Icone e iconoclastia
Nel corso del periodo paleocristiano e poi nell’Oriente bizantino, già dal IV secolo si diffuse il culto delle immagini, di pari passo col culto martiriale e dei santi. Nel mondo occidentale questo non è recepito come un fenomeno che inficia l’autorità centrale della Chiesa di Roma, mentre in Oriente è un fenomeno che a un certo punto verrà osteggiato dall’autorità centrale con delle motivazioni precise:
- Esso aveva raggiunto degli eccessi tali da distrarre la comunità dalla normativa imposta dalla Chiesa di Costantinopoli. Dunque, anche dall’imperatore visto che c’era la sovrapposizione del potere religioso e quello laico.
L’Oriente, inoltre, era stata la culla della speculazione teologica del cristianesimo: se, quindi, la classe degli ecclesiastici occidentali era più attenta alle questioni pratiche, in Oriente, invece, prevale più l’aspetto speculativo-intellettuale. Per questi motivi in Occidente l’iconoclastia non avviene.
Forme di venerazione delle icone
Dal punto di vista formale, le icone assumono delle forme di venerazione diverse:
- Quelle orientali prevedevano degli oggetti di venerazioni mobili, dunque trasportabili. Erano molto più agili per la diffusione delle immagini, tant’è che molte erano di uso privato domestico, cioè quelle che destavano maggiore preoccupazione per la Chiesa. Preferibilmente si esponevano durante le Feste, cioè la data in cui cadeva la celebrazione della morte del martire. I supporti potevano essere tavolette di legno, lastre di metallo o avorio;
- In Occidente le icone sono su supporti fissi, spesso su tela o affresco. Queste erano icone destinate per lo più agli edifici di culto, non avevano uno scopo nella vita privata.
Icona
Deriva dal greco eikon, che vuol dire non solo “immagine” ma anche “ritratto”. In origine erano immagini sacre che rappresentavano solo Cristo e la Vergine, addirittura abbiamo testimonianze risalenti al IV secolo. Poi, da lì assistiamo alle rappresentazioni dei santi. Sull’origine del culto delle immagini avevamo già accennato al fatto che derivi dalla ritrattistica imperiale, insomma, esso mutua dal linguaggio imperiale. Poi le immagini diventano una forma di propaganda del cristianesimo, ma già in Oriente aveva una sua embrionale fortuna.
Esempio: Dura Europos
Dura Europos è una città che si trova in Siria e si trova al confine con l’Iraq. Essa si trovava sulla via che collegava la Via della Seta al Mediterraneo, dunque si sviluppa ben prima dei Romani. Infatti, il territorio era già stato occupato da vari regni orientali ed era privilegiato grazie alla sua posizione strategica. Dura Europos è importante perché ci ha restituito la più antica testimonianza di domus ecclesiae, cioè la casa cristiana. Essa è una forma embrionale della chiesa: i cristiani si riunivano nelle case, e i privati mettevano a disposizione parti della casa (perché erano perseguitati), alienando parte della proprietà privata per metterla a disposizione della chiesa. Dunque, vengono sistemate per assolvere varie liturgie fondamentali, come il battesimo, l’eucaristia o il rituale della morte. La città poi entrerà dapprima nell’orbita romana, poi quella persiana, e sembra che gli stessi abitanti, per non cedere i propri beni, abbandonarono la città che pian piano rimase sommersa di sabbia. Dunque, come una sorta di Pompei, tutte le sue strutture si sono conservate, e rimase sigillata nella metà del III secolo, periodo della conquista persiana. Tutto ciò ha permesso ai viaggiatori del Novecento di riscoprire uno straordinario complesso di monumenti, tra cui la casa appena descritta.
I ritratti del Fayyum
La tradizione che vuole che le immagini debbano rappresentare non soggetti generici ma sacri deriverebbe dalle maschere funerarie antiche che erano oggetto di venerazione. Prendiamo ad esempio i ritratti del Fayyum, oasi del deserto egiziano: qui vengono ritrovate una serie di maschere funerarie poste sui sarcofagi e realizzate ad encausto, una tecnica che veniva utilizzata anche per le icone su legno. Come funziona? Si disponeva sul supporto in legno una base in gesso, sulla quale si fissava la maschera funeraria realizzata in cera, all’interno della quale venivano diluiti i pigmenti che poi saranno rifiniti.
In Occidente non si hanno testimonianze di icone prima del V-VI secolo, anche se abbiamo testimonianze letterarie che ci parlano già di IV secolo. L’iconoclastia ha distrutto moltissime icone, infatti la maggior parte di quelle che studiamo sono di IX secolo in poi, oppure altre provengono da territori che non furono toccati da questo fenomeni: ad esempio Cipro non ha subito distruzioni perché l’isola passa sotto la dominazione islamica.
Secondo il culto delle immagini – gestito da determinate comunità – l’unica immagine che può essere davvero considerata sacra è quella fatta da mano divina, quindi da un certo momento in poi c’è stata la decisione che quelli erano i tratti di ogni santo. Questa cosa in greco si chiama acheropite, ovvero le immagini non fatte da mano umana, ma santa.
L'origine delle prime icone
La prima icona da cui parte il tutto è quella di Cristo. Eusebio di Cesarea ci racconta un episodio:
- Un sovrano di Edessa, Abgar, era molto malato e chiese a Cristo di visitarlo per guarirlo. Il re chiede allora ad un suo artigiano di fare un ritratto di Cristo, ma non ci riesce perché non ha mano santa. Allora Cristo imprime il suo volto su un velario. È quindi questa la veronica (→ vera immagine) di Cristo. La leggenda poi racconta che, quando questo artigiano portò l’icona al sovrano, egli guarì.
Successivamente abbiamo l’immagine della Vergine. Il culto della Vergine segue di qualche decennio quello dei Santi e di Cristo, ma era un personaggio discusso dalla Chiesa, perché:
- Alcuni sostenevano che avesse natura umana e poi, tramite l’annunciazione, assunto forma divina (questi negavano il dogma della Maria come Vergine);
- Altri sostenevano che fosse nata con forma divina.
Nel mondo orientale, inoltre, la maniacale attenzione alla classificazione porta ogni icona ad avere un suo nome specifico:
- Quello della Vergine era odighitria (→ colei che indica la via). Quando si voleva rappresentare l’icona della vergine si rappresentava San Luca che dipinge l’icona della vergine, perché è stato lui ad aver disegnato la veronica. Santa Maria Antiqua a Roma è importantissima per sapere come fossero rappresentate le icone nel mondo bizantino. Qui ne abbiamo molte perché in questo periodo molti papi che arrivano a Roma sono bizantini e portano quindi questa tradizione.
Opposizione al culto delle immagini
Il primo imperatore che si fa carico di osteggiare il culto delle immagini in accordo con la chiesa di Costantinopoli è Leone III l’Isaurico nella prima metà del VIII secolo: egli fa rimuovere come prima cosa la rappresentazione di Cristo che si trovava sulla Porta della Chalke ("Porta di Bronzo") che era l'accesso monumentale al Gran Palazzo di Costantinopoli. La sostituisce con la croce (che sarà il simbolo che sostituirà tutte le immagini distrutte). Dopo Leone seguì un periodo di pseudo tolleranza fino a quando arriviamo al 754 dove abbiamo Costantino Copronimo che convocò il Concilio di Hieria e condannò definitivamente il culto delle immagini con la conseguente distruzione sistematica delle immagini sacre. Ad esempio ad Istanbul, la chiesa di Sant’Irene aveva un mosaico figurato che viene sostituito con una croce.
In un codice miniato abbiamo la rappresentazione dell’icona di Cristo che viene fissata su un’asta e viene bruciata. Per dirci che è l’icona di cristo abbiamo il rimando alla crocifissione con Cristo in croce con l’icona. Questo tipo di miniatura lo troviamo nei libri sacri perché era una forma di propaganda iconoclasta.
Il secondo concilio di Nicea
Nel 787, durante il Secondo Concilio di Nicea, viene ristabilito il culto delle immagini e i monaci vengono reintegrati nei loro privilegi. Viene tuttavia precisato che tale culto doveva essere un atto di venerazione e non di idolatria. L’iconoclastia torna con Leone V l’Armeno e ne vediamo la fine con Michele III. L’iconoclastia finisce nel IX secolo, quando la Chiesa decide di ripristinare le icone ma con determinate regole:
- Nessuna rappresentazione dei fenomeni instabili e mutevoli, ma si può rappresentare solo l’immagine in sé, la sua essenza.
- Nessuna rievocazione dello spazio;
- Viene quindi usato il fondo d’oro come segno di astrazione assoluta;
- Le immagini devono essere rappresentate in modo frontale;
- Le immagini devono essere immobili, senza rappresentazione di movimento;
- Fino al XII secolo nessuna espressività.
La rinascenza macedone
Dall’IX all’XI secolo abbiamo una rinascenza macedone – di cui ci sono giunte pochi esemplari – in cui le icone vengono eseguite a tempera. Aumentano in questo periodo i soggetti rappresentati.
Periodo dei Comneni
XI-XII secolo → Periodo dei Comneni. Abbiamo di nuovo uno sviluppo e un cambiamento di gusto. Le icone sono per lo più fisse e poste nelle chiese. Sono di grandi dimensioni andando a perdere la dimensione domestica e quindi arrogate al controllo della chiesa. Queste icone, portate in processione durante le feste→ sono bilaterali quelle da processione, così vengono viste sia da chi sta davanti che da chi sta dietro. L’XI secolo è legato ad un classicismo bizantino in cui abbiamo rappresentazioni legate al tema del paradiso e dell’inferno. Con il classicismo bizantino abbiamo:
- Misura
- Equilibrio
- Intensa spiritualità
- Bellezza fisica: Ad un certo punto, se è vera che l’iconografia cristiana aveva funzione docetica, nel medioevo con lo svilupparsi di una disquisizione sulle punizioni a chi non stava alle regole della chiesa, c’è il passaggio semantico delle immagini. Diventano un monito alla comunità sul cosa succede se si sbaglia a livello cristiano.
Tutto questo ad un passaggio comunicativo epocale. Se fino ad un certo punto abbiamo visto che le immagini erano isolate e più scarnificate senza contesto, qui vediamo il ritorno alla volontà di raccontare un insegnamento morale o recupero rappresentazione narrativa. Nel 1204 abbiamo la presa di Costantinopoli da parte dei crociati. Qui abbiamo una perdita di importanza e della centralità di Costantinopoli come centro propulsore artistico. Si assiste ad una regionalizzazione verso quelle che sono le regioni balcaniche e territori slavi che sono diventati regni autonomi e come tali diventano autoreferenziali in cui elaborano sistemi culturali propri.
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