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Capitolo II - Problemi aperti nella relazione con i cittadini
La relazione con i cittadini rappresenta un elemento centrale per ricostruire l'assetto dell'attività amministrativa. Spesso viene designata con espressioni diverse, utilizzando il termine privato invece di cittadino. Il termine privato evoca la storica contrapposizione con il pubblico e evidenzia che la relazione può intercorrere anche con soggetti diversi dalle persone fisiche: gruppi, associazioni, enti, società commerciali. Il termine cittadino rispecchia meglio l'importanza che assume questa relazione anche sul piano istituzionale e attiene al senso fondamentale della relazione.
Il quadro delle relazioni del cittadino risulta articolato perché diverso è il ruolo che può essere svolto dall'amministrazione. L'attenzione in passato si è concentrata soprattutto sui casi in cui l'amministrazione esercita un potere ad essa specificamente demandato da una norma. In questi casi, la relazione con il cittadino assume un carattere di subordinazione e l'amministrazione ha il compito di garantire il rispetto delle regole e dei diritti dei cittadini.
Casi si pongono problematiche particolari legate alla convinzione ideologica che l'amministrazione operasse in una posizione di superiorità istituzionale e questa convinzione ha portato a trascurare le prerogative del cittadino.
Il quadro delle prerogative del cittadino utente di un servizio pubblico, nonostante gli interventi anche legislativi degli ultimi decenni, risulta nel suo complesso ancora lontano da soluzioni soddisfacenti.
Prevale la convinzione che la qualità e la tempestività del servizio dipendano essenzialmente da ragioni organizzative e che, di fronte all'entità dei problemi organizzativi, anche il cittadino vada considerato piuttosto di riflessa: vale la logica delle statistiche e dei grandi numeri.
Si tratta di una conclusione paradossale perché in questo ambito il cittadino dovrebbe essere il centro dell'attenzione e sulle sue esigenze dovrebbe essere modellato qualsiasi servizio.
Nel nostro paese è importante la legge 241/1990.
Alla sua origine vi era stata unaproposta elaborata da una commissione governativa presieduta da Mario Nigro.Anche se il testo rielaborato dal governo e approvato dal parlamento non accolse tuttigli spunti del progetto della commissione Nigro, i tratti fondamentali della relazionefra l'amministrazione e il cittadino furono recepiti e hanno avuto effetti fortementeinnovativi.
In particolare furono affermate alcune regole qualificanti per questa relazione: ildovere dell'amministrazione di concludere i suoi procedimenti in un termine certo eprestabilito, il dovere di motivare i provvedimenti, il dovere di informare il cittadinodell'avvio di un procedimento che lo riguardasse, il diritto del cittadino interessato dipartecipare al procedimento e il dovere per l'amministrazione di prendere inconsiderazione le osservazioni che fossero state così presentate, la possibilità diaccordi fra amministrazione e cittadino in preparazione o in alternativa a.
unprovvedimento amministrativo, il diritto del cittadino di avere visione e copia degli atti amministrativi di suo interesse (c.d. diritto di accesso) e i rimedi nel caso in cui l'amministrazione non riconosca tale diritto. Si introduceva così una prospettiva nuova nella relazione fra l'amministrazione e il cittadino che andava a sovvertire molti assunti del passato: segretezza del procedimento, impossibilità di accordi là dove la legge prevede l'emanazione di un provvedimento, l'esclusione di un diritto ad avere visione e copia degli atti prima della conclusione del procedimento. Il mutamento è stato epocale e ciò è testimoniato dalle difficoltà che una certa magistratura inquirente ha avuto nel coglierne l'importanza: si assiste all'avvio di indagini penali per il fatto che il procedimento abbia comportato una negoziazione e si sia concluso con un accordo anziché con un provvedimento unilaterale, per ilfatto, che riguarda l'autoreferenzialità di alcune concezioni maturate dalla giurisprudenza penale sulla relazione tra amministrazione e cittadino. Queste concezioni, proprio perché autoreferenziali, risultano poco flessibili e non riescono ad adattarsi alle innovazioni legislative più significative. In conclusione, è importante considerare che le situazioni in cui il cittadino riesce a far valere le proprie tesi in una conferenza di servizi, ottenendo il supporto dell'organo competente per la decisione finale, non devono essere considerate come abusi a favore di interessi privati. Allo stesso tempo, è necessario affrontare il problema dell'autoreferenzialità delle concezioni giurisprudenziali sulla relazione tra amministrazione e cittadino, al fine di favorire una maggiore elasticità e adattabilità alle nuove normative.diritto amministrativo, diverso da quello reale e fondato su orientamenti particolari coltivati in ambito penalistico e il risultato è quello di disincentivare in linea pratica l'utilizzo di alcuni modelli nuovi che invece il legislatore ha voluto privilegiare.
La legge del 1990 ha comportato una trasformazione strutturale sul piano dei rapporti fra amministrazione e cittadino sostenendo sempre di più un ruolo attivo del cittadino anche nelle relazioni specifiche con l'amministrazione.
Ha rappresentato, inoltre, il punto di partenza per ulteriori innovazioni che hanno accresciuto questo ruolo attivo:
- Previsione della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento di un'istanza del cittadino: c.d. preavviso di rigetto
- Inserimento nel 2005 di una serie di principi generali sulla disciplina degli atti amministrativi
- La legge del 1990 garantiva il c.d. diritto di accesso ai documenti amministrativi per il cittadino che fosse titolare di un interesse
Specifico alla conoscenza di queidocumenti- Fra il 2013 e il 2016 alcuni decreti legislativi hanno introdotto il c.d. accesso civicocon l'obbligo per l'amministrazione di pubblicare sul proprio sito internet alcunetipologie di documenti e di informazioni di interesse generale: c.d. accesso civicosemplice, o con il diritto del cittadino, nel rispetto della riservatezza degli altri, diavere accesso ai documenti amministrativi in quanto cittadino senza neppur doveredocumentare la titolarità di interessi specifici: c.d. accesso civico generalizzatoViene riconosciuto in linea di principio non solo il diritto del cittadino alla visione ealla copia dei documenti che riguardino sue specifiche posizioni di interesse, maanche il diritto di qualsiasi cittadino a conoscere l'attività dell'amministrazione. Èquindi prospettato così un sistema di amministrazione basato sul principio ditrasparenza.La legge del 1990 ha quindi avviato una riforma dell'amministrazione.
Molti dei principi introdotti hanno trovato una corrispondenza nella previsione nell'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, di un diritto del cittadino alla buona amministrazione.
La legge del 1990 e le innovazioni successive hanno introdotto alcune condizioni necessarie per una buona amministrazione ma non esauriscono di per sé le ragioni della buona amministrazione.
Uno degli aspetti qualificanti per una relazione corretta fra amministrazione e cittadino è rappresentato dalla certezza e dalla ragionevolezza dei tempi massimi di durata di un procedimento: la gestione impropria dei tempi del procedimento è causa di inefficienze, di abusi, di discriminazione.
La decisione particolare sui tempi del procedimento può dare spunto a forme di prevaricazione, indipendentemente da qualsiasi contenuto del provvedimento finale: assegnare la precedenza all'uno o all'altro, in modo arbitrario e indipendente dall'ordine cronologico.
La tecnica di avvalorare prassi clientelari e introdurre dipendenze inammissibili è una pratica comune. I tempi di attesa per una pratica diventano un modo per acquisire e giocare amicizie. Tuttavia, il cittadino ha il diritto che la sua pratica venga trattata con tempestività dall'amministrazione, entro i tempi prestabiliti. La durata del procedimento diventa quindi un indicatore per valutare l'azione amministrativa nella relazione con il cittadino e per ricostruire i caratteri della cittadinanza amministrativa. Inizialmente, la legge del 1990 affidava ad ogni amministrazione il compito di stabilire il termine finale per ciascun procedimento di propria competenza, quando tale termine non fosse già stato fissato da una norma. Tuttavia, questa previsione non ha prodotto i risultati sperati, poiché molte amministrazioni hanno introdotto termini assurdi e inaccettabili. L'insuccesso avrebbe dovuto far riflettere per due ragioni: 1.Dimostrava che non si andava instaurando alcuna concorrenza virtuosa fra le amministrazioni quanto alla celerità nella conduzione del procedimento.
La durata dei procedimenti degli apparati statali, regionali e locali doveva essere stabilita dagli organi di vertice e in particolare nel caso delle amministrazioni statali doveva essere stabilita con un decreto del Ministro. Risultò però subito chiaro che agli organi politici non interessava imporre tempi più stretti.
Per contrastare l'eccessiva durata dei procedimenti, a modifica della legge del 1990, è stato stabilito in generale un termine oggettivamente breve, pari a 30 giorni, incrementabile fino a 90 per i procedimenti più impegnativi e in questo caso dovevano essere coinvolti la presidenza del consiglio e il ministro per la pubblica amministrazione.
È stato previsto poi un termine di 180 giorni per i procedimenti di particolare delicatezza o complessità con proposta condivisa dal
ministro della pubblica amministrazione e recepita in un decreto del presidente del consiglio. Di fatto molti ministeri hanno fruito con larghezza di questa deroga. La fissazione di un termine molto lungo per la conclusione di un procedimento è ben gradita dagli apparati amministrativi. Riduce il rischio di contestazioni e di responsabilità per i ritardi, evita i conflitti interni, resi più concreti dalla previsione legislativa di interventi sostitutivi dei dirigenti e di loro eventuale corresponsabilità nel caso di ritardi. Naturalmente, fissando termini così lunghi viene meno l'obiettivo di una tempestività dell'attività amministrativa e rappresenta il riconoscimento di un'inefficienza degli apparati. Da questa disciplina che non ammette, anche per i procedimenti più complessi, un termine superiore a 180 gg risultano espressamente esclusi per legge i procedimenti per l'acquisto della cittadinanza italiana.