una volta intervenuta la sentenza che dispone l’apertura della liquidazione giudiziale, la procedura
si articola in:
a) una fase di apprensione dei cespiti facenti in capo al debitore (artt. 193-199);
b) una fase di accertamento del passivo, volta alla verifica dei crediti che legittimano i creditori
a partecipare alla ripartizione del ricavato dalla liquidazione dell’attivo, così come dei diritti
alla restituzione dei beni non facenti parte del patrimonio del debitore (artt. 200-210);
c) una fase di liquidazione dell’attivo,