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Linee di una storia polemica
Alle nostre spalle c'è una storia fortemente polemica che è la storia della tormentata formazione della proprietà privata borghese della terra, a partire dagli ultimi anni del 700 e nel corso dell'Ottocento, a seguito della soppressione del regime feudale e delle forme di appartenenza e di gestione collettiva della terra da parte delle popolazioni rurali insediate nei diversi territori. Attraverso usi promiscui dal pascolare al seminare. Erano forme riconosciute, legittime o comunque tollerate nell'ambito di quegli assetti fondiari.
Le leggi soppressive o limitatrici di queste forme collettive di assetto fondiario furono molteplici. Si basavano sulla concezione che la gestione produttiva della terra rendesse necessaria l'appartenenza individuale di singole porzioni fondiarie alla Signoria del proprietario, così da rendere non tollerabile la presenza sul fondo di usi esercitati dalla popolazione che ne rendeva.
necessaria l'apertura in contrasto con il principio dell'esclusività del dominio e il diritto di chiusura dei fondi. All'origine c'è sul piano giuridico il concetto della proprietà privata individuale del codice napoleonico. Vi fu un susseguirsi di misure soppressive o limitatrici degli usi promiscui della terra, diverse nelle legislazioni di diversi Stati della penisola. In alcuni casi senz'altro soppressive senza compromesso, ma in genere soppressive mediante compenso in denaro, e a volte anche in terra a favore dell'ente rappresentativo della Comunità utente. Lo scopo di questi provvedimenti è quello di liberare la proprietà privata dai vincoli rappresentati dagli usi collettivi e, allo stesso tempo di parcellizzare i fondi e attribuirli alle Comunità attraverso la divisione in piccoli appezzamenti di terreno da concedere agli stessi coltivatori del luogo. Bisognava procedere alla costituzione di proprietà.individuali. Di particolare rilievo sono i provvedimenti adottati dai sovrani napoleonidi di Napoli intorno all'operazione soppressiva della Feudalità. Trasformarono le concessioni feudali una volta soppresse nella proprietà privata dell'ex feudatario. Una parte della porzione veniva però scorporata, e attribuita alla popolazione in base ai loro bisogni. Le terre attribuite ai comuni in virtù di questa operazione, dovevano essere utilizzate in favore dei singoli abitanti. La destinazione finale dell'operazione era trasformare gli antichi nienti feudali in proprietà private sia dell'ex brone e anche creare piccoli proprietari. Dietro questa impostazione dei provvedimenti napoletani viene il riconoscimento che, a fronte di ogni concessione feudale di territorio nel quale preesiste stesse una popolazione a questa fossero riservati come oggetto di diritti, gli usi che del territorio essa faceva in virtù degli assetti consuetudinari.
ovvero dei precedenti concessioni nell'ambito di un assetto del regime feudale tradizionalmente riconosciuto dai sovrani anteriori e supportato da antica giurisprudenza. Una volta soppressa la feudalità, i diritti della popolazione si tramutavano in diritto di proprietà in capo all'ente rappresentativo della popolazione stessa. 3. PRIMI PASSI DELLA LEGISLAZIONE DELLO STATO UNITARIO Alla formazione dello Stato nazionale restavano vaste zone agrarie o silvo-pastorali spesso incolte, sulla quale proseguiva l'esercizio degli usi civici come per il passato. Restavano anche molte forme di proprietà collettiva di terre gestite in virtù di antichi assetti consuetudinari da comunità organizzate in enti esercenti poteri di regolazione degli usi del godimento promiscuo della terra comune. Il legislatore nazionale ignorò questo in realtà. Ogni forma di appartenenza collettiva era ridotta alla comunione civilistica. La legge comunale provinciale delnuovo Regno, conforme alla legge in vigore nel Regno di Sardegna, prevedeva che i beni comunali dovessero essere dati in affitto. In alcuni casi il comune, con propria deliberazione discrezionale, poteva ammettere la popolazione al godimento dei beni. La norma della legge comunale provinciale aveva ad oggetto i beni patrimoniali del comune, ma non conteneva alcuna distinzione fra di essi di quelli destinati agli usi civici. Successivamente emerse la convinzione che gli usi fossero dei veri e propri diritti, dei quali cittadini potessero rivendicare il possesso e il godimento. E pertanto la norma generale della legge potesse trovare applicazione soltanto in ordine ai beni iscrivibili al patrimonio del comune come soggetto giuridico per averli acquistati secondo differenti modalità di acquisto a carattere privatistico o pubblicistico sui quali gli usi esercitati dagli abitanti risultassero una mera concessione dell'ente e non fossero invece espressione di diritti riconosciuti alla.Comunità. La successiva legge forestale seguiva un'impostazione diversa, riconoscendo la sussistenza di diritti d'uso in capo a determinate comunità su beni assoggettati alla relativa disciplina di tutela. Questi diritti d'uso dovevano essere affrancati mediante cessione di porzione della terra agli utenti, oppure per mezzo di corresponsione di un canone.3.2
Una importante svolta legislativa avvenne con l'abolizione delle servitù di pascolo, di seminare, di legnatico e di vendere erbe. I provvedimenti abolitivi dislocavano sulla stessa linea dei provvedimenti preunitari, ma in essi era chiaro il riconoscimento delle servitù o usi civici come diritti delle popolazioni. L'abolizione degli usi civici rendeva necessaria l'attribuzione alla popolazione di proporzioni di terra di valore corrispondente a quello degli usi soppressi. In alcuni casi tutta la terra gravata dalle servitù o dagli usi veniva riconosciuta in proprietà agli
utenti attraverso i propri enti, con il pagamento di un canone a favore del proprietario. Da qui il formarsi di importanti patrimoni fondiari derivati da queste operazioni discorporo. Successivamente fu adottata la legge dei domini collettivi. Si trattava di persone giuridiche per anti sulla base di propri statuti, rispecchianti le tradizioni anteriori della Comunità dove operavano.
4. LA LEGGE USI CIVICI
Nel 1929 fu intrapreso un nuovo itinerario di riforma legislativa della materia che trova il suo assetto definitivo con la legge usi civici. Questa legge fu estesa a tutto il territorio nazionale. Il complesso sistema normativo varato fra il 1924 e il 1928 è il fondamento di questa materia. Ne sono derivate anche lavorazioni dottrinali giurisprudenziali. Alcuni elementi sono però stati superati dal diritto vivente. Questo sistema normativo costituisce comunque la base normativa per la costruzione come istituto positivo della proprietà collettiva di diritto pubblico.
legge fa proprio l'impostazione delle leggi napoletane estendendolo a tutto il paese. La legge considera come oggetto della disciplina una serie di cose di natura e caratteri molto diverse, ma sempre produttive e accumunate da un dato giuridico, ovvero quelle di essere oggetto di alcuni diritti denominati usi civici. Usi civici sono spettanti agli abitanti di un comune o di una frazione di un comune. È il diritto che qualifica le cose. Il diritto viene individuato nel suo contenuto e nella sua impostazione soggettiva, come quella appartenente ad una comunità di abitanti come comunità di persone legate da un vincolo di incolato. Per accertare la qualità delle cose occorre provare la sussistenza degli usi. Il diritto d'uso su terre private deve essere liquidato mediante compenso alla popolazione di una quota delle terre svincolate. E in determinati casi, mediante un canone. Il soggetto giuridico a cui le terre sono imputate è il comune, come ente.rappresentativodella popolazione, mentre i diritti della popolazione si riducono, l'esercizio degli usisecondo i regolamenti comunali. È anche previsto che la comunità di abitanti non coincida con la popolazione dell'interocomune, ma con quella dei nuclei abitativi minori nell'ambito del territorio comunale, cuibeni originariamente appartengono. In ordine agli usi, l'orientamento della legge e liquidatorio non solo degli usi su terreprivate, ma anche di terre imputate ai comuni. È infatti previsto che la sussistenza dei diritti di uso civico debba essere denunciata alCommissario agli usi civici entro un termine decadenza, trascorso il quale ogni azione opretesa rimane estinta. L'applicazione di queste norme avrebbe comportato la soppressione degli usi E pertanto leterre pubbliche, avendo perso la loro natura, sarebbero state ricondotte al patrimoniodell'ente. Le terre Provenienti dalla liquidazione degli usi civici. vengono distinte in duecategorie. - Quelle a vocazione agraria, destinata a quotazione e assegnazione in enfiteusi alle famiglie dei coltivatori - Le altre boschive e pascolive restano al comune, alla frazioni o all'associazione agraria gestite secondo le prescrizioni della legge forestale e destinata all'esercizio degli usi nei limiti stabiliti dal Regolamento. Queste terre complessivamente denominata e dai manici civici, vengono assoggettate al regime demaniale e pertanto sono inalienabili e vigili. Il divieto di mutamento di destinazione. 4.2 Il sistema della legge usi civici era destinato ad essere profondamente modificato nella sua successiva applicazione. La legge avvia le operazioni di quotazione delle terre agrarie anche in presenza di precedenti esperienze fallimentari. Consolida il precedente carattere pubblico demaniale delle terre boschive e pascolive aperti agli usi di tutti i cittadini del comune o della frazione. Ma la dimensione collettiva di queste forme di appartenenza viene accantonata restando diÈ solo un ricordo. Nel sistema della legge non si rinvengono elementi tali da far propendere per una configurazione dei beni civici come proprietà collettive. È stata la giurisprudenza successiva a costruire, sulla base di antiche tradizioni dottrinali, alcuni istituti che hanno modificato l'impostazione delle leggi valorizzando al massimo il concetto dell'appartenenza collettiva dei beni civici.
Il demanio civico, o proprietà collettiva di diritto pubblico, si configura nel vigente ordinamento come fonte giurisprudenziale. Nell'applicazione della legge, il pubblico diventa collettivo, il limitato diritto reale o parziale d'uso diventa diritto dominicale parziario e, perciò, imprescrittibile. Ciò prelude al riemergere delle forme associative di gestione collettiva dei beni.
Emmerge la distinzione tra diritti di uso civico, esercitati su terre private come diritti su cose altrui, e diritti di uso civico esercitati su beni civici o comunali.
come diritti in re propria
Estrinse