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XIX XX
di esercitare congiuntamente alcune funzioni pastorali (can. 447). Un altro esempio sono le norme del Sinodo dei Vescovi,
organismo rappresentativo del collegio episcopale creato dopo il Concilio Vaticano per favorire una stretta unione fra il
II
Romano Pontefice e i Vescovi (can. 342). Si tratta quindi di strutture organizzative che sono sorte nel corso della storia per
volontà del legislatore umano e possono quindi da questo essere nel tempo modificate o soppresse.
Diritto canonico e “ius civile”
Partendo dal presupposto che gli Stati sovrani negano l’esistenza di un’altra autorità sul popolo e sul territorio, diciamo che ogni
ordinamento si costruisce attorno a dei valori che lo tengono insieme e lo rendono chiuso alla penetrazione di valori che
vengono dall’esterno, altrimenti si potrebbe creare contrasto nell’ordine pubblico, cioè una norma non segue quei valori. Ad
esempio, in passato in Italia non esistevano norme che regolarizzavano il divorzio, introdotte nel 1970, ma bastava andare
all’estero per poter ottenere il divorzio ed ecco che si aveva una situazione di contrasto. Infatti esistono diversi modelli di
divorzio: divorzio sanzione, lo chiedeva il coniuge incolpevole ed è un modello rigoroso; divorzio per mutuo consenso, i coniugi
come hanno espresso insieme la volontà di sposarsi ora insieme esprimono la volontà di separarsi; divorzio rimedio, imposto
dal giudice che si rende conto che ricorrono le circostanze previste dalla legge; divorzio ripudio, è un modello repressivo e
consiste nell’allontanamento da parte dell’uomo nei confronti della donna, quindi è unilaterale e rientra solo nel diritto ebraico ed
islamico. Ma questi modelli possono essere considerati validi (delibati)? L’organo destinato a deliberare le sentenze di divorzio
esterne, che ovviamente non devono essere in contrasto con l’ordinamento italiano, è la Corte d’Appello (ad esempio il divorzio
ripudio non è considerato valido secondo l’art. 3 della Cost. che sancisce il principio di eguaglianza davanti alla legge).
Anche il diritto canonico è autoreferenziale e chiuso per quanto riguarda le norme, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato sono
regolati dai concordati, cioè degli accordi, oppure dalle norme di diritto internazionale privato.
Nel diritto canonico sono frequenti i richiamo allo ius civile o lex civilis, insomma allo ius saeculare, cioè il diritto posto
dall’autorità secolare, in particolare da parte dello Stato. Le ragioni di questi richiami sono diverse. La prima riguarda il problema
nei rapporti tra ordinamenti giuridici primari, cioè la disciplina da parte di un ordinamento di rapporti che presentano un
elemento di estraneità: ad esempio, il caso dei rapporti tra privati che presentano un elemento di estraneità perché intercorrono
tra stranieri sul territorio statale o perché hanno ad oggetto beni situati all’estero. Si tratta perciò dei rapporti che sono oggetto di
disciplina del diritto internazionale privato. Anche nei rapporti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali si possono porre
problemi di questo tipo, quando non sono risolti in via bilaterale convenzionale, il diritto canonico dispone unilateralmente le
modalità con cui disciplinare quel determinato rapporto e nel far questo il legislatore canonico può richiamare una disposizione
vigente nell’ordinamento dello Stato e farle avere effetti nell’ordinamento canonico. La seconda ragione del richiamo è data da
una differenza: mentre i contatti tra gli ordinamenti statali presuppongono sovranità che insistono su territori diversi e sudditi
diversi ma aventi competenza nelle medesime materie, per i contatti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali siamo di
fronte a due sovranità che si trovano sul medesimo territorio e agiscono su soggetti in parte comuni ma con competenze in
materie diverse (materie spirituali per la Chiesa e materie temporali per lo Stato). La Chiesa, società sovrana nel suo ordine,
riconosce la sovranità dello Stato nell’ordine che a questo è proprio, infatti non disciplina materie che attengono allo Stato ma
rinvia al diritto secolare. Esistono però delle materie che oggettivamente hanno una valenza sia nel piano temporale sia nel
piano spirituale, le cosiddette materie miste (res mixtae o res mixti fori); un esempio tipico è dato dal matrimonio, istituto 12
civilmente rilevante ma che se contratto tra battezzati è sacramento. Ultima ragione dei rinvii al diritto statale si trova in alcuni
casi in cui il diritto canonico rinuncia a disciplinare con proprie norme per evitare il rischio che tale disciplina non produca effetti
anche nell’ordinamento dello Stato sul cui territorio si pone tale situazione. Se la Chiesa avesse interesse che quanto posto nel
proprio ordinamento valga anche nell’ordinamento statale e questo problema non si sia risolto con degli accordi, la Chiesa
preferisce utilizzare il diritto statale avendo in questo modo la medesima disciplina in entrambi gli ordinamenti. Ad esempio il
can. 1290 dispone che le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti e sui pagamenti, siano ugualmente osservate
per diritto canonico in materia soggetta alla potestà di governo della Chiesa. In questo modo le norme civili divengono anche
norme canoniche. Quando il diritto canonico richiama lo ius civile fa riferimento all’ordinamento giuridico secolare richiamato
nella sua totalità, quindi anche norme giuridiche che sono entrate a far parte di questo ordinamento, cioè non sono state poste
dal legislatore. Il richiamo delle norme secolari può avvenire con diverse modalità:
a) rinvio formale o rinvio non ricettizio, si ha nei casi in cui l’ordinamento canonico è incompetente a disciplinare una
certa materia di competenza propria dello Stato e riconosce effetti giuridici alle norme poste da questa. Ad esempio il
can. 1059 dispone che il matrimonio dei cattolici è retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico,
salva la competenza dell’autorità civile circa gli effetti puramente civili del matrimonio.
b) presupposizione della legge civile da parte del diritto canonico, quando l’ordinamento canonico prende atto di
quanto è stato prodotto nell’ordinamento secolare e a questo riconduce effetti giuridici. Ad esempio il can. 1405
sancisce che il Romano Pontefice ha il diritto esclusivo di giudicare nelle cause spirituali o annesse alle spirituali i capi
di Stato, ciò significa che il diritto canonico riconosce dalle norme costituzionali chi è il Capo dello Stato.
c) canonizzazione delle leggi civili, cioè le norme civili richiamate vengono assunte come norme canoniche. A
differenza del rinvio formale, questo comporta un rinvio mobile alle norme così che se queste mutano nell’ordinamento
originario, muta anche l’ordinamento canonico adeguandosi. Le norme civili canonizzate sono assunte nello stesso
significato che hanno nell’ordinamento di origine ma con un preciso limite dettato dal can. 22 secondo cui le leggi civili
vengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, purché non siamo contrarie al diritto divino e se il diritto
canonico non dispone altrimenti.
Nel diritto canonico esiste anche la presupposizione, cioè quando il diritto canonico non si ricollega ad una norma ma all’effetto:
ad esempio, i figli adottati secondo le norme civili sono riconosciuti anche dal diritto canonico.
Nel caso di richiami tra diversi ordinamenti statali le modalità sono:
a) rinvio materiale: quando lo Stato A prende le norme di uno stato B e le nazionalizza facendole proprie; si ricorre a
questo sistema perché porta una fissità della legge.
b) rinvio mobile o formale: la norma rimane esterna ma il rinvio alla norma è costante.
c) presupposizione: fa discendere effetti giuridici nell’ordinamento dello Stato A con la legge dello Stato B.
Il diritto canonico non conosce distinzione tra rinvio materiale e rinvio formale ma le accomuna in un unico istituto detto
“canonizzazione”.
In passato ci si pose un problema: le norme di diritto divino (naturale o rivelato) come entrano nell’ordinamento? Le norme di
diritto divino sono riconosciute vigenti senza essere nell’ordinamento perché non serve che il legislatore le introduca.
Il popolo di Dio
La struttura sociale: la Chiesa come popolo di Dio
Una delle più importanti operazioni effettuate dal legislatore canonico è la traduzione sul piano del diritto positivo di una
categoria del tutto estranea alla tradizione culturale del giurista: la categoria di “popolo di Dio” assunta dalla codificazione
canonica del 1983. All’inizio il giurista vedeva con diffidenza la trasposizione nel codice di una categoria di derivazione biblico –
patristica, eppure tale categoria fu addirittura assunta tra i principi fondamentali del diritto costituzionale della Chiesa: Libro II
del codice canonico del 1983, le norme relative ai fedeli, alla costituzione gerarchica della Chiesa, agli istituti di vita consacrata
ed alle società di vita apostolica, è intitolato “De populo Dei”. La riflessione dottrinale e l’esperienza giuridica hanno messo in
evidenza le potenzialità sul piano giuridico, infatti la nozione di popolo di Dio non nega la dimensione giuridica della Chiesa e
contribuisce a porre in evidenza le particolarità che distinguono l’ordinamento giuridico della Chiesa dagli ordinamenti giuridici
secolari. Il termine “popolo” fa riferimento all’elemento sociale; il riferimento a Dio sta a significare che non si tratta di un popolo
qualunque, ma di un popolo costituitosi in seguito alla chiamata divina, nella quale erano predeterminate le finalità, i mezzi con
cui perseguirle e l’autorità costituita. La Chiesa, quindi, è di istituzione divina. Con l’assunzione di questa categoria, il legislatore
canonico applica l’ecclesiologia del Concilio Vaticano (Lumen gentium). Questa categoria comporta una serie di
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conseguenze: innanzitutto il carattere strumentale o funzionale che il diritto della Chiesa ha, connesso con la dimensione storica
ed escatologica di un popolo che vive nella storia ma è chiamato a trascenderla. L’universalità di questo popolo, aperto a tutti,
ciò comporta per il diritto la singolarità data dal riconoscimento di diritti anche in capo a chi non è ancora incorporato nella
Chiesa (can. 96); infatti ai non battezzati e ai catecumeni sono riconosciuti alcuni diritti, ad esempio il diritto di libertà religiosa
(can. 748) o il diritto all’istruzione cristiana (can. 788) o ancora il diritto a ricevere il battesimo (can. 843). L’unità di questo
popolo, che non nasce da fattori sociologicamente ricorrenti nelle altre società, ma dalla fede e dalla partecipazione alla vita
divina attraverso l’azione sacramentale