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TECNICA AUTOGIUSTIFICAZIONE
“Ho commesso l’atto deviante, ma non è colpa mia.
Negazione della propria responsabilità Non volevo farlo.”
“Ho commesso l’atto deviante ma, poiché la vittima
Negazione del danno provocato non è stata danneggiata, non ho fatto male a
nessuno”
“Ho commesso l’atto deviante e la vittima ha subito
Negazione della vittima un danno, ma se lo meritava”
“Ho commesso l’atto criminale, ma chi mi condanna
Condanna di coloro che condannano è ipocrita o criminale come me”
“So che il comportamento è deviante, ma devo
comportarmi così per lealtà verso il gruppo o altre
Richiamo a ideali più alti persone. Devo rubare per la mia famiglia, devo
uccidere per il mio Paese, ecc.”
“Ho violato la legge, ma lo fanno tutti (per es.
Richiamo a modelli sociali passare con il semaforo rosso)”
La negazione comunque può essere conscia o inconscia. Nel primo caso si tratta di un rifiuto teorico, una fuga
dalla verità o dalle sue conseguenze. Secondo Mary Douglas è una strategia forense, nel senso che le
spiegazioni in questione tendono a manipolare l’attribuzione di responsabilità o deviarla dallo stesso soggetto,
gruppo o istituzione che negano. Ciò che nega potrebbe riguardare un fatto (per esempio il numero di
desparesidos durante il regime di Pinochet), una “interpretazione” (per esempio se certe azioni
rappresentazioni atti di tortura o di lieve pressione fisica), le “implicazioni o conseguenze” degli atti in
questione (per esempio danno causato alla vittima). Contrariamente alle negazioni consce, che costituiscono
una forma di inganno degli altri, quelle inconsce sono espressione di processi psicologici (meccanismi di
difesa), che permettono al soggetto di evitare o falsare le pressioni dalla realtà esterna, in una sorta di
autoinganno.
Esistono anche altre modalità psicologica per affrontare una minaccia esterna o un pregiudizio sociale; altri
meccanismi possono essere un “blocco” psichico, una forma di dissociazione, che consiste nella riduzione
della capacità di provare sentimenti, o la “scissione”, cioè la creazione di un’identità diversa, specifica delle
situazioni di particolare atrocità come nei genocidi e pulizie etniche.
Richard Cloward e Lloyd Ohlin partirono da un assunto diverso: i giovani di classi inferiori accettavano gli
standard culturali della classe media; la loro scelta verso la devianza scaturisce dall’impossibilità di credere
nei mezzi legittimi istituzionalizzati per il raggiungimento delle mete, poiché ne è impedito loro l’accesso da
condizioni di ingiustizia economica. Non è quindi l’incapacità di immaginare di conseguire il successo o la
relativa frustrazione che li porta a deviare, piuttosto la constatazione di una reale esclusione dai mezzi
legittimi.
La loro teoria fu definita teoria delle opportunità differenziali: la devianza è fondamentale una scelta di
mezzi illegittimi per raggiungere mete culturali condivise, anche se prescritte da una classe superiore, quando
vi siano opportunità facilitanti tali direzione.
Walter Miller dimostrò come i valori della cultura della classe inferiore producano criminalità per il fatto di
essere “naturalmente” contrari a quelli della classe media. Quindi la delinquenza nelle aree disagiate è il
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risultato degli sforzi fatti dagli adolescenti per conformarsi alle regole del loro basso ceto sociale. In altri
termini, la devianza non nasce dal rifiuto dei valori della classe superiore, bensì dalla stessa cultura della classe
inferiore che possiede e mantiene il proprio sistema di valori.
Miller rilevò una serie di interessi focali criminogeni, cioè tensioni caratteristiche della cultura dei settori
disagiati, che per una forma di edonismo patologico combattono le loro condizioni con la ricerca di emozioni
forte e sensazioni intense.
Difficoltà: cacciarsi nei guai e togliersi dai pasticci è il problema dominante.
Durezza: essere forti, resistenti, abili nelle prodezze fisiche, coraggiosi, temerari, audaci, virili.
Furbizia: essere abili nel non farsi imbrogliare e nell’ingannare gli altri, essere astuti, guadagnare soldi con
la scaltrezza, essere furbi più che avere un altro quoziente di intelligenza.
Eccitazione: ricerca costante di brividi, pericoli, attrazione per il loro rischio.
Fatalismo: essere fortunati e favorire la buona sorte, credere che tutto ciò che accade sia fuori dal controllo
delle persone e non si può fare niente.
Autonomia: rifiuto dei ruoli e dell’autorità, essere liberi da condizionamenti esterni, essere indipendenti
dagli altri.
Molto spesso nei ceti bassi le donne erano capofamiglia. I ragazzi, perciò, non avendo un modello maschile
familiare, si univano alle bande delinquenziali di quartiere con cui potevano identificarsi.
Una conferma della teoria di Miller si trova nella ricerca di Oscar Lewis sulla cultura della povertà, per il
quale i valori dei poveri sono sostanzialmente diversi da quelli della maggior parte della società. Evidenzia
diverse caratteristiche, tra le quali senso di impotenza, disoccupazione, incapacità a differire le gratificazioni,
mancanza di privacy, socievolezza e predisposizione all’autoritarismo. Molti di questi tratti inibiscono il
povero nel tentativo di orientarsi verso il successo e di avanzare nella scala sociale.
Capitolo 7:
SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA:
CONTROLLO SOCIALE, CONFLITTO, ETICHETTAMENTO
Le teorie del controllo sociale
Le teorie del controllo sociale, sviluppate dagli anni Cinquanta del Novecento, partono da una posizione
completamente diversa, assumendo quale presupposto che la natura umana sia essenzialmente deviante, sul
modello di quanto postulato nel Seicento da Thomas Hobbes. Il motivo del comportamento criminale va
ricercato nel fatto che è “parte della natura umana, e che, tutti gli individui commetterebbero istintivamente
crimini se fossero lasciati liberi di agire come vogliono”.
Secondo la prospettiva di Travis Hirschi, per la teoria del controllo:
La devianza non è il problema. La domanda ‘perché lo fanno?’ semplicemente non è quella a cui la teoria cerca di dare
una risposta. La questione è ‘perché non lo facciamo?’. È evidente che noi vorremmo deviare se solo osassimo.
L’interrogativo chiave, perciò, concerne il perché la maggior parte della gente non commette reati. I teorici
del controllo sociale risolvono la questione sottolineando come esistano nella società delle forze repressive e
condizionamenti che vengono imposti agli attori. In alcune situazioni, tali forze si esauriscono, vengono meno,
e ne deriva il comportamento criminale. Le persone commettono atti devianti per la debolezza delle forze che
li trattengono dal farli e non per l’efficacia delle forze che li spingono a farlo.
Tutti sono potenzialmente criminali, ma la maggioranza teme di danneggiare, con un evidente comportamento
deviante, i rapporti con famiglia, amici, vicini di casa, insegnanti, colleghi d’ufficio e così via. Senza questi
legami sociali ed in assenza di sensibilità o interesse verso gli altri, chiunque correrebbe il rischio di
delinquere. 50
Nelle società a solidarietà organica, con la divisione del lavoro nasce la necessità di una cooperazione stretta
tra i diversi organi, di una solidarietà ed integrazione reciproche, fondamento del progresso e dell’ordine
sociale. Così gli attori possono realizzarsi in modo equilibrato, in quanto la loro condotta è governata da un
sistema organico di norme; i loro desideri, tendenzialmente illimitati, vengono sottoposti al controllo e alle
esigenze della “coscienza collettiva”; gli individui vengono posti in una rete di rapporti umani socialmente
significativi. Quando queste condizioni vengono meno, anche il controllo perde vigore: insorge l’anomia e, di
conseguenza, la devianza.
Albert J. Reiss jr., nell’analisi di un ampio campione di giovani delinquenti, individuò all’origine della
fragilità dell’Io e della devianza la carenza di alcune componenti del controllo sociale. La prima si riferiva al
mancato sviluppo nell’infanzia di un adeguato autocontrollo, la seconda all’allentarsi si esso e, infine, la terza
all’assenza di regole sociali, interiorizzate attraverso il contatto con i gruppi significativi (famiglia, scuola ecc)
o il conflitto con esse. In pratica per Reiss, la devianza criminale scaturisce da una inadeguata socializzazione
e da un deficit dei meccanismi di controllo interni.
F. Ivan Nye iniziò la sua analisi dalla considerazione che tutti gli umani sono guidati da istinti animali e che
nascono con una tendenza naturale a violare le norme sociali, tendenza tenuta sotto controllo dalla società.
Individuò, poi, quattro fattori di controllo facilitanti o inibenti il comportamento delinquenziale:
Esercitato dalle norme interiorizzate e dai valori
Controllo interno acquisiti dalla famiglia e da altre figure significative.
Derivato dal rispetto e dall’affetto verso i genitori.
Controllo indiretto Non si vuole ferire chi si ama e si rispetta. Questo
sentimento controlla il comportamento.
Esercitato dalla famiglia, dalle istituzioni ecc,
Controllo diretto attraverso disciplina, restrizioni, punizioni. Ha
modalità fortemente condizionanti.
La società esercita il controllo soddisfacendo i
Soddisfazione dei bisogni legittimi bisogni legittimi delle persone. Se ciò non avviene,
il controllo risulta di difficile attuazione e le persone
utilizzano mezzi alternativi per conseguire i fatti.
Walter C. Reckless si soffermò sulla legge causale 24 ad 12 di Sheldon ed Eleanor Glueck, i quali, svolgendo
un’indagine multifattoriale su 500 ragazzi delinquenti e 500 non delinquenti di Boston, avevano evidenziato
cinque componenti essenziali, estratte da centinaia di tratti sempre sovrapponentisi, che distinguevano i
delinquenti dal gruppo di controllo. Queste furono suddivise secondo i seguenti aspetti:
1) Costituzionale: mesoformismo secondo la tipologia di Sheldon;
2) Temperamentale: irrequieti, impulsivi, aggressivi, distruttivi;
3) Emotivo: ostili, provocanti, pieni di risentimento, rivendicanti diritti, non remissivi;
4) Psicologico: capaci di apprendere solo in modo diretto e concreto;
5) Socioculturale: allevati da genitori inadatti.
In contrasto con l’approccio non direzionale dei Glueck, la teoria dei contenitori di Reckless tenta di
delineare in modo più specifico l’azione dei controlli interiori ed esteriori sul comportamento conformista,
approfondendo quanto già rilevato in precedenza.
Forze esterne che spingono Forze di controllo