I palatia.
Carlo Magno riprese l’uso merovingio di non avere una corte stabile, con una città capitale, e
prosegue l’azione di moltiplicazione delle sedi del potere. Icmaro, vescovo di Reims nella seconda
metà del IX secolo, nel suo De ordine palatii, sottolinea che ‘sono le persone e non gli edifici, per
quanto importanti, a fare la corte ’; idea che prende atto e giustifica la molteplicità di sedi del potere,
prima reale e poi imperiale, carolingio.
Già in età merovingia il termine palatium, in prima istanza riferito alla sede dell’autorità reale era p
assato ad indicare la corte ed il relativo apparato amministrativo. Non va infatti dimenticato che con
il sovrano e la sua corte viaggiava anche la cancelleria ed un significativo comparto
dell’amministrazione, come appare chiaro anche dalla qualità e dalla tipologia dagli atti rogati nelle
varie sedi. Possono essere definiti palaziali quei centri dell’Impero carolingio sedi di soggiorni
reali, di sinodi e diete e di cerimonie di affermazione del potere regale, oltre ad essere dotati di
caratteristiche strutturali precise. Sono state contate circa 150 sedi palaziali carolinge, e oltre 60
vengono attribuite direttamente a Carlo Magno; disperse nelle diverse regioni dell’Impero, ne
costituiscono il tessuto connettivo e la realtà materiale del potere.
La scelta di non avere una capitale, e quindi un
complesso architettonico che visualizzi il ruolo
imperiale, è determinata da necessità militari,
rafforzando così le aree strategiche dell’Impero con
la presenza imperiale, ruolo che si rafforzò con gli
immediati successori di Carlo Magno, a causa dei
crescenti impegni bellici e delle lotte dinastiche. Ma
ci sono anche ragioni economiche, legate alla
consumazione delle risorse delle curtes fiscali che
non confluivano verso un centro capitale, ma che rifornivano la corte in movimento. Tale itineranza
comportò la realizzazione di diversi complessi palaziali: il palatium è la trasposizione in pietra della
legittimità dell’autorità reale o imperiale, cui non corrisponde sempre la stessa tipologia edilizia.
Ben pochi sono i palatia noti archeologicamente, ma essi appaiono caratterizzati da alcuni elementi
comuni: gli spazi di rappresentanza, fra i quali spicca l’aula regia, gli edifici residenziali, lo spazio
riservato alle funzioni religiose, pubbliche o private, ospitate dalla chiesa o cappella palatina.
Sotto questo profilo, sono emblematici i palazzi connessi con strutture monastiche, le quali
contribuiscono al supporto dinastico, favorendo la considerazione del monastero come strumento di
potere; ad esempio, nel monastero di St. -Denis, il palazzo di Carlo Magno occupa una posizione
privilegiata. Palazzi e monasteri possono coesistere nella stessa area perché entrambi ospitano
persone in stretto rapporto con il divino e suoi interlocutori privilegiati; tale convivenza pone però
anche dei problemi, come la coesistenza della clausura con i laici, anche donne; il doppio potere
esercitato, del re e dell’abate. In alcuni casi, come per St. -Denis, il potere del re è superiore a quello
dell’abate, così che il re è stato definito un abate laico. La necessità di una divisione di potere, del
rispetto dei doveri reciproci, porterà in alcuni grandi monasteri allo sviluppo, nel corso del IX e del
X secolo, di un castrum parallelo al monastero stesso.
Nella maggior parte dei casi i palatia non si collocano all’interno di centri urbani preesistenti, ma
privilegiano località rurali, ad esempio ville di caccia. Le indagini archeologiche hanno arricchito
notevolmente le conoscenze di questi impianti, rilevandone anche alcuni caratteri ricorrenti. Innanzi
tutto, c’è una generale continuità, occupando solitamente i palatia siti dove si trovavano struttura
tardoantiche, almeno nelle regioni che erano state oggetto di romanizzazione. Inoltre, i nuovi
complessi andarono a privilegiare la sensibile area limitanea fra il Reno e il Meno, spostando a
Nord il baricentro degli interessi franchi, e talora privilegiando le località importanti sotto il profilo
commerciale, come nel caso di Francoforte sul Meno, dove il palatium si sviluppa con andamento
parallelo al fiume.
Pur nella varietà delle soluzioni adottate, caratteristiche comuni ai complessi palaziali sono
costituite dall’aula regia e dalla cappella palatina. L’aula è in genere un ambiente absidato,
decorato da affreschi, attestati anche da ritrovamenti nel corso di scavi a Ingelheim ed in altri siti
palaziali. La cappella è in genere mono nave e absidata, di dimensioni modeste, a causa dell’uso
sostanzialmente privato; fa eccezione la cappella di Aquisgrana, che si ispira a modelli tardo-
antichi di tradizione mediterranea. La sua funzione è di sacralizzazione dell’intero complesso ed è
dotata di un clero stabile, che svolge una funzione importante anche nei rapporti con i vescovi e con
i capitoli cattedrali. Nei complessi palaziali noti, in primo luogo si evidenzia la stretta connessione
tra questi due elementi, simboli degli edifici laici di rappresentanza e degli edifici ecclesiastici. Aula
regia e cappella palatina vengono poste in relazione spesso paratattica, come ad Aquisgrana, dove
sono collegate da un corridoio nel quale si apre l’accesso all’area
palaziale, ma anche ad Ingelheim, malgrado le differenze sostanziali
nell’articolazione dell’intero complesso.
A questi edifici si affiancavano gli spazi residenziali, a volte corredati
da strutture artigianali e da impianti termali celebri quelli voluti da
Carlo Magno ad Aquisgrana ed in grado di ospitare un centinaio di
bagnanti. Talvolta i palatia sono dotati di strutture di fortificazione,
come nel caso delle torri che circondano il complesso di Ingelheim, e a
partire dagli immediati successori di Carlo Magno il carattere difensivo
tenderà a diventare stabile e sistematico, con la presenza di fossati,
palizzate lignee, recinti in muratura.
Questi edifici si dispongono spesso in un’area aperta, anche di notevoli dimensioni, come ad
esempio a Paderborn, che rappresenta forse uno schema di partenza dello sviluppo dell’architettura
palaziale, con l’iniziale presenza dell’aula regia e della cappella palatina come elementi chiave.
Malgrado solo Aquisgrana presenti resti in elevato, sia pure variamente rimaneggiati, le indagini
archeologiche hanno chiarito uno schema compositivo generato da una doppia polarità, religiosa e
laica, in base alla quale l’aula regia corredata dal comparto residenziale si distingue nettamente
dalla cappella e dagli annessi religiosi; a Paderborn hanno anche orientamento divergente e saranno
collegati sono nelle fasi più recenti, ad Aquisgrana appaiono unite da un lungo portico, di cui
rappresentano gli estremi topografici. Si tratta di uno schema carolingio che costituirà una costante
anche nella più tarda architettura palaziale ottoniana e salica in area tedesca.
Fa eccezione il complesso di Ingelheim, compiuto e concluso in un blocco a terminazione
semicircolare, con un’esedra porticata, che sembra trarre ispirazione dal complesso dei Mercati di
Traiano a Roma, e rafforzato da un ingresso inquadrato da due torri e da un sistema turrito esterno.
In questo specifico caso, il fatto che nell’impianto originario sembra non fosse compresa la cappella
potrebbe alludere ad una idea progettuale iniziale di tipo molto diverso, e non è al momento
possibile stabilire se trovi riscontri altrove.
Gli elementi chiave di tali complessi, come la cappella circolare di Aquisgrana, l’utilizzo costante
di portici, le assialità di collegamento, sono tutti caratteri che rimandano all’architettura di
prestigio tardoantica, che dovette rappresentare un elemento di ispirazione ed una garanzia di
riconoscibilità della loro funzione reale. Nel caso di Aquisgrana, anche le fonti citano
specificatamente la volontà di Carlo Magno di richiamare in modo esplicito Roma, ed in particolare
il complesso del Laterano; non a caso, marmi e colonne erano stati fatti venire da Roma e da
Ravenna, entrambe sedi imperiali. Il Chronicon Moissiacense riporta espressamente che Carlo
aveva voluto denominare «Laterano» il palazzo di Aquisgrana: in qyesto modo, due grandi corti
dell’Occidente cristiano sancivano anche lessicalmente il loro legame.
Approfondimenti.
- Ingelheim.
Centro palaziale carolingio, posto lungo il Reno fra Magonza e Bingen, sviluppatosi su un
precedente insediamento merovingio, è stato oggetto di importanti scavi all’inizio del Novecento e
poi negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo. Gli scavi hanno ben chiarito lo sviluppo del
complesso palaziale, ed hanno interessato in particolare l’aula regia e la cappella palatina. Alla
committenza di Carlo Magno va assegnata anche una cappella palatina, probabilmente una versione
in scala ridotta di quella rinvenuta, decorata con pitture a carattere religioso.
- Aquisgrana.
Residenza imperiale carolingia e odierna Aachen, costruita in un’area occupata sin dall’età del
Bronzo, in età claudia vi fu installato un agglomerato di carattere commerciale. Sede di una
sorgente dedicata a Granno, nel I secolo d.C. divenne una base per l’acquartieramento delle legioni
caratterizzato dalla presenza di impianti termali. Pipino il Breve fece ripulire le terme, e la località è
menzionata per la prima volta nel 765-766 proprio in occasione del soggiorno del sovrano, anche
Carlo Magno vi trascorse il primo Natale del proprio regno. A lui si deve l’avvio della costruzione
di un grandioso complesso palaziale, edificato con ogni probabilità a partire da 786. Questo
occupava una grande superficie e comprendeva una grande aula, le aree residenziali e un complesso
balneare che poteva ospitare fino ad un centinaio di bagnanti, oltre ad una chiesa, consacrata da
Leone III dotata di Westwerk ed unita da un collegamento rettilineo all’aula regia.
L’aula di culto consentiva al sovrano di presenziare alle celebrazioni liturgiche da una posizione
sopraelevata e riservata, e custodiva le reliquie personali dell’imperatore, fra le quali spiccava
quella della cappa di S. Martino, che dette il nome di «cappella» alla struttura religiosa. Sotto il
profilo architettonico, si trattava di un edificio a pianta ottagonale come S. Vitale a Ravenna, munito
di una tribuna, di fronte all’altare si trovava un trono, dal quale l’imperatore poteva assistere alle
funzioni, contemplando il mosaico absidale con la rappresentazione dell’Apocalisse, una
disposizione che sembra mutuata dal palazzo imperiale di Costantinopoli. Sia Ludovico Il Pio, che
Lotario e Lotario II successori di Carlo Magno, fissarono la loro residenza principale ad
Aquisgrana, consentendone lo sviluppo come corte e promuovendo le sue attiv
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